Se vincesse il Sì ci sarebbero più politici disposti a farsi portavoce di chi li finanzia più che degli elettori. Lo spiega un rapporto di Transparency
Non durerà ancora molto ma di questa stagione di antipolitica, con l’opaco M5S ago della bilancia parlamentare, ci resteranno sul groppone un bel po’ di debiti per opere inutili e dannose, Tav, Tap, per armi devastanti come gli F35, una casta di tagliagole libici pagati con i soldi dei contribuenti italiani per torturare chi ha osato fuggire dal proprio paese e parecchie altre oscenità come la mancata attuazione della volontà referendaria sull’acqua e i servizi pubblici.
Dalla prospettiva del paesaggio politico, l’antipolitica variamente declinata già ci ha consegnato un paesaggio istituzionale sempre più desertico per il combinato disposto di due processi, il definanziamento della politica e il taglio della democrazia rappresentativa a ogni livello, si vedano le soglie di sbarramento delle varie regioni predisposte spesso da governatori di “sinistra”. Per questo sarebbe auspicabile se domenica 20 e lunedì 21 settembre vincessero i No al referendum confermativo sul taglio dei parlamentari: se prevarrà il fronte del SÌ il numero di deputati e senatori passerà dagli attuali 945 a 600. Il dibattito pubblico sul referendum verte su due questioni, il risparmio economico e la rappresentatività degli elettori in caso di vittoria del SÌ. A parte la bizzarria di chi si scandalizza per i privilegi dei parlamentari e, anziché tagliare i privilegi taglia i parlamentari, in realtà la miseria della politica ci consegna un dibattito in cui il No e il Sì sono opzioni sganciate dal merito e legate alla voglia di tirare bordate al governo giallo-rosa o di regolare i conti all’interno di coalizioni e partiti trasformati, dalle alchimie elettorali, in accozzaglie di competitor.
C’è però un tema che andrebbe preso in considerazione con attenzione, come spiega con efficacia Soldi e Politica, il progetto di Transparency International Italia che raccoglie e rende disponibili tutte le informazioni relative ai finanziamenti alla politica, e cioè il contraccolpo economico sulle casse dei partiti politici.
Il taglio dei seggi in Parlamento potrebbe avere un notevole impatto sulle casse dei partiti, andando a ridurre il volume delle donazioni di alcuni di essi anche oltre il 30%, secondo le stime di Transparency Italia.
Una delle principali fonti di entrata dei partiti politici sono infatti le cosiddette “rimesse dei parlamentari”, ovvero la quota di stipendio che deputati e senatori riversano al proprio partito o ai soggetti politici di riferimento (nel caso del M5S ad esempio, il Comitato per le rendicontazioni e i rimborsi).
Nel 2019, i partiti hanno infatti incassato oltre 27 milioni di euro di donazioni, sia direttamente che tramite associazioni, comitati o fondazioni strettamente collegati ad essi. Il 73% di questa somma è arrivata dai parlamentari, ovvero ben 19,7 milioni di euro.
Secondo una stima di Transparency International Italia (il capitolo italiano di Transparency International l’organizzazione non governativa leader nel mondo nella lotta alla corruzione), il partito che verrebbe maggiormente colpito dalla riduzione di risorse è il Movimento 5 Stelle, che si vedrebbe privato di 3,1 milioni di entrate, pari al 35% dei finanziamenti percepiti prendendo come riferimento quanto incassato nel 2019. Seguono la Lega di Matteo Salvini, per la quale si stima una riduzione dei contributi di 1,9 milioni di euro, pari al 33% dei suoi contributi totali, il Partito Democratico (-957 mila euro, -18%), Forza Italia (-510 mila euro, -26%) e Fratelli d’Italia (-303 mila euro, -27%).
Tutti i maggiori partiti subiranno quindi un importante contraccolpo economico in caso di vittoria del “SÌ”. Con il passaggio – completato nel 2018 – verso un sistema di finanziamento della politica esclusivamente privato, la competizione per le risorse disponibili sarà ancora più accesa. Prevarranno insomma i partiti in grado di attrarre donazioni da aziende e individui in grado di elargire cifre rilevanti. In parole più semplici, si rafforzerà il legame tra ceto politico e finanziatori privati, lobbies finanziarie e industriali che già adesso ha desertificato il parlamento espungendo, grazie ai processi richiamati in attacco, le sinistre radicali in crisi non solo di credibilità (la partecipazione al Prodi bis è stata devastante per Prc, verdi, cossuttiani ecc…) ma anche senza più risorse, senza la stampa sovvenzionata e in balia dei meccanismi del voto utile.
Spiega bene Marco Bersani di Attac: «L’evidenza più lampante di questi anni è la totale separatezza tra la sfera politico-istituzionale e la concreta vita delle persone, che, dopo anni di espropriazione dei diritti, di privatizzazione dei beni comuni, di vite precarizzate e completamente eterodirette dalle regole del mercato, si ritrovano dentro un simulacro di democrazia, chiamati quasi ogni volta solo a scegliere fra danni, con l’unico auspicio di sceglierne il minore, che poi minore non è mai, perché porta fieno alla cascina del male peggiore».
Lo scenario partitico italiano vive una fase incerta: il bipolarismo a cui aspirava un pezzo della politica italiana si è velocemente frantumato, lasciando sul campo una miriade di partiti e partitini, tutti alla ricerca di fondi e risorse per competere alle elezioni. La riforma costituzionale è di per sé una legge elettorale, con buona pace di chi (Leu e dintorni) si è accontentato della promessa di un proporzionale puro in cambio dell’avvallo al taglio del Parlamento. Infatti il combinato disposto della riduzione del senato e i risicati collegi regionali di fatto creano un sistema con uno sbarramento implicito vertiginoso.
«In uno scenario così competitivo, è ancor più evidente – segnala Transparency – come le tante incertezze legate alle nuove regole di trasparenza del finanziamento alla politica e l’assenza di una regolamentazione delle attività di lobbying pesino come un macigno sul sistema di integrità del nostro Paese».
“Qualora dovesse vincere il fronte del “SÌ”, il possibile rischio è che per attirare nuove e importanti donazioni i candidati siano maggiormente disposti a farsi portavoce dei propri finanziatori, più che del proprio elettorato – ha dichiarato Davide Del Monte, direttore esecutivo di Transparency International Italia – ci auguriamo dunque che se la riforma fosse confermata dagli elettori, Governo e Parlamento prendano in seria considerazione la necessità di ripensare in maniera integrale le regole che dettano la competizione elettorale”.
Già, “farsi portavoce dei propri finanziatori”, il sogno di qualsiasi casaleggio. Più Casta più così.
Nota metodologica
Il calcolo della stima dei mancati introiti dei partiti e movimenti in caso di riduzione dei parlamentari si è basato sui dati delle donazioni ricevute nel 2019 dai partiti e dai soggetti terzi a loro collegati (associazioni, fondazioni, comitati) raccolti dal portale Soldi e politica. È stata calcolata la parte di donazioni di ciascun partito o movimento provenienti dai parlamentari e, considerato che tutti i partiti ricevono contributi dal 95-100% dei parlamentari (ad eccezione di Forza Italia la cui percentuale scende al 77%) al valore è stato applicato un taglio del 36,5% che è proporzionale alla riduzione del numero di parlamentari per ciascun partito o movimento.