Negli ultimi dieci anni Rossana Rossanda, scomparsa il 20 settembre scorso, ha avuto Sbilanciamoci! come interlocutore. Una lunga discussione – una sessantina di articoli su politica, Europa, lavoro – con la passione di capire e convincere. Un lavoro che ha insegnato la politica alle nuove generazioni.

Il bisogno di discutere, di avere interlocutori attenti e informati, di misurarsi in un confronto politico. Era questo un tratto fondamentale di Rossana Rossanda, scomparsa il 20 settembre a 96 anni. Un bisogno che la rendeva esigente, a volte severa, aperta a chi proponeva strade nuove. Più di dieci anni fa, questo bisogno di discussione ha incontrato noi di Sbilanciamoci. Eravamo vecchie conoscenze dai tempi del Manifesto, il giornale che lei aveva fondato e da cui si trovava più lontana. Eravamo un po’ in soggezione di fronte a lei, avvicinati dalle molte visite alla sua casa di Parigi, dalla comune urgenza di capire che cosa cambiava nel capitalismo dopo la grande crisi del 2008, dalla necessità di fare politica.

Da allora Rossana ha avuto Sbilanciamoci come interlocutore. Se questo ci riempiva di orgoglio, non potevamo fare a meno di considerare, noi di Sbil, che questo avveniva con il suo allontanamento dal Manifesto, per i cambiamenti dentro il giornale. Lei non poteva più servirsi del suo elegante, amato quotidiano, molto conosciuto nel mondo, per fare politica, elaborare una linea, per scrivere, riflettere, per vivere in modo coerente. Nessuna speranza di spingere sui tasti del giornale, di indirizzarne le scelte e le campagne, di discutere veramente con esso.

Noi eravamo un gruppo che la stava a sentire e le voleva bene, rispettosamente, con cui le era possibile discutere del mondo e dell’Italia, delle cose in movimento; e fare progetti. Non che noi fossimo chissà cosa, per così dire eravamo una cattiva compagnia, come avrebbe detto in tempi più densi e felici, scherzando, lei stessa, Rossana. In Sbilanciamoci le interessava la capacità della campagna di tenere insieme cinquanta associazioni – ambientaliste, pacifiste, solidali – il che per noi voleva dire che si doveva accettare, in quel gran miscuglio, una medietà di posizioni politiche che forse – o di certo – non erano in linea con il sicuro pensiero rossandiano. Lei sopportava queste mediazioni con la disciplina di chi sa che la politica è fatta anche di questo, che serve pazienza per portare i compagni di strada sulle posizioni più avanzate. E apprezzava la nostra tenacia nel costruire reti, nazionali e internazionali, un pallido sostituto – nei tempi in cui ci troviamo – della ferrea organizzazione di partito che l’aveva formata.

Come sono andate le cose? All’indomani della crisi finanziaria del 2008 su Sbilanciamoci.info si animava la discussione, con un largo gruppo di economisti ed esperti e accanto alla contro-finanziaria italiana crescevano le iniziative internazionali.[1] Di fronte alla crisi si moltiplicano gli incontri pubblici su questi temi, i seminari nelle università, le iniziative con il sindacato, allora sotto l’attacco dalla Fiat di Marchionne.[2]

Era il luglio 2011 quando con Rossana decidiamo di aprire su Sbilanciamoci – con uno spazio anche sul Manifesto – una discussione su La rotta d’Europa, nel doppio senso di tracollo dopo la crisi e dibattito su quale via si poteva prendere. Il suo articolo d’apertura – il primo per Sbilanciamoci – “La crisi senza Unione” detta le domande: perché i padri dell’euro hanno creduto di poter unificare l’Europa soltanto con la moneta, dimenticando l’economia reale e le fratture sociali? E, visti gli effetti della crisi, come ci si può stupire “che gli operai, occupati, o disoccupati, scombussolati dalle scelte dei partiti di sinistra e dei sindacati, non amino questa Europa? E crescano dovunque in voti le destre?”. Domande anticipatrici, decisive anche oggi. Rossana le rivolge a Giuliano Amato in un’intervista, e due volumi raccolgono sessanta interventi. Il dibattito circola anche in inglese su openDemocracy.net, col titolo ‘Can Europe make it?’.[3]

Le conclusioni di Rossana sono che “oggi come oggi la sola risorsa politica e morale (…) sono i movimenti che si estendono a scala mondiale, sfiorando perfino il santuario americano di Wall Street”. “Le proposte che il nostro dibattito sulla ‘rotta d’Europa’ ha sviluppato sono una prima rivolta” contro finanza e disuguaglianze. “Si può osservare che è un programma così ragionevole da ridare il senso perduto alla parola ‘riformista’. Ma è una svolta in direzione di una convivenza umana meno feroce, cui ci siamo troppo facilmente rassegnati”.

A ripensarci, sono stati anni densissimi. Il 9 dicembre 2011 la discussione si trasferisce al Teatro Puccini di Firenze col titolo “La via d’uscita”, promossa da Sbilanciamoci e altre organizzazioni. Rossana torna in Italia apposta, dopo molti anni in cui è stata lontana da eventi pubblici e l’accoglienza per lei è caldissima, emozionante.[4] Incontra qui per la prima volta Maurizio Landini, segretario della Fiom. Tre le questioni che Rossana solleva. Innanzi tutto la valutazione della crisi: “nel rapporto di forze sociali, siamo tornati indietro di un secolo” e “anche le più generose reazioni (…) del tipo ‘indignatevi’ sono destinate a essere travolte se non individuiamo chiaramente il meccanismo di dominio avversario”. Secondo, il che fare; terzo il problema delle forme politiche: “arde tra noi la contesa fra ‘finalmente sono finiti i partiti’ e la difficoltà dei movimenti a coordinarsi e durare”.[5]

La discussione a scala europea è sempre più intensa, con gli Economisti sgomenti francesi, openDemocracy, la rete di EuroMemorandum.[6] Inevitabile un appuntamento a Bruxelles, è il 28 giugno 2012, Rossana arriva in treno da Parigi per il Forum “Un’altra strada per l’Europa” organizzato al Parlamento Europeo da una trentina di organizzazioni – per l’Italia Sbilanciamoci – e apre con Susan George la sessione finale ‘A democratic Europe?’ sul che fare. Il suo rendiconto elenca le proposte emerse a Bruxelles “sui limiti da porre al dominio della finanza e delle banche, e sugli interventi d’emergenza per i paesi colpiti dalla speculazione” (la Grecia è in quel periodo sotto attacco), ma riconosce che “il nostro richiamo a più democrazia si trova di fronte a due spinte opposte”. Da un lato un federalismo europeo di impronta tecnocratica, e dall’altro la spinta populista che vuole ridare a ogni paese la propria libertà d’azione, moneta compresa. La ricomposizione tra economia e politica a scala europea è la strada stretta su cui impegnarsi.[7]

La politica europea non ascolta, la crisi si trasforma in un decennio di recessione, l’Italia è commissariata dal governo di Mario Monti, la Grecia è commissariata dalla trojka. Rossana scrive: “abbiamo detto che siamo per un’Europa che faccia abbassare la cresta alla finanza, unifichi il suo disorientato fisco, investa sulla crescita selettiva ed ecologica, non solo difenda, ma riprenda i diritti del lavoro. Non piacerà a tutti. Ma chi ci sta?”.[8]

I suoi articoli – che spesso arrivano attraverso Doriana Ricci, la sua fidatissima collaboratrice – seguono il calendario della politica, le elezioni del 2012 e la ‘non vittoria’ del Pd di Pierluigi Bersani, il pasticciato voto per il Quirinale che porterà al secondo mandato di Giorgio Napolitano, la parentesi di Enrico Letta, la breve parabola di Matteo Renzi. E nel 2012 si consuma la rottura definitiva di Rossana con il Manifesto.

Decisamente più interessante, per lei, guardare all’Europa. Sul fronte delle elezioni europee già in quelle del 2009 Rossana si era impegnata con molti di Sbilanciamoci e di altre realtà della sinistra nella proposta di presentare una lista unica della sinistra. Era tra le prime firmatarie di un appello con mille adesioni che chiedeva “di dar vita ad una lista unitaria della sinistra, ‘Per la democrazia’, dalla quale restino esclusi i dirigenti dei partiti, che pure sono invitati a promuoverla insieme al più ampio arco di forze e movimenti della società civile”[9]. Sel e Rifondazione rifiutarono, si candidarono divisi e non raggiunsero il quorum del 3%: la sinistra italiana negli anni ella crisi non ebbe voce a Bruxelles. L’idea viene ripresa nel 2014 con la lista ‘Un’altra Europa con Tsipras’ che ottiene tre eletti, ma sarà incapace di iniziativa politica.

A inizio 2014, in vista delle elezioni del Parlamento Europeo, decolla il progetto di un inserto di quattro pagine di Sbilanciamoci per il Manifesto, ‘Sbilanciamo l’Europa’ che sarà pubblicato ogni venerdì dal gennaio 2014 al luglio 2015, illustrato dalle splendide immagini dei libri per bambini di Orecchio acerbo.[10] Rossana – i cui rapporti col Manifesto si sono interrotti – non scriverà nell’inserto, ma segue da vicino il lavoro e i contenuti. Ogni tanto, da Parigi, ci bacchetta; una volta perché pubblichiamo un articolo sulla proposta di reddito minimo universale, e dobbiamo rispondere con una lettera di tre pagine. Un’altra volta ci scrive: “ho sempre apprezzato Sbilanciamoci perché metteva in rilievo gli arcani del capitale e i suoi meccanismi, ma non ignoro che essi si incrociano con spinte non sempre e non immediatamente economiche che in questo momento stanno diventando preponderanti”, e giù un richiamo a capire i nodi della politica mondiale.

Tra i molti temi che tocchiamo, la vicenda della Grecia del governo di sinistra di Alexis Tsipras ha un rilievo centrale, a cui Rossana dedica diversi articoli.[11] Una conclusione: “non è un caso che l’eccezione greca metta in rilievo quanto la sola legge che vale nell’Unione europea sia quella del più forte, in questo caso le banche e i creditori tedeschi, e la prima vittima sia il paese al mondo che ha più dato all’introduzione della democrazia politica”.[12]

Ma è quando parla di lavoro e lavoratori che Rossana s’infiamma. Il lavoro, umiliato e reso precario dal Jobs Act del 2014 di Matteo Renzi, a cui Sbilanciamoci contrappone un ‘Workers Act’, un libro bianco che presenta alternative per creare occupazione, tutelare il lavoro, ridurre gli orari, difendere i salari.[13] La sua prefazione inizia spiegando che quelle pagine “si chiamano ‘Workers act’ perché esprimono il punto di vista dei lavoratori”. Spiega che le misure del governo vogliono “rendere la prestazione della manodopera più flessibile in entrata e in uscita, cioè meno garantita per i dipendenti sia nell’assunzione, sia nel licenziamento, che torna a essere possibile a piacimento del padronato con un semplice rimborso, abolendo quel che restava dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori del 1970”. Ricorda che “l’idea che un paese si fa del rapporto di lavoro è infatti fondamentale per la qualità della democrazia e della socialità che si persegue. L’idea del lavoro ha conosciuto (…) un’involuzione decisiva nella legificazione dell’attuale governo; è significativo che essa avvenga sotto l’egida di un premier espresso dal più grande partito di sinistra, fino a venti anni fa simbolo del movimento operaio. Non siamo una eccezione, sono chiamati governi di sinistra o di coalizione con la sinistra quelli che trascinano l’Europa sulla via dell’austerità, con la restrizione dei diritti sociali, del welfare e della spesa pubblica”. Sottolinea il ritardo della protesta sociale e sindacale contro il Jobs Act e conclude così: “La ricezione inizialmente senza intoppi – tranne quelli venuti dalla Cgil o, come questo lavoro, da Sbilanciamoci, nel silenzio del Partito democratico – è significativa di un’ennesima caduta culturale e morale del paese. Di qui l’importanza negativa del Jobs act e di questo tentativo di opporgli una critica e un’alternativa, offerte come materiale di lavoro alla classe operaia e ai suoi gruppi di studio, cui spetta discuterle ed eventualmente modificarle”. Rossana era questo.

Per Sbilanciamoci tra il 2011 e il 2019 ha scritto oltre 60 articoli, sotto l’occhiello ‘Promemoria’. Ritornata a Roma nel 2018, si è impegnata in un suo libro e le nostre discussioni si sono fatte private, continuavano a casa sua. Con Luciana Castellina e altri che aveva vicino. Su Sbilanciamoci abbiamo pubblicato altri suoi testi, l’ultimo è stato l’intervento al Senato a un incontro sul suo maestro, il filosofo Antonio Banfi. Parla del suo saggio ‘Moralismo e moralità’, scritto all’inizio della Resistenza, e letto “come una guida per l’immediata decisione che dovevamo prendere”, se “pronunciarsi contro il proprio paese augurandosene la sconfitta oppure mettersi dalla parte del regime”, un testo che “è rimasto impresso nel corso della mia intera esistenza”.[14] Rossana alla fine ritorna qui, dove tutta la sua storia è cominciata.

Un grande impegno, i contenuti giusti – lasciatecelo dire – e un contenitore, Sbilanciamoci, lontano dall’essere all’altezza. Rossana non si lamentava mai dello scarso contesto che le offrivamo. Tirava dritto nella discussione. Rimaneva se stessa e si sentiva parte di un altro collettivo, uno dei tanti che le era capitato di frequentare: noi. Nel capire, nello scrivere sul piccolo Sbilanciamoci metteva lo stesso impegno che avrebbe messo per un giornale da centomila copie. Aveva una verità da rimettere in discussione, indignazione, speranze. Doveva come sempre dare il meglio, coinvolgere, svolgere il proprio ruolo di rivoluzionaria e di militante capace di convincere e di prevalere con le idee. Capace, senza darlo a vedere, di creare due, tre generazioni di compagne e compagni che hanno imparato la politica – e molto di più – soprattutto da lei. Grazie, Rossana.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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