Il Presidente della Generalitat catalana, Quim Torra, è stato destituito e condannato a 18 mesi di interdizione a cariche o funzioni pubbliche, compreso il diritto all’elettorato passivo.
Questo significa che il governo catalano rimane in carica per l’ordinaria amministrazione (per esempio non potrà presentare la legge di bilancio) finché non verrà eletto un nuovo Presidente o, esauriti i termini temporali per l’elezione che sono di due mesi, finché non ci saranno nuove elezioni del parlamento, e cioè altri due mesi.
Quale grave reato ha commesso il Presidente della Generalitat?
Per surreale o perfino ridicolo possa apparire il reato è la disobbedienza, per poche ore, verso un’ordinanza della Giunta Elettorale Centrale in occasione delle elezioni generali spagnole dell’aprile del 2019, che gli imponeva di ritirare uno striscione dalla facciata del palazzo della Generalitat che recava la scritta: “libertà per i detenuti politici ed esiliati” e il nastro giallo simbolo della protesta contro la repressione.
Senza addentrarci in una discussione giuridica infinita è necessario spiegare alcune cose:
1) in Spagna non sono, come in Italia, le Corti d’Appello circoscrizionali e la Corte Suprema di Cassazione a gestire le elezioni. Viene nominata una Giunta Elettorale Centrale composta da 8 giudici del Tribunal Supremo nominati dal vertice del potere giudiziario e da 5 giuristi nominati dal parlamento, e cioè di fatto dai partiti maggiori. La Junta Electoral Central (JEC) è un organo amministrativo e non giudiziario.
2) circa un mese prima delle elezioni dell’aprile 2019 la JEC riceve una denuncia del partito di destra Ciudadanos secondo la quale il nastro giallo è un simbolo usato da partiti concorrenti nelle elezioni generali, e ne ordina il ritiro.
3) inizia un contenzioso legale e giuridico. Il Presidente ricorre sostenendo che a) la Jec è un organo amministrativo e non può dare ordini al governo catalano; b) il nastro giallo non è un simbolo di partito e non è strettamente indipendentista (lo espone anche il comune di Barcellona il cui governo non è indipendentista); c) nella Jec siedono diversi magistrati implicati nei diversi processi contro gli indipendentisti; d) nella Jec ha partecipato alla decisione un giurista nominato dal parlamento su proposta di Ciudadanos che ha partecipato alla redazione della denuncia che ha poi accolto come membro della Giunta.
4) la Jec, prima e dopo l’episodio in questione, ha preso anche altre decisioni a dir poco molto controverse, a dimostrazione che non è certo un organismo neutrale.
È il caso delle elezioni europee nelle quali aveva deciso di escludere dalle liste gli indipendentisti in esilio, nonostante questi godessero di tutti i diritti politici, per poi essere smentita dal Tribunal Constitucional.
Ha proibito alla televisione pubblica catalana di usare le espressioni “detenuti politici” e “esiliati” in violazione del diritto fondamentale di libertà di espressione.
Ha sostenuto che gli indipendentisti eletti al parlamento europeo non potevano prendere possesso del seggio in quanto non si erano recati a Madrid a giurare sulla Costituzione spagnola (cosa che non avrebbero potuto fare perché sarebbero stati immediatamente arrestati e che comunque è totalmente impropria per deputati europei), per poi essere smentita da organi giurisdizionali europei e dal parlamento europeo.
Dopo la prima sentenza non definitiva contro il Presidente della Generalitat la JEC ha deciso (7 voti a favore e 6 contrari) che Quim Torra doveva decadere dalla carica di deputato del parlamento catalano e sul ricorso del governo catalano nel gennaio di quest’anno il Tribunal Supremo ha confermato la decisione della JEC. Alla fine dopo molte controversie Torra ha perso condizione di deputato ma non quella di Presidente della Generalitat.
E si potrebbe continuare a lungo.
In realtà questo ultimo non è altro che l’ennesimo episodio di una causa giudiziaria generale contro l’indipendentismo catalano promossa e condotta dagli apparati giudiziari centrali spagnoli, sostenuta dai partiti di destra, e spesso anche dal PSOE, e dal 90% della stampa e televisioni spagnole.
Per la vicenda del referendum e fatti connessi sono in carcere 7 esponenti del governo catalano del 2007, i due presidenti delle associazioni di massa indipendentiste, e numerosi altri sono in esilio giacché i tribunali di Belgio, Germania, Gran Bretagna e Svizzera non hanno concesso mai l’estradizione. Il vertice della polizia catalana attende una sentenza. Circa 2500 fra parlamentari catalani, sindaci, consiglieri comunali e semplici cittadini sono tutt’ora inquisiti, o già imputati, processati e condannati.
Tutto per un referendum dichiarato illegale, ma che nella legislazione spagnola non è reato penale, e per un ciclo decennale di manifestazioni e mobilitazioni totalmente pacifiche, che nei processi sono state catalogate come parti del reato di “rebelion” o “sedicion” e cioè, per tradurlo nel linguaggio giuridico di altri paesi europei, di colpo di Stato o insurrezione armata.
È ormai provato, e prima o poi (forse) ci saranno processi e sentenze, che sotto i governi del Partido Popular hanno operato apparati deviati della Guardia Civil e della Policia Nacional per spiare, per costruire false accuse di corruzione contro indipendentisti e contro Podemos, per sottrarre prove e ostacolare indagini nei processi del PP per corruzione e finanziamento illegale.
La monarchia spagnola è in crisi. Sono venuti alla luce gravi casi di corruzione del re emerito che hanno costretto il re in carica a prenderne le distanze. Ma è impossibile che l’istituzione monarchica possa riguadagnare credibilità, sia perché i crimini del re emerito non possono essere giudicati giacché il potere giudiziario lo considera (purtroppo con qualche ragione di ordine costituzionale) totalmente inviolabile, almeno per tutti i reati commessi quando era in carica, sia perché il re in carica compare come titolare, con suo padre, di almeno due fondazioni finanziarie di decine e decine di milioni di euro collocate in paradisi fiscali, sia perché la fuga del re emerito negli Emirati Arabi e la “rinuncia” del re in carica alla eredità patrimoniale (che è una semplice dichiarazione verbale senza alcun effetto giuridico) non possono convincere nessuna persona di buon senso sulla natura democratica e super partes della monarchia spagnola. Se il PP, VOX e Ciudadanos, con i vertici del potere giudiziario, la difendono è solo perché incarna e garantisce “l’unità della patria”, come voluto esplicitamente dal dittatore Franco.
Il governo di coalizione PSOE UP su tutto questo è diviso. E lo è anche il PSOE al suo interno. Dovrà prima o poi decidere se aprire una nova fase della storia della Spagna riconoscendo l’esistenza delle nazioni finora negate e dovrà decidere se completare la transizione, ancorché con un enorme ritardo.
Gli indipendentisti catalani ovviamente vogliono usare le contraddizioni dello Stato spagnolo, ma sono divisi al proprio interno fra una linea dura di scontro frontale con lo Stato e una linea morbida di negoziato e dialogo sostenuto dalla mobilitazione popolare. Tutti uniti però nella richiesta di amnistia per le migliaia di vittime della repressione e per il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione come unica via possibile per risolvere il conflitto.
Il primo vero appuntamento saranno le elezioni catalane fra circa 4 mesi. I tre partiti indipendentisti tenteranno di superare la fatidica soglia del 50% dei voti. Se ci riusciranno si aprirà veramente la via del negoziato o lo scontro si farà più complesso e duro.
È presumibile, quindi, che i prossimi mesi saranno tutto meno che tranquilli.