Riceviamo e pubblichiamo
di Alice Strazzeri
Autrice
Alice Strazzeri, nata a Cagliari, si laurea nel 2014 in Lettere presso l’Università di studi della propria città con 110 e lode. Nel 2018, presso l’Università Almae Mater Studiorum di Bologna, consegue la laurea magistrale in Scienze storiche col massimo dei voti. La sua tesi magistrale ha vinto il premio di laurea “Luciana Zerbetto”. Nel 2019 ha preso parte ad un Workshop entografico sulla metodologia dell’intervista presso il Centro servizi culturali di Carbonia e nel 2020 ha pubblicato alcuni articoli nelle riviste online “WitnessJournal”, “Nuovatlantide” e “Parentesi Storiche”. Dal 2018 collabora con la Fondazione Duemila di Bologna per la scrittura di un libro che ricostruisce la storia della Casa del popolo di Calcara (BO) e che sarà pubblicato nel gennaio 2021. Ha avuto modo, inoltre, di collaborare con la Fondazione Berlinguer di Cagliari.
Abstract
Daniel Alejandro Granada Gonzàlez, ragazzo colombiano di 28 anni, ci racconta la sua vita in Italia, la scelta di partire ed intraprendere questo lungo viaggio in Europa per inseguire il suo sogno di diventare un flautista. Arrivato in Italia nel 2012 all’età di vent’anni, ha abitato un anno in provincia di Fiorenzuola per poi trasferirsi a Piacenza per studio e successivamente a Modena, a Milano e alcuni mesi a Venezia per lavoro. Daniel ha avuto modo anche di fare un’esperienza in Germania e attraverso la sua testimonianza vengono messe in luce le differenze tra i due Paesi europei e tra la cultura europea e quella latina, oltre alle difficoltà incontra un extracomunitario nel vivere e nell’integrarsi in Italia e nel contesto europeo in generale. L’intervista è avvenuta nell’agosto del 2020 a casa di Daniel a Bologna dove lui ora vive e frequenta il Conservatorio.
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Legenda: D. = Daniel; I. = Intervistatrice
D. Io sono Daniel Granada, Daniel Alejandro Granada Gonzàlez il nome completo, ho 28 anni, sono di Cali, in Colombia, una città di due milioni e mezzo di abitanti, la terza città, le altre sono Bogotà che è la capitale e poi c’è Medellìn.
I. In che quartiere abitavi di Cali? Com’era la tua vita in Colombia? La tua famiglia?
D. Il mio quartiere si chiama Nueva tequendama, un quartiere di classe media. Cali essendo una città della Colombia, del Terzo mondo quindi, è una città dove si alternano borghi bassi diciamo, con quartieri di classe media, quartieri ricchi, e con i quartieri periferici dove tutto è povertà assoluta! Io a Calì vivevo con mia madre, il mio fratellastro si dice in italiano, in spagnolo fratello anche perché siamo vissuti sempre insieme, e il marito di mia madre che è come se fosse mio padre perché mi ha cresciuto praticamente, anche se mio padre esiste! Quindi quella è la mia famiglia.
Ormai, essendo in Italia da otto anni, quando vado in Colombia sono in vacanza, vado a trovare i parenti, gli amici… invece quando vivevo lì prima, la mia vita era molto stressata siccome la città è grande mi alzavo molto presto, c’è molto traffico, l’Università comincia prima, le lezioni iniziano alle sette per esempio, la scuola parte prima… a volte per arrivare in un posto ci mettevo più di un’ora, quindi tutto sempre di corsa, il tram tram era frenetico, la vita in generale è più frenetica di quella italiana. Quando ero lì sono sempre stato uno studente mi alzavo alle sei del mattino, doccia al volo, colazione veloce, prendevo il flauto, gli spartiti e andavo in Conservatorio dove facevo le mie lezioni e studiavo. Molto simile a quella in Italia a dire la verità! Solamente che perdevo molto più tempo ad arrivarci…
I. Come mai la scelta di partire?
D. Mi aveva invitato un’amica di mia madre, colombiana che è sposata con un italiano, mi ha detto: “Vieni qua, conosci l’Italia e vedi se ti piace! Stai con me per un anno, ti offro il mio tetto, ti do da mangiare…” Quindi c’era un gran risparmio e una grande chance di andare in Europa che comunque è il mito per la musica, per le arti, Primo mondo, il Vecchio continente, c’è un po’ il mito quindi non potevo sprecare questa opportunità. Sono stato un anno da questa amica di mia madre, Liliana, e dopo quell’anno mi è piaciuta e son rimasto. Ho sempre avuto l’idea di andare all’estero, la mia idea iniziale era quella di andare in Francia, poi ho avuto questa opportunità di andare in Italia e quindi son venuto qui che comunque era ottimo.
I. Quali sono state le modalità per venire? Come ti sei preparato burocraticamente parlando ma anche per imparare la lingua e così via?
D. Allora… un macello! Ho dovuto fare un esame di italiano e presentare una certificazione economica dove affermavo di avere sette mila euro, un po’ meno forse… per dimostrare che avevo i soldi per stare in Italia come studente un intero anno, quindi avevo aperto un conto con quella cifra. Mi ero recato poi all’ambasciata italiana per chiedere se nei Conservatori italiani ci fossero dei posti per stranieri e quindi compilare la richiesta da mandare al Conservatorio che avevo scelto, e poi tanti altri documenti. Io sarei voluto venire un anno prima ma non ce l’ho fatta per via di tutta questa documentazione da preparare che doveva passare all’ambasciata poi al Ministero degli Esteri e ci mettevano mesi, mille timbri… Quindi quell’anno sono rimasto in Colombia e ho frequentato il Conservatorio a Cali infatti quando sono arrivato in Italia mi son fatto riconoscere un po’ di crediti.
I. Hai mai avuto dei dubbi o ripensamenti sul partire? I tuoi come hanno preso questa tua decisione?
D. No! L’idea era partire, sì o sì! Primo anno non ce l’ho fatta e ho pensato riprovo il prossimo, e se non ce l’avessi fatta avrei continuato a provare. Quando sono arrivato in Italia era il 2012 e avevo vent’anni, stavo per fare ventuno. Mia madre era un po’ sconvolta, ha un po’ sofferto e piangeva tutti i giorni prima che io partissi ma erano d’accordo che era la scelta giusta.
I. Che lavoro fanno i tuoi? Loro hanno mai pensato di lasciare la Colombia?
D. Mia madre è docente universitario mentre mio patrigno ha una sorta di azienda familiare ed anche una piccola attività agricola, lavora la terra, vende la frutta queste cose qua. Loro stanno bene, non hanno mai pensato di partire, io sono venuto qua perché sono un’artista e l’Europa così come gli Stati Uniti sono il top! Molti altri miei amici musicisti sono andati in Germania, Francia, Italia, Spagna, diciamo che queste sono le mete europee principali. Tra i miei compagni di studi una decina su trenta sono partiti. Per altre carriere però si può vivere tranquillamente in Colombia, un ingegnere, un giornalista e così via, ad esempio, possono avere una bella carriera anche a Cali.
I. Hai mai pensato di andare negli Stati Uniti che sono più vicini?
D. Negli Stati Uniti il problema è che costava molto l’Università, se non riesci a prendere una borsa di studio i costi sono davvero alti ed anche la vita lì è cara, inoltre la cultura americana mi ispirava di meno di quella europea, trovo che abbia meno storia, almeno da quello che vedo dall’esterno poi non li conosco molto da dentro.
I. Qual è stato il tuo primo impatto con l’Italia?
D. Difficile inizialmente perché venivo da una grande città in cui c’erano tante cose da fare, avevo tanti amici, una cultura molto diversa, uscivo spesso, andavo a ballare la salsa quasi tutte le sere… avevo la macchina per andare dove volevo e avevo i soldi, non ero ricco ma ero benestante ed avevo le mie libertà! Quando sono arrivato qui invece mi sono trovato in un paesino piccolissimo, Fiorenzuola, ma nemmeno centro, era una frazione quindi circa cinque abitanti per dire! Tutto grigio sempre, sono arrivato in autunno e faceva già freddo, pioveva poi era una casetta di campagna sperduta nel nulla mentre io sono una persona di città e Cali è sempre splendente, c’è caldo e il sole tutto l’anno! Non avevo la macchina ma una bicicletta e studiavo a Piacenza quindi da Fiorenzuola dovevo prendere il treno. Un altro tipo di vita insomma! Poi l’italiano ancora non lo parlavo molto bene quindi per tutti questi motivi ho incontrato un po’ di difficoltà ad integrarmi il primo anno, conoscere gente…
I. Qual è l’aspetto che trovi più differente tra l’Italia e la Colombia?
D. Non lo so… son tante piccole cose nel modo di pensare, di essere, di porsi davanti al mondo, alla realtà, di mettersi davanti alla vita. Un italiano, per esempio, crede che ce la può fare ad arrivare dove lui vuole perché gli italiani hanno successo in tutti gli ambiti professionali, avete esempi di musicisti eccezionali, grandi artisti, grandi architetti, l’Italia ha prodotto gente di grande valore. Da colombiano invece sei un po’ complessato, c’è qualcosa in me che mi dice che non ce la posso fare perché sono colombiano. Questo perché nella nostra realtà non siamo riusciti a farlo, se non rari casi come Botero ad esempio, ecco c’è chi ci riesce ma non sono molti esempi e poi noi non abbiamo questi grandi musicisti, artisti poca roba esce ecco. Quindi nel nostro immaginario collettivo non c’è, e io vivo questa continua lotta con me stesso per crederci che ce la posso fare.
L’italiano inoltre è molto orgoglioso di essere italiano, può passare delle ore a parlare di quanto bello è il suo Paese invece i colombiani sempre stanno lì a criticare la Colombia, ci manca un po’ un’identità, non abbiamo nemmeno un’origine chiara siamo un po’ neri, un po’ spagnoli, un po’ indigeni. Le ricorrenze nazionali e sociali in Italia son sentitissime e mi stupisce sempre un po’ perché, sebbene in Colombia siano successe delle stragi molto gravi, la gente non sta lì a ricordarle e commemorarle come vedo accade in Italia, con pianti, grandi manifestazioni etc… credete molto nella vostra storia, è molto sentita! Ovviamente poi sto generalizzando, credo comunque che sia anche legato ad un fattore educativo, l’Italia è Primo mondo, è tutto classe media più o meno, e l’educazione generale è di un certo livello, in Colombia invece ci sono dei posti in cui l’educazione è davvero molto bassa.
I. C’è qualcosa che critichi o che non ti piace del tuo Paese?
D. Ci sono troppi problemi: la corruzione… e quella è fortissima!, c’è il narcotraffico e siamo diventati un punto strategico di produzione e distribuzione, e questo crea un sistema di mafie interne di tutti i tipi che alla fine entrano in tutti i campi nella politica, nella polizia, nella guerriglia e questo ha fatto sì che la Colombia da una parte sia sfruttata, dall’altra sia emarginata e stigmatizzata. Il narcotraffico poi ha prodotto un po’ il sogno del narcos, soprattutto nelle classi povere, di poter riuscire con poco sforzo e velocemente. Un tempo li chiamavano “i magici” perché con uno schiocco di dita diventavano ricchi! Questo genera tutta una serie di idee e immaginari perché ci sono poi le donne che aspirano a diventare le compagne dei narcos che quindi si impegnano per avere tette e culi grossi tutte rifatte per poter sposare un narcos e farsi mantenere. Quindi il narcotraffico crea anche scarsa educazione, tossicodipendenza e tutta una serie di personaggi, dei ruoli e tutto questo si somma all’ideale della vita facile senza grandi ambizioni.
In più c’è un grande strato della popolazione che è marginale, economicamente parlando, ed è costituito da tutta una serie di persone che si sentono abbandonate dallo Stato colombiano perchè in effetti questo non si interessa ai poveri, li abbandona completamente. Queste persone non hanno grandi opportunità e non hanno paura di niente, e questo crea delle gang molto forti, di killer, sicari, spacciatori, insomma malavita. In Colombia oggi abbiamo un governo destroso, corrotto molto legato al narcotraffico e al paramilitarismo, il cui grande leader è Alvaro Uribe, un grandissimo criminale, che ha creato un potere tutto legato al narcotraffico e il Presidente è il suo burattino.
I. In Italia, secondo te, quanto si sa della Colombia?
D. Credo molto poco sia per un discorso eurocentrista che ti porta a pensare che la storia è quella europea, l’egemonia storica ed economica è stata sempre in Europa, poi ovviamente ci sono anche gli Stati Uniti ma voi comunque avete una grande storia e cultura. C’è un po’ di arroganza credo: “I Romani son stati qua, Da Vinci come altri grandi artisti sono stati qua, noi siamo il centro, anche la storia importante, le due guerre mondiali, il nazismo son nate in Europa, gli europei hanno conquistato il mondo, la Spagna ha conquistato l’America, la Francia ha conquistato una buona parte dell’Africa!” La storia che noi studiamo in Colombia è quella europea, ovunque è storia europea, tutti sanno dei Romani e del Medioevo ma son pochi quelli che studiano gli indigeni, gli Atzechi o i Maya, perché l’eurocentrismo non prevede che quello sia cultura, la cultura l’avete portata voi europei in tutto il mondo, ci avete salvato, conquistato, convertito, quindi non è perché è Colombia, è perché non è Europa!
In Italia son stato spesso soggetto a battutine: “Ahah colombiano, sei narcos!”. Io alla fine l’ho preso con umorismo perché tanto… tanti pregiudizi, tanti sguardi strani, insospettiti. Gli italiani pensano al colombiano come ad una persona un po’ illegale, un po’ losca e per fortuna che son bianco perché se fossi scuro sarebbe peggio ancora! A volte sento come se mi considerassero un po’ di meno perché sono straniero che quindi non posso capire alcune cose, che in parte è lecito perché di politica italiana ad esempio non ne so molto, ma ecco… Si sa solo della coca in Italia! Nessuno che mi abbia parlato della salsa, degli smeraldi colombiani che sono il numero uno nel mondo, del caffé colombiano che è famosissimo, della foresta colombiana, dell’Amazzonia che anche noi abbiamo, mentre, per dire, in Colombia è il contrario, se viene un italiano, e ce ne sono, allora: “Woow! Abbiamo un europeo tra di noi!” e anche qualcuno che magari in Europa non è uno di successo in America latina può averlo, ha un certo prestigio, fa scena, trova subito lavoro e così via… Il mio insegnante di flauto per esempio in Colombia era italiano. Io con questa mia esperienza ho un po’ ridemensionato questo “mito” perché comunque voi in Europa, diciamo, avete più agii, città più piccole quindi più tempo per fare le cose, meno stress, migliori insegnanti, più soldi, tutti elementi che vi permettono di avere successo.
I. Tu quanto sapevi dell’Italia prima di partire?
D. Dell’Italia in particolare non troppo, a parte che non sono appassionato alla storia. Sapevo della pasta e che si mangiava molto bene, che c’erano molti posti storici e che era una penisola quindi il mare con tanti posti belli inseriti nell’Unesco, che avevate una tradizione artistico-musicale molto forte.
I. Quali sono le tue prospettive per il futuro? Pensi di tornare in Colombia?
D. Sto lottando per rimanere in Italia ma è molto difficile perché sono arrivato come studente ma una volta che termini il tuo percorso di studi passi in una condizione che si chiama “attesa di lavoro” in cui dichiari appunto che attendi un lavoro e devi per forza cercare un impiego con un certo tipo di contratto che ti permetta di rimanere ancora in Italia, poi dovrei aprire la partita Iva. Vorrei rimanere ancora un po’ qua, non so se per sempre ma sicuramente per qualche anno ancora per prepararmi meglio musicalmente, per conoscere meglio l’Italia che conosco ancora poco, per vivere! In questi anni da studente sono sopravvissuto perché ero sempre a corto di soldi e non ho goduto appieno dell’Italia, avrei voluto fare più cose, viaggiare di più, conoscere meglio la gastronomia italiana andando anche in ristoranti e mangiando fuori, andare a vedere degli spettacoli! Vorrei sentirmi più come uno che vive qua e non come una persona che è qua di passaggio, quindi vorrei trovare un lavoretto per avere la chance di sentirmi così, prepararmi meglio da flautista e capire bene se voglio rimanere qua in Europa per sempre o invece tornare in Colombia. Mi sento anche un po’ in dovere di trasmettere quello che ho imparato in Italia, in Europa in generale perché sono stato anche in Germania, quindi di offrire quello che ho imparato qua a persone che non sono potute partire, lasciare la Colombia ed avere una preparazione come la mia. Mi ritengo molto fortunato e privilegiato perché ho l’opportunità di essere qua in Italia, formarmi, studiare, sono molto contento che la vita mi abbia offerto questa opportunità e mi sento in dovere di condividerlo, ma non so bene come farlo, se tornare ogni estate lì per diffondere questo sapere, trasferirmi lì o altro. Per ora però vorrei continuare a stare qualche annetto qua in Europa a viverla.
I. Ti sei pentito di essere venuto in Italia e non in Francia secondo il tuo progetto iniziale? Pensi di rimanere in Italia o trasferirti in qualche altro Paese europeo?
D. L’Italia mi piace molto, ha tante cose meravigliose, adoro gli italiani, per tanti aspetti mi trovo bene ma purtroppo è difficile trovare lavoro musicalmente, mi sembra che siamo tutti lì a lottare per delle briciole, inoltre, c’è un enorme burocrazia e per me che sono extracomunitario e sono un po’ pigro con le faccende burocratiche è molto più difficile. Per questo ho cercato di andare in Germania dove da una parte c’era meno burocrazia dall’altra una burocrazia che ti porta a qualcosa perché a me sembra che in Italia la burocrazia sia labirintica, ti porta ad altra burocrazia, non sai se funzionerà, ho mille certificati ma non mi sono mai veramente serviti per davvero! In Germania sembra che tutto funzioni! Tutte le persone sembra che ti vogliano venire incontro. L’Italiano mi dà l’impressione di essere uno che ci tiene a mangiare bene, uscire con gli amici, a vestirsi bene, ad avere classe, stile, ad essere colto, diciamo pensa molto più a se stesso. Il tedesco pensa a far sì che tutto funzioni, che l’ingranaggio vada.
I. Com’è stata la tua esperienza in Germania?
D. Un po’ sofferente… Io sono andato lì perché se ne parla molto bene economicamente, la scuola di musica è molto forte, tutti i miei amici che sono andati lì hanno trovato lavoro da musicisti da qualche parte quindi volevo andare lì. Ho fatto domanda in un Conservatorio di Colonia e mi hanno preso ma ero un po’ incasinato con la casa, ero ospite da una mia ex, poi andavo a Modena dove stavo finendo il mio percorso di Conservatorio e nel frattempo dovevo anche andare a Milano. Ero molto impegnato quindi non ce l’ho fatta a godermi bene la Germania poi ad un punto mi hanno espulso perché non ho passato l’esame di lingue! Sono rimasto sette mesi.
I. Riesci a tornare spesso in Colombia?
D. Appena posso… Per questioni burocratiche non posso sempre uscire dall’Italia quando voglio, poi a volte non dispongo dei soldi e/o del tempo necessario, quindi scelgo un po’ a seconda della situazione.
I. Che situazione c’è ora lì? Sei preoccupato?
D. Beh essendo Terzo mondo si parla di un possibile disastro post pandemia perché lì c’è molta gente che vive alla giornata, se io vivo unicamente vendendo patatine per strada e ora non lo posso più fare è un macello, e tanti sono così! Loro sono ancora in lockdown ora… poi noi abbiamo anche una continua immigrazione di venezuelani e questo aggrava ancora di più le cose.