A distanza di tanti mesi – segnati da silenzi e opacità istituzionali –  dalla morte di 13 persone detenute, il Comitato che chiede Verità e Giustizia prova a fare il punto

Ricapitoliamo

A distanza di tanti mesi – segnati da silenzi e opacità istituzionali –  dalla morte di 13 persone detenute, un fatto di gravità inedita nella storia penitenziaria italiana, e riprendendo la pubblicazione della Newsletter del Comitato che chiede Verità e Giustizia per quelle morti, è opportuno provare a fare il punto.

Le 13 persone detenute decedute durante le proteste del marzo 2020 hanno trovato la morte in situazioni diverse.

Nelle celle del carcere di Modena sono morti in 5: Hafedh Chouchane, Lofti Ben Masmia, Ali Bakili, Erial Ahmadi, Slim Agrebi

Nel carcere di Bologna è morto Haitem Kedri,

In quello di Rieti sono morti in 3: Marco Boattini, Ante Culic e Carlo Samir Perez Alvarez.

Dopo o durante il trasferimento da Modena sono morti altri 4 detenuti: ad Alessandria Abdellah Rouan, a Verona (in transito verso Trento) Ghazi Hadidi, a Parma Arthur Isuzu, a Ascoli Piceno Sasà Piscitelli
Cosa si sa, a oggi, delle cause di queste morti?

Sono noti gli esiti di alcune autopsie.

A metà agosto, l’esame condotto da Enrico Silingardi di Medicina legale sui 5 detenuti morti tra le mura del carcere di Modena e consegnato alla Procura afferma che la morte è avvenuta per overdose da farmaci e metadone e che non vi è evidenza di lesioni o percosse.

A Bologna, la pm Manuela Cavallo in luglio chiede l’archiviazione per la morte da overdose da farmaci di Haitem Kedri.

Per 3 dei 4 deceduti dopo o durante il trasferimento non si hanno ancora notizie, il procuratore aggiunto di Modena, Giuseppe Di Giorgio, dichiara che sono in corso indagini; per Sasà Piscitelli, morto nel carcere di Ascoli dopo il trasferimento, procede la procura locale, a oggi è stato depositato l’esito dell’autopsia che è al vaglio della Procura.

Cosa si continua a non sapere?

Noi tutti siamo in attesa di poter accedere alle informazioni dettagliate dalle autopsie: per esempio, quali sostanze? e in che dosaggi? Domande necessarie a capire se e come un episodio di overdose è stato fatale

Ma soprattutto le domande riguardano la dinamica dentro cui queste morti sono avvenute.

L’omesso soccorso: perché non sono stati tempestivamente soccorse le persone, dato che per i 5 morti di Modena e per quello di Bologna, almeno, si dà per accertato l’overdose? Perché non è stato fatto, anche considerando che la morte per overdose da metadone e da psicofarmaci non è immediata, ma richiede un certo tempo?

La violazione di ogni protocollo per quanto concerne i trasferimenti: perché i detenuti sono stati messi su un blindato, per ore, senza una visita medica che ne accertasse l’idoneità al trasferimento? Perché durante il viaggio, di fronte a sintomi evidenti, non si è provveduto tempestivamente al soccorso, aspettando invece che si compisse l’inevitabile?

Perché alcuni sono morti a molte ore dai fatti, senza che nessuno – agenti, medici, operatori – prestasse attenzione alle loro condizioni e intervenisse?

Infine, il metadone che sarebbe stato assunto dai detenuti era custodito secondo quanto prescrivono i protocolli? Com’è stato possibile averne così facile accesso?

Come si inseriscono in queste indagini le numerose denunce di pestaggi e violenze da parte degli agenti avvenuti durante e dopo le rivolte?

Già in aprile davamo le prime notizie di pestaggi e violenza ai danni dei detenuti a Modena, grazie a lettere e informazioni pervenute al Comitato da alcuni famigliari (vedi Newsletter n. 4), nelle settimane successive si sono moltiplicate denunce e anche esposti formali da parte di persone detenute, provenienti da tutte le carceri coinvolte nelle lotte e raccolte da associazioni, Garanti e media (sulla pagina Facebook del Comitato tutti gli aggiornamenti).

È necessario che la magistratura avvii e conduca indagini serie e approfondite sulle violenze ai danni dei detenuti nei casi segnalati, e soprattutto sul carcere di Modena, perché la verità su come sono state condotte le operazioni di controllo, contenimento e repressione delle rivolte e le seguenti fasi di “ristabilimento dell’ordine”, è una variabile fondamentale e non eludibile del contesto in cui queste 13 morti sono avvenute.

La morte di Sasà

La morte di Sasà Piscitelli, nel carcere di Ascoli, dopo la traduzione da Modena, è emblematica di tutte le 13 morti e di tutte le domande che restano ancora senza risposta: l’evidente mancanza di una visita medica prima del trasferimento; una lunghissima traduzione senza che nessuno prestasse attenzione alla sua condizione; l’arrivo al carcere di Ascoli evidentemente senza una visita medica (oppure, qualora effettuata, la totale e colpevole irresponsabilità di medici e agenti); a detta della denuncia di compagni di detenzione, un trattamento violento al suo arrivo in cella e il suo essere lasciato privo di sensi senza che nessuno gli prestasse soccorso.

I risultati dell’autopsia sono stati depositati in agosto, come sta procedendo la procura di Ascoli? E come si stanno coordinando queste indagini con la procura di Modena, dato che da lì tutto è cominciato?

Ricapitoliamo. E impediamo silenzi e facili archiviazioni

Le domande su cui pretendere risposte chiamano in causa la magistratura inquirente, che deve alzare lo sguardo al contesto in cui queste morti sono avvenute e alle dinamiche specifiche di ogni morte. Chiamano in causa l’Amministrazione penitenziaria e configurano responsabilità gravi, nonché la violazione di diritti fondamentali quali quello alla vita, alla salute e alla sicurezza di chi è recluso. E possono configurare anche reati gravi, qualora l’accertamento della verità dei fatti confermasse il totale disprezzo, che emerge ormai da più fonti, dei protocolli posti a tutela della salute e della incolumità di chi è detenuto.

Queste 13 morti non sono archiviabili con un “se la sono cercata”, e l’overdose, qualora confermata, non può essere ritenuta la sola causa. La verità va cercata anche nelle responsabilità di chi, per propria competenza, deve garantire la vita di coloro che sono sotto la sua custodia.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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