Dopo scioperi e cortei selvaggi della scorsa settimana in diverse città italiane, mercoledì prossimo si terrà il tavolo del governo con i sindacati confederali e le rider union sul contratto capestro firmato tra Assolidevery e Ugl. Intanto le mobilitazioni non accennano a diminuire
Quando inizia il coprifuoco, con bar e ristoranti chiusi al pubblico, nelle strade silenziose delle nostre città rimangono a sfrecciare solo i lavoratori che consegnano cibo a domicilio. Da alcuni incensati tra gli “eroi” dell’emergenza pandemica, i rider sono sempre più sfruttati da quelle piattaforme che vedono i profitti alle stelle, grazie anche alla chiusura del settore della ristorazione “in presenza”. In questi giorni però lo scenario è stato molto diverso. Strade e app in tilt, consegne saltate, scioperi improvvisi e selvaggi, cortei di biciclette nelle principali città italiane hanno reso evidenti tutte le contraddizioni del sistema del food-delivery. In particolare a Milano, tra il 3 e il 7 novembre, ci sono state proteste quotidiane e a Bologna sabato 7 un corteo, che ha raccolto un’ampia partecipazione cittadina, è stato caricato violentemente dalla polizia. Da dove nascono le proteste di questi giorni e quali prospettive ci sono per le lotte dei rider?
L’ACCORDO TRUFFA
«Il 3 novembre è entrato in vigore, per ogni azienda, un nuovo contratto. Fa riferimento all’accordo stipulato dall’associazione Assodelivery, che rappresenta le più grandi piattaforme del food-delivery, e dal sindacato Ugl, che invece non rappresenta nessuno nel nostro settore: non si è mai visto alle assemblee e ai tavoli degli ultimi anni». A parlare è Angelo Avelli di Deliverance Milano, una delle tante sigle autorganizzate di lavoratori delle piattaforme che si sono create nel territorio italiano per chiedere tutele e diritti.
«Questo contratto non lo vogliamo – afferma Tommaso Falchi, di Riders Union Bologna – È stato fatto alle spalle dei lavoratori, dei sindacati, persino del governo. Era in corso un tavolo al ministero, a cui partecipava anche Assodelivery che poi ha trovato esternamente un sindacato di comodo, l’Ugl». Assodelivery, che riunisce Glovo, Deliveroo, Uber Eats e Just Eat, ha potuto approfittare dell’elasticità della legge 128 del 2019. Il cosiddetto Decreto rider e salva-imprese concedeva alle parti, i sindacati maggiormente rappresentativi del settore e le associazioni di categoria, un anno di tempo per trovare un accordo condiviso e stipulare un contratto specifico.
«La legge 128 prometteva, in assenza di un accordo collettivo tra le parti, una paga oraria in linea con i contratti collettivi nazionali dei settori più affini a questo, cioè trasporti e logistica», afferma Avelli. L’accordo siglato tra Assodelivery e Ugl il 15 settembre scorso ha fatto saltare questo meccanismo. Inquadra i rider come lavoratori autonomi, non garantisce ferie, malattia, maternità o garanzie in caso di licenziamento.
Teoricamente prevede un minimo salariale di 10 euro l’ora, ma i lavoratori denunciano come la formula adottata nasconda un meccanismo più sofisticato e ambiguo per continuare l’uso della retribuzione a cottimo.
«Non è che per ogni ora in cui è online un lavoratore prende dieci euro, si viene sempre pagati a consegna», spiega Martina Taddei (nome di fantasia) di Deliverance Project Torino. Dieci euro sono infatti la quota oraria di base, poi ricalcolata rispetto al tempo effettivo di consegna: dal ritiro presso il ristorante all’arrivo dal cliente. Se il tempo impiegato per la consegna è di quindici minuti, il lavoratore incasserà 2,50 euro.
«Questo comporta un abbassamento notevole dei pagamenti. Inoltre l’accordo non garantisce alcuna tutela in più rispetto a prima: niente malattia, ferie, possibilità del rinnovo del permesso di soggiorno (una necessità di moltissimi colleghi e colleghe)», continua Taddei. Nel settore, infatti, lavorano sempre più cittadini migranti. «Succede anche per una questione di maggior ricattabilità, dopo le prima manifestazioni e i primi tentativi di confronto», dice Avelli, raccontando come a Milano siano stati assunti moltissimi rider pakistani, afghani, del sud-est asiatico e dell’Africa sub-sahariana.
Già a ottobre quasi tutti i 20mila rider che lavorano in Italia avevano ricevuto la mail che intimava loro di accettare le nuove condizioni. «Tutte le piattaforme hanno mandato una mail ai propri lavoratori, spesso con dinamiche ricattatorie. O firmi o non lavori. Ovviamente molti non hanno firmato, ma altri con le spalle al muro sono stati costretti», dice Falchi.
Anche il governo e tutti gli altri sindacati hanno espresso parere negativo sulla decisione di Assodelivery e Ugl. L’11 novembre si terrà un tavolo tra il ministero del Lavoro e Cgil, Cisl, Uil e le rider union. «Ugl non è stata neanche invitata», sottolinea pungente Falchi.
UN’ONDATA DI PROTESTE
Il confronto con l’esecutivo arriva dopo le numerose proteste andate in scena nelle ultime settimane. Durante tutto il mese di ottobre i rider hanno scioperato e improvvisato cortei selvaggi, bloccando le strade e le consegne, soprattutto nei fine settimana. Negli ultimi giorni le mobilitazioni si sono intensificate.
A Milano tra martedì 3 e sabato 7 novembre ci sono state proteste quasi ogni giorno. «Il conflitto precario è diventato reale e si è fatto sentire in tutta la sua forza e determinazione. Il risultato è diventato presto evidente: il servizio in tilt, le strade della città bloccate, i lavoratori in fermento mentre prendevano coscienza della propria condizione e delle proprie potenzialità nel rivendicare i propri diritti», commenta Deliverance Milano sulla sua pagina.
A Bologna mercoledì 4 novembre una grande assemblea ha lanciato il corteo che è sfilato nel centro cittadino sabato sera. Grandissima la partecipazione. «Il nostro slogan è sempre stato “non per noi, ma per tutti”, perché sappiamo di non essere gli unici sfruttati – dichiara Tommaso – Anche il corteo di sabato, partito alle 18 da piazza Nettuno, è nato dai rider ma per parlare a tante e tanti altri con parole d’ordine chiare ed essenziali: reddito, diritti, welfare, salute per tutte e per tutti». Due cariche della polizia hanno provato a dividere e spaventare la manifestazione, animata anche da lavoratori dello spettacolo e della ristorazione, da precari senza alcuna tutela e da studenti e studentesse. Ma le proteste non accennano a fermarsi.
Situazione simile a Torino, dove gli appuntamenti si sono concentrati tra giovedì e sabato. Tre le rivendicazioni principali: «1 -Le piattaforme devono ripristinare subito le tariffe abbassate negli ultimi giorni; 2 – Il contratto truffa firmato da Ugl deve essere cancellato; 3 – Vogliamo tutte le tutele garantite dal ccnl della logistica». Una sola la promessa: «Non ci fermeremo finché non avremo vinto».
Nell’ultima settimana ci sono state proteste anche a Roma, Napoli, Palermo e Genova. Nel capoluogo ligure un nuovo appuntamento è previsto per questo pomeriggio.
Alle mobilitazioni dislocate e spontanee si sommano quelle nazionali e transnazionali, coordinate tra le diverse organizzazioni di base dei lavoratori. «Milano, Bologna e Torino sono le piazze più avanzate, ma il 30 ottobre abbiamo lanciato uno sciopero nazionale e le adesioni si sono moltiplicate in tutta Italia», nota soddisfatto Avelli. Circa 30 le città in cui i fattorini delle piattaforme hanno manifestato contro il contratto Assodelivery-Ugl, condividendo parole e rivendicazioni.
Poco più di 20 giorni prima dell’inizio di questa ultima ondata di mobilitazioni, si è svolto tra l’altro lo sciopero transnazionale lanciato dalle organizzazioni sindacali dei rider in America Latina che da mesi si organizzano nella pandemia. Anche diverse città italiane si sono unite alla giornata di lotta internazionale, che ha visto come protagonisti lavoratori e lavoratrici delle piattaforme nelle Americhe, in Asia e in Europa, all’altezza della sfida globale posta da queste nuove modalità di organizzazione del lavoro. È stata la quarta giornata di questo tipo. Non sarà di certo l’ultima.