Parallelamente alle elezioni presidenziali negli Stati Uniti, oltre due milioni di portoricani sono stati chiamati alle urne nella giornata del 3 novembre per le elezioni generali e per l’ennesimo referendum sullo status dell’isola, che attualmente è uno “stato libero associato agli Stati Uniti”. Tale definizione è stata a lungo osteggiata dagli abitanti dell’isola, che non ha mai raggiunto l’indipendenza né è stata integrata completamente negli USA, rimandendo in uno status intermedio paragonabile a quello di una colonia. Infatti, i portoricani non hanno potuto votare per le presidenziali statunitensi, ma solamente per il governo locale.
Il governatore uscente, Wanda Vázquez Garced, non si è presentata alle elezioni, dopo essere stata in carica per poco più di un anno, subentata nell’agosto del 2019 a Ricardo Rosselló, dimessosi a causa degli scandali che lo hanno coinvolto.
Per quanto riguarda il referendum non vincolante, il sesto di questo tipo nella storia di Porto Rico, i pareri favorevoli all’entrata a pieno titolo negli USA come cinquantunesimo stato hanno raggiunto il 52.34%, con un’affluenza alle urne del 52.17%. Si tratta di risultati che confermano quelli delle precedenti consultazioni, ma che fino ad ora sono sempre stati ignorati dalle amministrazioni di Washington, tanto democratiche quanto repubblicane. Se poi si considera che tra coloro che hanno votato contro il referendum vi sono anche gli indipendentisti, se ne deduce che la grande maggioranza della popolazione concorda nel rifiutare lo status attuale dell’isola.
La massima carica locale è stata invece conquistata dal sessantunenne Pedro Pierluisi, ex segretario di stato, che come tale aveva già ricoperto la carica di governatore ad interim per cinque giorni, dopo le dimissioni di Rosselló. Esponente del Partido Nuevo Progresista (PNP) come i suoi due predecessori, Pierluisi ha conquistato il 32.93% delle preferenze, battendo per poco più di un punto percentuale Carlos Delgado Altieri del Partido Popular Democrático (PPD), che invece ha ottenuto il 31.56%.
Tra gli altri candidati, Alexandra Lúgaro si è classificata terza per il Movimiento Victoria Ciudadana (MVC) con il 14.21%, seguita da Juan Dalmau del Partido Independentista Portorriqueño (PIP, 13.72%) e da César Vázquez Muñiz del Proyecto Dignidad (MD, 6.9%).
Nonostante la vittoria di misura per la carica di governatore ed una maggioranza di consensi, il PNP non avrà la maggioranza in nessuna delle due camere del parlamento bicamerale di San Juan, svantaggiato dal metodo di assegnazione dei seggi. Al Senato, il PPD ha infatti ottenuto tredici seggi contro i nove del PNP, mentre l’emiciclo sarà completato da due rappresentanti del MVC, uno del PIP, uno del MD ed uno indipendente. Scenario simile alla Camera dei Rappresentanti, dove il PPD avrà ventisei deputati contro i ventuno del PNP, ai quali si aggiungono due del MVC ed uno a testa per PIP e MD.
Puerto Rico ha il diritto di eleggere un rappresentante davanti alla Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti, ruolo per il quale è stata confermata per altri anni Jenniffer González, altra esponente del PNP, che ha sconfitto con il 40.85% delle preferenze l’ex governatore dell’isola Aníbal Acevedo Vila (PPD), fermo al 32.05%. Proprio Jenniffer González ha commentato i risultati del referendum sullo status di Porto Rico, affermado che questo suggerisce “una decisione solida e chiara“, dopo aver già ricevuto il parere favorevole della Camera dei Rappresentanti e dal Senato dell’isola, nonché dell’attuale governatore, Wanda Vázquez Garced.
Come già accaduto dopo i referendum del 2012 e del 2017, non è affatto certo che l’esito del referendum venga effettivamente rispettato, nonostante il testo dello stesso parlasse di ingresso “immediato” nell’Unione. Trattandosi di un referendum non vincolante, questo potrebbe ancora una volta essere semplicemente ignorato dall’amministrazione statunitense. Nel migliore dei casi, invece, il suo esito potrebbe mettere in moto un iter legislativo sia a Porto Rico che negli Stati Uniti per arrivare, a lungo termine, all’inclusione dell’isola caraibica come cinquantunesimo stato federato.
Non c’è dubbio, indipendentemente dagli sviluppi futuri, che la situazione attuale piazza Porto Rico in un limbo che non giova certamente all’isola, conquistata dagli Stati Uniti nel 1898, in seguito alla vittoria contro la Spagna nella guerra ispano-americana. Nel caso di un ingresso all’interno della federazione statunitense, per Puerto Rico ci sarebbero vantaggi soprattutto economici: si parla infatti di ben dieci miliardi di dollari di fondi federali che andrebbero ad aggiungersi a quelli che l’isola già riceve da Washington, la possibilità di commerciare liberamente con il continente e di entrare negli accordi stipulati dagli Stati Uniti con altri Paesi, compreso il l’USMCA (erede del NAFTA) con Canada e Messico, ed il diritto di utilizzare il dollaro statunitense come propria valuta.
I portoricani, che già dispongono del passaporto statunitense e che possono entrare liberamente negli USA, diventerebbero inoltre cittadini a tutti gli effetti, e potrebbero votare per l’elezione del presidente, questione che tiene decisamente banco nel dibattito interno all’isola: “Gli Stati Uniti domandano sempre democrazia in altre parti del mondo, ma credo che non ne abbiano il diritto se non sono in grado di garantirla agli abitanti di Porto Rico”, aveva dichiarato, in occasione del referendum del 2017, l’allora governatore Rosselló.
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