(Foto di Democracy Now)

 Lorenzo Poli

In questi giorni, a reti unificate, si sta santificando la vittoria dei democratici Biden e Kamala Harris per “partito preso”, cioè non hanno ancora fatto nulla, ma già hanno tutti i meriti. Sono bastati pochi giorni e la rappresentazione mediatica ha dipinto Kamala Harris come sostenitrice dei diritti degli afroamericani e delle donne nere: esattamente il contrario di quello che è la sua storia. Harris ha trascorso 27 anni della sua carriera a far rispettare leggi come la “Three Strikes Law”, implementata nel 1994, e la “Stop and Frisk” Policy che, secondo la University of Dayton Law Review, prendono di mira le comunità nere attraverso l’incarcerazione di massa 1 . Harris diventò il peggior incubo per gli abolizionisti del carcerare, compresa la femminista Angela Davis, che fin da subito si è mostrata dispiaciuta per la scelta di Biden di averla come vicepresidente. Iniziò infatti la sua carriera negli uffici del procuratore di San Francisco, entrando in contatto con gli ambienti politici alto-locati che le permisero la carriera politica dal 2003. Durante i suoi primi tre anni come procuratore distrettuale in California il tasso delle condanne è salito dal 52 al 67%, venendo soprannominata “procuratrice di ferro”. Sia da procuratrice distrettuale a San Francisco, sia da procuratrice generale in California ha difeso i metodi brutali della polizia; si è rifiutata di riaprire casi investigativi su persone disarmate uccise dagli agenti; i casi di violenze da parte della polizia sono stati di molto superiori a quelli di altre città californiane di dimensioni simili, ma le inchieste sulla condotta degli agenti sono state molto meno. L’inclinazione verso la copertura delle forze dell’ordine ha cementato l’immagine della figura d’establishment, molto lontana dalla sensibilità delle piazze di Black Lives Matter che chiedono giustizia sociale in nome dell’ abolition democracy di Angela Davis. Eppure quotidiani della destra nostrana come Libero hanno avuto il coraggio di definirla “esponente di estrema sinistra”.

Nel 2009, un tribunale distrettuale federale ha imposto allo Stato di emanare una serie di misure di scarcerazione per ridurre la popolazione carceraria al 137,5% della sua capienza entro due anni, con il fine di risolvere l’orribile condizione disumana delle carceri californiane che presentavano un sovraffollamento del 200% della loro capienza massima. Harris si propose in netto contrasto con questa decisione. Lo Stato della Califonia presentò il ricorso contro la sentenza del tribunale distrettuale e, il 23 maggio 2011, la Corte Suprema ha dichiarato, con la sentenza Brown v. Plata , che il sistema carcerario della California violava i diritti dei suoi prigionieri. In qualità di procuratore generale della California, Harris ha ripetutamente sfidato la sentenza 2 , presentando mozioni che sono state condannate da giudici e giuristi come ostruzioniste, suggerendo persino che la Corte Suprema non avesse la giurisdizione per ordinare una riduzione nella popolazione carceraria della California. Nel 2012 è emerso che la California intendeva effettivamente aumentare la popolazione carceraria e, nel maggio di quell’anno, l’ufficio di Harris confermò la propria intenzione di non conformarsi all’ordine, proponendo la sua modifica dal 137,5% al 145%, che non era consentita. Questa estrema resistenza, che stava portando il sistema giudiziario federale sull’orlo di una crisi costituzionale, aveva il fine di impedire il rilascio di circa 5.000 detenuti per reati non-violenti, che diversi tribunali avevano autorizzato in quanto non presentavano alcun rischio di recidiva o minaccia per la sicurezza pubblica.

In quanto procuratrice generale in California, Harris ha sostenuto più volte la pena di morte e l’incarcerazione dei genitori che hanno figli che mostrano una recidività negli atti di violenza. Politiche che hanno contribuito a un drastico aumento delle persone incarcerate prendendo di mira le comunità minoritarie. In California, i neri costituiscono il 6% della popolazione, ma costituiscono il 29% della popolazione carceraria. Questo non è dovuto, come sostengono indistintamente democratici e repubblicani, ad un “tasso di criminalità più elevato” nelle comunità nere, ma piuttosto ad un più alto tasso di polizia e controllo sociale che subiscono.

Negli anni Sessanta e Settanta, furono proprio i movimenti rivoluzionari per i diritti dei neri, come le Black Panthers, a mettere in dubbio la necessità delle prigioni, analizzando l’aumento dell’incarcerazione di massa che colpivano le comunità a basso reddito. Gli abolizionisti del carcere, da sempre schierati con Black Lives Matter, si concentrano ancora oggi sulla riduzione e l’eliminazione del complesso industriale-carcerario per sostituirlo con programmi di riabilitazione e strutture senza istituzionalizzazione del governo. Come riporta il LA Times , ci sono state molte esitazioni per le comunità nere a sostenere Kamala Harris perché, nonostante abbia parlato di solidarietà con il movimento, non fa parte della loro storia ed ha storicamente implementato politiche che hanno criminalizzato la popolazione afroamericana.

Alcune azioni di Harris come procuratrice furono messe sotto accusa dal movimento di protesta contro la polizia per non aver avviato un’inchiesta sull’uccisione di due afroamericani nel 2014 e 2015 e non aver sostenuto un progetto di legge per la nomina di un procuratore speciale per i casi di uso eccessivo della forza da parte della polizia. Non a caso nel 2014, prima dell’omicidio di Michael Brown a Ferguson, l’episodio da cui è nato Black Lives Matter, gli attivisti per i diritti civili di Oakland distribuivano volantini con la scritta: “Chiedete al procuratore generale Kamala Harris di indagare i poliziotti assassini! È il suo lavoro!” . Kamala Harris oggi parla di “reinventare il modo in cui gestiamo la pubblica sicurezza” , ma nel 2009 scriveva nel libro Smart on Crime : «Se facessimo un voto per alzata di mano su chi vorrebbe più agenti per le strade, la mia mano si alzerebbe» .  Gli Stati Uniti sono ora il leader mondiale nella detenzione con 2,3 milioni di persone incarcerate. Nonostante questo problema di giustizia sociale sia stata segnalata più volte da organizzazioni di giustizia sociale come l’American Civil Liberties Union, Democratici e Repubblicani hanno continuato a spingere per politiche più dure, incluso Harris che è stata per anni vista come la rappresentazione neoliberista verso il complesso industriale-carcerario.

1# https://websterjournal.com/2020/09/10/kamala-harris-is-a-prison-abolitionists-worst-nightmare/

2# https://prospect.org/justice/how-kamala-harris-fought-to-keep-nonviolent-prisoners-locked-up/

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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