Premio Nobel per la Pace Abiy Ahmed Ali in tuta militare
Francesco Cecchini
“La guerra è l’ incarnazione dell’ inferno per tutti coloro che vi partecipano. Ci sono stato e sono tornato. C’è chi non ha mai visto la guerra, ma la glorifica. Non hanno visto la paura, la fatica e la distruzione, continua davanti al pubblico. Né hanno sentito il triste vuoto della guerra dopo la carneficina. “
Il 10 dicembre 2019, a Oslo, Abiy Ahmed, presidente dell’ Etiopia ha iniziato il suo discorso come vincitore del Premio Nobel per la pace con il racconto della sua esperienza come operatore radiofonico sul fronte di Badme, durante la guerra tra l’Etiopia e il ‘Eritrea, nel 1998.
Abiy Ahmed è oggi ancora in guerra, una guerra che coinvolge tutto il Corno d’ Africa, Etiopia, Tigrai e Eritrea e che viene da lontano.
Meles Zenawi nato ad Adua nel Tigray e morto nel 2012 è stato per 19 anni il padre padrone dell’Etiopia e nemico dell’ Eritrea di Isaias Afwerki. Il 5 Aprile 2010 Meles dichiarò ufficialmente in un intervento al parlamento di voler aiutare gli eritrei a far fuori il regime di Isaias Afwerki, accusato di sostenere movimenti di liberazione in Etiopia e movimenti islamici in Somalia. Sue testuali parole sono state le seguenti: “ Non abbiamo intenzioni di invadere l’ Eritrea, ma dobbiamo estenderei la nostra influenza” . In realtà il cuore del problema era il rifiuto di Meles di restituire terre che appartenevano all’ Eritrea, come lo riconosceva l’ONU.
Se Meles Zenawi avesse ascoltato Abiy Ahmed dire, a Oslo il 10 dicembre 2019, : “Accetto questo premio a nome del mio partenaire e compagno, il presidente eritreo Issayas Afeworki, la cui buona volontà, fiducia e impegno sono stati fondamentali per porre fine a due decenni di stallo tra i nostri paesi. ” , starebbe ancora rivoltandosi nella tomba.
Chi ha ben interpretato sentimenti e desideri di Meles Zenawi è stato Debretsion Gebremichael, eletto a settembre e leader del partito del Tigray People’s Liberation Front (TPLF), lanciando quattro missili sulla capitale dell’ Eritrea, Asmara. Obiettivi: l’aeroporto internazionale e il ministero dell’Informazione, che, particolare non irrilevante, si trova in città, ma non si sa di vittime. Come non si sa di reazioni militari eritree. Vi sono testimonianza di civili riguardanti missili provenienti dal nord, cioè dall’ Eritrea. Sempre terstimoni oculari raccontano di un’ incursioni dell’ esercito eritreo nel campo di Endaba Guna, distante circa 300 km da Mek’ele. Inoltre l’ esercito del Tigray parla della cattura di reparti armati etiopi con soldati eritrei. Quello che è certo è che l’ Eritrea è ben coinvolta nel conflitto.
Ciò che è sicuro, è la mancanza di informazioni certe. Il governo centrale etiope ha infatti oscurato tutti i mezzi di comunicazione, dai telefoni fissi e mobili, a internet e ha imposto ai giornalisti il divieto di entrare nella zona.
Comunque sta scadendo l’ultimatum del governo etiope Fronte popolare di liberazione del Tigrai, che lo ha respinto. Senza esito è stata anche la riunione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, che ha invitato alla pace, come altri, l’ Unione Africana per esempio. Il prossimo passo sarà l’ attacco delle forze armate etiopi a Makallé, la capitale del Tigray, un prevedibile bagno di sangue, in quanto non ci sarà misericordia. Una strage che si aggiunge a quelle già avvenute, denunciate, ma di cui non c’ è una contabilità precisa. Inoltre vi sono migliaia di profughi, che scappano dalle zone del conflitto.
Difficile fare previsioni. Comunque, nn può esserci soluzione militare alle differenze ideologiche tra Abiy e il TPLF. E una guerra prolungata e un continuo spargimento di sangue renderebbero difficile, se non impossibile, la risoluzione amichevole di queste differenze. L’ unica soluzione alla guerra continua e al più ampio sconvolgimento politico che tormenta l’Etiopia è un autentico impegno per un dialogo nazionale onnicomprensivo che tracci un percorso concordato verso un futuro democratico.