Lorenzo Palaia

Le elezioni americane hanno ravvivato un certo dibattito sull’Unione Europea, su cosa è e vuole fare da grande, dibattito che per la verità non muore mai proprio per l’eterogeneità delle varie spinte. Questa volta a esprimersi sono state niente meno che le alte sfere della politica, in primis il presidente francese Emmanuel Macron, il cui intervento ha spiccato per lunghezza dettaglio e varietà degli argomenti toccati con gli intervistatori: tre analisti del Grand Continent, organo del think tank franco-belga Groupe d’Études Géopolitiques. Ma ancora prima, alla vigilia delle votazioni per il presidente americano, si era espressa su Politico la ministra della Difesa tedesca e successivamente niente di meno che i ministri degli Esteri dei 3 Paesi del Benelux, in un articolo congiunto sempre su Politico. Tutti interventi di grande rilievo perché provenienti dai Paesi fondatori della CECA, poi CEE, poi UE: si direbbe che il grande assente sia solo l’Italia.

Macron ha parlato di tre crisi: quella dell’ordine multilaterale post 1945, quella dei valori di inclusione e rispetto delle diversità del ‘68, quella dell’ordine liberal-democratico post 1989; tutte da inquadrare in quella che secondo lui è una generale crisi del multilateralismo, nonché dei valori del rispetto della dignità umana propri dell’Occidente. Cosa vuol dire in pratica? Crede ancora il Presidente all’ordine mondiale vestfaliano, vale a dire quello di un mondo fatto di Stati sovrani, chiedono gli intervistatori? La risposta è sì, perché «non ho visto ancora niente che possa sostituire un sistema in cui il popolo è sovrano e sceglie chi lo governa». E sarebbe il colmo che così non fosse per il Paese che ha inventato la sovranità del popolo! Chiediamoci allora cosa intenda Monsieur le Président quando dice che è necessaria più sovranità europea e che è arrivato il momento di costruire un’Europa politica. Macron individua almeno tre campi su cui puntare: la difesa, l’economia e la tecnologia.

Non è certo un segreto che queste siano le priorità della Francia, e ce lo ricorda il Presidente stesso quando menziona i passaggi storici che considera decisivi: l’accordo di Meseberg del giungo 2018 (a cui è seguito il Trattato di Aquisgrana del gennaio 2019) tra Francia e Germania e quello del maggio 2020 che ha aperto la strada al c.d. Recovery plan. Tutti – anche l’ultimo – sono frutto del bilateralismo franco-tedesco, dice esplicitamente Macron. L’accordo di Meseberg già enucleava tutti i punti. Nel progetto franco-tedesco (ma più franco che tedesco) c’è l’indipendenza tecnologica (sul 5G, ma anche un più stretto controllo sui social per contrastare il terrorismo che minaccia la Francia), c’è il progetto del bilancio comune europeo per concludere l’unione economica, e c’è la fondamentale alleanza difensiva su cui i francesi insistono, proprio ora che i cugini di Oltre Manica – su questo estremamente reticenti fin dal Secondo Dopoguerra – si sono ritirati dall’Unione.

Meseberg era molto dettagliato e prevedeva già i particolari della futura riforma del MES, poi non andata più in porto causa Covid. Ma in quelle pagine c’era un altro punto che Macron è tornato a sollevare: «l’Africa è nelle nostre società» dice, e non possiamo pensare allo sviluppo dell’Europa se non insieme a quello dell’Africa. Ѐ chiaro che qui Macron sta pensando soprattutto alla società francese dove le minoranze africane sono numerose, ma un discorso del genere può essere sentito meno da altri Stati dell’Est e del Nord Europa. Eppure Macron sottolinea che proprio l’Estonia è il loro partner più presente in Mali. Tuttavia la Franҫafrique è roba di Parigi e tale rimarrà, ed è per questo che una piena delegazione di sovranità in politica estera all’Europa è improbabile. Berlino ad esempio non vuole entrare nelle inimicizie franco-turche, così come Parigi non ha nessun interesse ad alzare lo scontro con la Russia fomentato da certi Paesi dell’Est. I recenti sviluppi in Consiglio poi, con l’accordo bocciato da Polonia e Ungheria (cui si è accodata la Slovenia), per il tentativo di ancorare il voto sul Recovery fund alla questione dello Stato di diritto, mostra tutte le difficoltà di un’integrazione che vada oltre quella pattizia, nonostante l’uscita del Regno Unito abbia illuso molti. Tra le altre questioni aperte in campo economico esiste quella delle regole fiscali da abolire o reintrodurre passata l’emergenza Covid, senza contare il ruolo che la Banca Centrale sta sempre di più assumendo de facto e su cui presto o tardi i nodi verranno al pettine.

Ciononostante Emmanuel Macron crede che siano più le cose che uniscono gli europei di quelle che li dividono: le famose radici giudaico-cristiane e l’Illuminismo. Ma c’è di più, perché sostiene anche una diversità rispetto agli USA, dato che gli europei sarebbero più inclini all’uguaglianza e allo Stato sociale. Questo, senza dubbio vero, serve al Capo dell’Eliseo per giustificare la linea di autonomia militare europea da Washington, linea che però non trova molto terreno fertile nei suoi omologhi sul Continente. Nel già menzionato op-ed dei ministri del Benelux si dice sì di voler rafforzare la cooperazione militare europea, ma sempre sotto la leadership degli Stati Uniti d’America. I tre rinverdiscono poi il sogno della promozione della democrazia nel mondo al fianco degli USA, con cui peraltro auspicano una ripresa della cooperazione commerciale. Con l’era Trump infatti il mercato europeo aveva perso parte del fondamentale sbocco transatlantico, ma è tutto da dimostrare che con Biden sarà diverso seppure il neoeletto ha annunciato l’intenzione di abbassare i dazi.

Ancora più esplicita è la ministra tedesca della Difesa, Kramp-Karrenbauer, che dice senza mezzi termini: «basta con l’illusione di poter rimpiazzare il potere di deterrenza nucleare americano, che ci ha protetti finora e continuerà a farlo». Certo, ammette, l’Europa deve contribuire di più con il suo budget e rinforzare la cooperazione, ma senza sostituirsi alla NATO. La Germania, per ragioni storiche, dopo il Secondo Dopoguerra è sempre stata restia a una politica di potenza militare. Il dibattito se partecipare al programma nucleare NATO sarà duro per i tedeschi, ma lei – prosegue – non ha dubbi sul da farsi. Ancora più estrema sul commercio, Kramp-Karrenbauer arriva a ipotizzare una completa liberalizzazione con Washington. E anche su questo bisogna rilevare che Macron ha espresso un’opinione discorde e molto più cauta: «non possiamo chiedere ai nostri agricoltori di non usare il glifosato e poi importare prodotti OGM e che ne sono pieni». Al quesito se si definisca ambientalista, Macron risponde lo sono diventato.

Si direbbero divergenze profonde insomma, ma il Capo dell’Eliseo arriva a proporre un nuovo Paris consensus che sostituisca, almeno per l’Europa, il Washington consensus inaugurato dal nuovo ordine post 1989. Un nuovo ordine anche per il mondo dunque, basato su un multilateralismo di nuovo tipo, dove i soggetti interlocutori non siano gli Stati, non più soltanto: in un mondo complesso fatto di sfide globali, si dice, bisogna pensare a un multilateralismo che a fianco agli Stati veda la partecipazione degli organismi regionali (e quindi ecco l’UE, con l’Africa come cortile di casa) nonché delle agenzie e delle organizzazioni internazionali, profit e non, secondo i casi. E l’Europa dovrebbe arrivarci unita e autonoma dall’ombrello americano, in un disegno molto contraddittorio in cui il bilateralismo franco-tedesco si somma alla cooperazione multilaterale degli Stati, cui a sua volta si sovrappone un’auspicata sovranità europea. Se qualcuno vorrà seguire Parigi lo vedremo nei prossimi anni. E che posizione assumerà l’Italia, Stato fondatore? Speriamo che almeno ne assuma una.

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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