riceviamo e pubblichiamo
“Non si tratta solo di onorare i voti dei 74 milioni di americani che hanno votato per me ma di assicurarsi che gli americani abbiano fiducia in questa elezione e in quelle del futuro”. Così il presidente americano uscente Donald Trump in un video nel quale continua ad asserire falsamente che ha vinto l’elezione del 2020.
Nel suo video Trump non riconosce il basilare principio democratico secondo cui Joe Biden ha prevalso. Tutti i 50 Stati hanno già certificato gli esiti elettorali dando Biden come vincitore. Il candidato democratico ha ricevuto 81 milioni di voti, 7 milioni più di Trump (51% Vs. 46%). Per quanto riguarda l’Electoral College, Biden ha conquistato 306 voti, 36 più del minimo di 270 per la vittoria. Questa è la democrazia ma il presidente uscente la definisce in tal modo solo quando vince lui, incapace di accettare sconfitta, creando instabilità nei principi democratici.
Trump aveva già dato segnali della sua incapacità di accettare esiti elettorali negativi. Va ricordato che nell’elezione del 2016 aveva dichiarato di accettare il risultato solo in caso di una sua vittoria. Gli andò bene e la sua avversaria Hillary Clinton il giorno dopo l’elezione riconobbe la sua sconfitta. Trump non è cambiato dunque. O vince lui o la democrazia non funziona. Le sue parole e azioni nelle settimane recenti dopo l’elezione continuano a confermare che lui vive nel suo mondo irreale di vittoria che continua a ripetere ai suoi sostenitori. La democrazia però richiede l’accettazione di una realtà condivisa che Trump ovviamente non possiede.
I suoi metodi per rovesciare l’esito elettorale non hanno però avuto efficacia. I suoi tentativi legali di squalificare i voti negli Stati in bilico che gli hanno negato un secondo mandato come in Pennsylvania, Arizona, Georgia, Nevada e Michigan si sono rivelati inutili. Denuncia dopo denuncia Trump è stato sconfitto. L’ultimissimo risultato negativo è stato un rifiuto della Corte Suprema di ribaltare o ritardare l’esito del voto in Pennsylvania. Una semplice comunicazione della Corte Alta emessa solo dopo 34 minuti senza nessuna spiegazione ha sconfitto Trump il quale si sarà sentito tradito dai tre membri della Corte che lui ha nominato. Le altre denunce capitanate da Rudy Giuliani, il suo avvocato personale, adesso positivo al Covid-19, non hanno avuto successo nemmeno. Con ogni probabilità Trump si aspettava questi risultati ed è per questo che il suo rappresentante legale è stato proprio Giuliani, ottimo per fare rumore nella televisione a cavo, ma letteralmente incapace di serie questioni legali. Una lunga lista di avvocati americani ha persino richiesto che la licenza di avvocato di Giuliani venga sospesa per tutte le menzogne che l’ex sindaco di New York sta dicendo per promuovere la realtà alternativa del suo capo.
A dare man forte a Giuliani si presenta il procuratore generale del Texas Ken Paxton che ha esposto una denuncia alla Corte Suprema asserendo che gli Stati della Georgia, Michigan, Pennsylvania e Wisconsin hanno danneggiato i texani poiché hanno modificato le loro leggi sull’elezione a causa della pandemia. Una denuncia che ha sbalordito gli analisti legali poiché le leggi elettorali appartengono ai singoli Stati e non al governo federale. Paxton è tipicamente “trumpiano” nelle sue trovate ma anche nei suoi comportamenti poco etici. Attualmente è indagato per frode fiscale ed è anche accusato da alcuni suoi collaboratori di abusi di potere e corruzione. Non sorprenderebbe dunque se Paxton stesse cercando di ingraziarsi Trump sperando in una grazia presidenziale. Non ha funzionato. Anche questa volta la Corte Suprema ha tempestivamente bocciato la richiesta.
Trump ha tentato anche di ribaltare l’esito dell’elezione facendo pressione sui leader del suo partito al livello Statale. I grandi elettori che alla fine eleggeranno il presidente formalmente il 14 dicembre vengono nominati dalle leadership statali riflettendo il risultato dell’elezione. In casi di brogli elettorali il governatore e le legislature statali avrebbero il diritto legale di nominare gli elettori secondo il loro giudizio. In Nevada, Pennsylvania e Georgia e Michigan, quattro Stati vinti da Biden alle urne, Trump ha direttamente chiesto che gli esiti elettorali vengano sorvolati. I governatori di questi Stati lo hanno ignorato, aderendo ai principi elettorali. In questo senso si sono comportati non da membri del Partito Repubblicano, come voleva Trump, ma da funzionari governativi, mettendo in pratica le leggi dei loro Stati. Lo hanno fatto perché la costituzione dei loro Stati lo richiede. Andrebbero ammirati specialmente in comparazione ai comportamenti dei legislatori al livello federale che hanno rivelato complicità nelle furbizie del presidente uscente. Con l’eccezione di Mitt Romney, senatore dell’Utah, la stragrande maggioranza dei membri repubblicani della Camera Alta, ha mantenuto il silenzio sull’esito elettorale. Biden ha indicato che parecchi di loro si sono congratulati con la sua vittoria ma solo in privato per paura di adirare l’attuale inquilino alla Casa Bianca. Un sondaggio del Washington Post ha scoperto che solo 27 dei parlamentari repubblicani hanno ammesso che Biden ha vinto l’elezione. Gli altri non hanno voluto esprimersi.
I leader repubblicani silenziosi riflettono l’assoluta padronanza di Trump del Grand Old Party. Trump ha perso nel 2020 e nonostante il suo rifiuto di accettare questa realtà ha già suggerito la sua intenzione di ricandidarsi nel 2024. Le sue ultimissime battaglie legali e politiche per ribaltare l’esito elettorale attuale sarebbero in questa luce un tentativo di delegittimare la vittoria di Biden. Allo stesso tempo mirano a mantenere uniti i suoi seguaci. Sta funzionando. I loro contributi finanziari continuano ad arricchire le casse del suo tesoro. Anche se non si dovesse ricandidare nel 2024 Trump rimarrebbe una voce importante nel Partito Repubblicano. Biden è riuscito a togliergli la presidenza. Togliergli la leadership del GOP rimane impossibile.
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Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della National Association of Hispanic Publications.