Forse non siamo disposti ad ammetterlo, ma anche noi “grandi” abbiamo paura del buio. Eppure noi non siamo mai al buio. Chi di noi vive in città, sa che le finestre lasciano filtrare le luci delle strade e dei palazzi vicini, ma anche chi vive in campagna, isolato dalle altre case, sa che il buio non esiste più. Ci sono quei piccoli punti rossi che ci dicono che i nostri televisori, anche se momentaneamente sono spenti, sono lì, pronti a trasmettere i programmi che stanno “custodendo” per noi, e che i nostri allarmi sono inseriti, perché altrimenti non ci sentiremmo sicuri neppure a casa, e le nostre caldaie e i nostri impianti di condizionamento sono accesi, perché vogliamo dormire al fresco d’estate e al caldo in inverno, sempre vestendo lo stesso pigiama di moda, e poi ci sono le luci degli schermi dei nostri telefonini e dei nostri tablet, che, mentre noi dormiamo, si “nutrono” di energia per permetterci la mattina successiva di essere nuovamente connessi con il mondo e che continuano a ricevere notifiche e informazioni, perché da qualche parte del mondo è sempre giorno, ma soprattutto non riusciamo ad avere paura del buio perché sappiamo che ci basta allungare un braccio fuori dalle coperte e fiat lux. Il buio è un lusso che non possiamo più permetterci, la luce accompagna sempre la nostra vita, a qualsiasi ora del giorno e della notte.
Curiosamente, almeno da un punto di vista etimologico, il buio ha a che fare con il fuoco. Questa parola deriva infatti dal basso latino burus – e per questo nei dialetti di derivazione gallica, come quello di Bologna, noi diciamo ancora bur – e significa bruciato, arso. In sostanza il buio è il colore di quello che il fuoco ha distrutto. Come se l’etimologia volesse dirci che non dobbiamo avere paura del buio, ma della luce, di troppa luce. E infatti quelle piccole luci che riempiono le nostre case, per quanto siano il segno di un progresso a cui non possiamo – e non dobbiamo – più rinunciare, sono anche il segno di un pericolo, la perdita del senso del limite. E non possiamo dimenticare che per permetterci di stare nel tepore dei nostri letti, in attesa di svegliarci trovando sempre l’acqua calda e le ultime notizie sui nostri telefoni, è necessaria un’incredibile quantità di energia che mette a rischio l’equilibrio del nostro pianeta e spesso è fondata sullo sfruttamento di persone che non godono di questi stessi privilegi. E se tutti i quasi otto miliardi di donne e uomini che ci sono su questo pianeta potessero, come facciamo noi, e come naturalmente sarebbe auspicabile, avere una casa e tutte le luci che abbiamo noi, quanto resisterebbe il mondo? Sarebbe in breve distrutto. Il pianeta resiste perché noi privilegiati che non dobbiamo più temere il buio siamo una minoranza.
Ho cominciato a scrivere questo articolo alla mattina del giorno che sul calendario è dedicato a santa Lucia e che nella credenza popolare segue la notte più lunga dell’anno. Una notte che nelle nostre case è ovviamente illuminata dalle lucette degli addobbi natalizi. Sappiamo che non è vero, che il solstizio d’inverno cade qualche giorno dopo, ma non importa: io continuo a credere che questa sia la notte più lunga dell’anno, perché così hanno creduto tante generazioni prima della nostra, quelle donne e quegli uomini che hanno conosciuto davvero il buio, perché la loro vita era regolata dal succedersi del giorno e della notte e dalla scansione delle stagioni. E provo una sorta di nostalgia per quel mondo che non ho mai conosciuto, e a cui mi posso aggrappare solo attraverso queste antiche tradizioni. Naturalmente – perché viviamo in un mondo di contraddizioni – sempre al caldo della mia casa e con tutte le luci accese, e scrivendo su un uno schermo illuminato.E forse, se chiudiamo gli occhi, se proviamo a staccare tutte le nostre diavolerie che non si spengono mai – e non ci spengono mai – potremmo perfino intuire, anche se per un breve momento, cosa significa una notte che sembra non finire e la gioia di quel bagliore di luce quando annuncia che, nonostante tutto, un altro giorno sta per cominciare, anche dopo una notte così lunga, una notte senza fine. Pensate lo stupore con cui i nostri antichissimi progenitori vedevano ogni mattina sorgere il sole, il sospiro di sollievo perché anche quella notte era finita. Certo potevano legittimamente sperare che il sole sarebbe sorto, che la luce sarebbe tornata, perché era sempre successo, ma non ne erano proprio sicuri, in fondo ai loro cuori un po’ di paura c’era sempre. Noi siamo sicuri che domani mattina il sole tornerà a sorgere, sappiamo con precisione a che ora la prima luce dell’alba toccherà le nostre città, ma credo che dovremmo riacquistare un po’ di quella sana meraviglia, come se non lo sapessimo, come se temessimo che il sole non sorga anche domani.Proviamo a stare davvero al buio: avremo certamente paura – è naturale averla – ma saremo anche consapevoli che il buio fuori di noi è in qualche modo rassicurante, a differenza del buio che è dentro di noi. Quello sì che deve farci paura. O forse anche in questo caso non è il buio che dobbiamo temere, ma il fuoco dentro di noi che ha la forza di distruggere gli altri e il mondo che ci sta intorno. Dobbiamo avere – come sempre – paura di noi.
se avete tempo e voglia, qui trovate quello che scrivo…