Le proteste registrate in Guatemala lo scorso novembre contro la legge finanziaria presentata dal governo rivelano uno stato di malcontento sociale che ha visto il suo apice nelle mobilitazioni del 2015. La perdita di credibilità della politica è associata agli scandalosi livelli di corruzione che attraversano tutte le istituzioni dello Stato. La richiesta di indizione di un’Assemblea Costituente appare come una delle strade da percorrere per ricomporre un sistema politico e sociale segnato da enormi disuguaglianze
Sabato 21 novembre, un gruppo di manifestanti ha appiccato il fuoco a diverse sale del Congresso della Repubblica del Guatemala. Le forze di sicurezza non hanno agito per fermare i manifestanti nonostante la presenza della polizia sia all’interno che all’esterno dell’edificio fosse sufficiente, e addirittura, secondo fonti della stessa Polizia Civile Nazionale [PNC dall’acronimo in spagnolo – ndt], funzionari di questo stesso ente si sono rifiutati di consentire l’ingresso tempestivo dei vigili del fuoco nell’area in cui si è verificato l’incendio. Successivamente, le unità della squadra antisommossa del PNC hanno lanciato gas lacrimogeni contro chi protestava davanti al palazzo del governo e sono avanzate per le strade del centro città fino ad arrivare a 100 metri da Plaza de la Constitución, dove migliaia di persone protestavano contro il governo di Alejandro Giammattei.
A differenza delle mobilitazioni del 2015, che hanno portato alle dimissioni e all’arresto dell’allora presidente Otto Pérez Molina, questa volta la polizia ha sparato lacrimogeni al centro della piazza facendo decine di arresti e ferendo diverse persone, tra cui due giovani che hanno perso un occhio.
Anche se la protesta è iniziata contro l’approvazione della Legge di Bilancio per il 2021, la mobilitazione dei cittadini è stata la risposta a una crisi politica irrisolta che abbraccia tutti e tre i poteri dello Stato. Come antefatto dell’attuale situazione politica in Guatemala, può essere utile analizzare i risultati delle elezioni politiche del 2019 e non dimenticare che Alejandro Giammattei ha assunto la presidenza il 14 gennaio 2020. Si trova quindi alla guida del governo da meno di un anno.
In quelle elezioni la fluidità e la frammentazione del sistema partitico guatemalteco si sono manifestate ancora una volta. Vi hanno partecipato 19 candidati, altri due si sono ritirati all’ultimo minuto (il primo per essere stato arrestato con l’accusa di traffico di droga negli Stati Uniti e il secondo per inadempienza dei requisiti legali) e le due candidate che all’inizio dell’anno guidavano i sondaggi sulle intenzioni di voto (Zury Ríos, figlia del dittatore Efraín Ríos Montt e potenziale candidata del partito Valor [partito conservatore – ndt], e Thelma Aldana, ex procuratore generale e candidata del movimento Semilla [partito di centrosinistra – ndt]) non sono state iscritte nelle liste elettorali per motivi legali.
In questo contesto, Giammattei ha ottenuto appena il 14% dei voti al primo turno, diventando così il candidato a essere passato al secondo turno con la percentuale di voti più bassa di sempre e, nonostante questo, ha ottenuto la Presidenza. L’86% degli elettori ha espresso una prima preferenza diversa dall’attuale presidente del Guatemala, che è riuscito a vincere al ballottaggio principalmente a causa della riluttanza della maggioranza degli elettori a votare per la sua rivale Sandra Torres, ex moglie dell’ex presidente Alvaro Colom (2008-2012) e candidata del partito di centrosinistra Unità Nazionale della Speranza (UNE).
La debolezza di Vamos, il partito del presidente, si è manifestata anche nella composizione del Congresso: 21 partiti hanno rappresentanza parlamentare, nessun blocco politico ha la maggioranza e il partito di governo ha solo 17 seggi su 160. In queste circostanze, Giammattei e i suoi alleati politici hanno forgiato una coalizione parlamentare che comprende l’Unión del Cambio Nacionalista (UCN), partito accusato di legami con il traffico di droga e il cui candidato alla presidenza sta scontando una pena negli Stati Uniti; Todos, il partito di punta del cosiddetto “patto dei corrotti” (la coalizione politica, imprenditoriale e criminale che ha portato alla fuoriuscita dalla CICIG, la Commissione Internazionale Contro l’Impunità in Guatemala); altri gruppi parlamentari di minoranza e un gruppo di deputati dell’UNE che, secondo le denunce dei loro stessi compagni di partito, sono stati corrotti per allearsi con il partito di governo e sostenere così una giunta del Congresso subordinata di fatto al potere esecutivo. Da qui in avanti, ogni votazione importante ha significato per il governo lo scambio di favori con i gruppi e i deputati alleati.
Dopo aver ottenuto il controllo del Congresso, il passo successivo per questa coalizione è stato quello di bloccare sistematicamente l’elezione dei membri della Corte Suprema di Giustizia e delle Corti di Appello. All’inizio del 2020, l’Ufficio del Procuratore Speciale contro l’Impunità ha svelato un complotto nel quale i deputati negoziavano candidature alle alte corti con persone accusate di corruzione. In precedenza, la Corte Costituzionale aveva ordinato al potere legislativo di nominare i magistrati direttamente, garantirne l’idoneità e giustificarne la nomina. La giunta direttiva del Congresso ha modificato l’agenda parlamentare per posticipare di 11 mesi queste elezioni. L’intenzione di questi gruppi, ritardando l’elezione dei tribunali, è di aspettare il rinnovo della Corte Costituzionale cosicché possano eleggere senza ostacoli magistrati che garantiscano loro l’impunità.
In questo contesto, il governo Giammattei ha affrontato la pandemia di Covid-19. Lo scontro tra salute ed economia che ha caratterizzato la gestione della malattia nella maggior parte dei paesi, in Guatemala si è risolto a favore dei gruppi economici.
Le attività produttive più importanti sono andate avanti e gli operai hanno dovuto coprire i costi per il trasporto (i servizi pubblici sono stati sospesi) e delle misure di prevenzione. Dallo scorso settembre, tutte le attività commerciali sono state aperte con alcune limitazioni.
Per quanto riguarda le azioni per affrontare le conseguenze della crisi economica e sociale prodotta dalla pandemia, le politiche pubbliche si sono caratterizzate per produzione e riproduzione delle già forti disuguaglianze sociali, della poca trasparenza e della corruzione. Sebbene il Congresso avesse stanziato risorse da marzo, i programmi di sostegno sono stati resi esecutivi soltanto a maggio e, nel caso del programma di distribuzione di aiuti alimentari per la popolazione rurale in condizioni di estrema povertà, a settembre era stato attivato meno del 10% dei fondi approvati. Le denunce presentate dai deputati dell’opposizione hanno segnalato che persone decedute, residenti all’estero e dipendenti pubblici hanno beneficiato dei fondi destinati ad assistere le persone colpite dalla crisi.
Un’altra fonte di critiche nei confronti del governo Giammattei è stata l’istituzione del cosiddetto Centro del Governo, un ufficio gestito da uno dei suoi stretti collaboratori che presumibilmente sollecita le attività dei ministeri e l’adempimento delle priorità del governo. Questo ufficio non solo è oneroso, ma duplica anche le funzioni del vicepresidente e del Segretariato per la Pianificazione. L’esistenza di questo ente si è aggiunta alle altre tensioni esistenti tra il presidente e il vicepresidente, differenze che si sono manifestate all’opinione pubblica attraverso i social e che hanno confermato il carattere autoritario e irascibile di Giammattei.
Il primo anno di governo è stato caratterizzato anche da continui cambiamenti di Gabinetto. Il ministro della Salute Hugo Monroy è stato destituito a giugno per la malagestione della crisi sanitaria da Covid-19; il primo ministro dell’Interno (responsabile della Pubblica Sicurezza) si è dimesso per problemi di salute e il secondo è stato costretto a rassegnare le dimissioni per aver approvato l’autorizzazione a lavorare in Guatemala per l’organizzazione Planned Parenthood, accusata dai settori conservatori di promuovere l’aborto; i ministri dell’Agricoltura e del Lavoro sono stati destituiti per mancanza di risultati e il direttore generale di Caminos [Strade, ente statale per la gestione della rete viaria del Guatemala – ndt ] è stato licenziato in seguito alle accuse di corruzione.
A novembre il Guatemala, come tutto il Centro America, è stato colpito da due fenomeni climatici: gli uragani Eta e Iota che hanno colpito centinaia di migliaia di persone causando inondazioni e perdita dei raccolti. In Guatemala le tempeste hanno provocato 60 morti e colpito più di due milioni di persone, oltre al successivo aggravarsi dei problemi di carestia che affliggono il Paese.
La risposta del governo è stata ancora una volta tardiva e insufficiente e gli aiuti alle vittime sono fluiti inizialmente attraverso donazioni delle comunità, aiuti privati e cooperazione internazionale. È in queste circostanze che si sono scatenate le proteste dei cittadini.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso del dissenso della popolazione è stata l’approvazione della Legge di Bilancio 2021 da parte del Congresso della Repubblica. Il processo di stesura del bilancio comincia all’inizio dell’anno, quando gli enti pubblici iniziano a preparare i propri piani e programmi di lavoro per l’anno successivo. In aprile, hanno presentato le loro proposte di bilancio al Segretariato per la Pianificazione, che a sua volta ha consegnato una proposta integrata al Ministero delle Finanze Pubbliche (Minfin) a luglio. Quest’ultimo, il 1 settembre, ha presentato il progetto di finanziaria al Congresso della Repubblica, che a sua volta lo ha trasmesso alla Commissione Finanze.
Durante tutto il processo, si sono tenute consultazioni e discussioni tra enti pubblici e organizzazioni della società civile per trovare un bilancio adeguato alle priorità del paese. Nonostante questo processo, la Commissione Finanze del Congresso ha emesso un parere favorevole e il bilancio è stato approvato quasi senza discussione nella stessa commissione e presentato in sessione plenaria per l’approvazione in un’unica lettura. Il parere è stato emesso alle 17:00 del 17 novembre, il Congresso si è riunito quella stessa sera e ha approvato il bilancio di “emergenza nazionale” la mattina presto del 18 novembre. Per questo è stata costituita una maggioranza legislativa che è stata imposta ai gruppi di opposizione.
L’approvazione forzata e poco trasparente è stata malvista dalle Camere di Commercio, dalle organizzazioni della società civile e dagli enti accademici. Lo stesso vicepresidente Guillermo Castillo ha chiesto pubblicamente al presidente di porre il veto alla legge di bilancio. Tra le criticità contenute nel bilancio c’erano l’aumento del debito, l’esistenza di “sacche di corruzione” e la mancanza di finanziamenti per le politiche sociali. Per quanto riguarda la prima questione, anche se il debito pubblico del Guatemala è relativamente inferiore a quello del resto dei paesi della regione, il basso carico fiscale (meno del 10% del PIL) limita la sua capacità di ripagare il debito. Nelle scorse settimane, le principali agenzie di rating internazionali hanno indicato che, se non risolve il problema della bassa tassazione, il paese si troverà in difficoltà nel mantenere il rifinanziamento del debito.
Per quanto riguarda la corruzione, l’Istituto Centroamericano di Studi Fiscali ha messo in guardia su diverse voci di bilancio approvate nelle quali sono state individuate anomalie e difficoltà. Inoltre, le misure di bilancio necessarie per fronteggiare la denutrizione cronica e la povertà estrema non erano sostenute a sufficienza.
Giovedì 19 pomeriggio, il presidente Giammattei e il suo gabinetto di ministri hanno annunciato che non avrebbero posto il veto sul bilancio e che avrebbero convocato un think tank per modificarlo. Mezz’ora dopo, in una conferenza stampa, il vicepresidente Castillo ha reso pubblica la sua rottura con il presidente, chiedendo il veto sulla legge di bilancio, la dismissione del Centro di Governo e il rinnovamento del gabinetto. Ha anche proposto come via d’uscita dalla crisi le dimissioni di entrambi (presidente e vicepresidente) e l’elezione di sostituti da parte del Congresso.
Sabato 21 si sono svolte mobilitazioni di protesta nella capitale e nelle principali città del Paese. Per la prima volta dall’inizio della pandemia, migliaia di persone hanno manifestato nelle strade la loro insoddisfazione per le decisioni del governo. È stata evidente la presenza delle organizzazioni studentesche, sia dell’università pubblica come di quelle private e, anche se il ritiro della legge di bilancio era la richiesta principale, si sono cominciate a sentire richieste di dimissioni per le principali autorità del paese.
La repressione della polizia, il modo in cui è stato gestito l’incendio del Congresso e gli arresti arbitrari, lungi dall’intimidire i cittadini, hanno accresciuto l’indignazione. Domenica 19, la giunta di governo del Congresso ha incontrato alcuni capigruppo in una struttura militare e ha annunciato che il processo di approvazione del bilancio sarebbe stato sospeso, atto ufficializzato poi dalla sessione plenaria: la Legge di Bilancio sarebbe stata archiviata e, come stabilito dalla Costituzione, sarebbe entrato in vigore il bilancio dell’anno precedente.
Come parte di una messa in scena volta a criminalizzare le proteste, il 22 novembre Giammattei ha invocato la Carta Democratica dell’Organizzazione degli Stati Americani (OAS), insinuando che si stava preparando un colpo di stato e chiedendo aiuto per promuovere uno spazio di dialogo. Nonostante questo, le proteste non si sono fermate: sabato 28 migliaia di cittadini si sono nuovamente concentrati in diverse piazze del Paese, e lunedì diverse comunità indigene hanno occupato tratti stradali strategici, chiedendo le dimissioni del presidente e dei deputati e la convocazione di un’Assemblea Costituente Plurinazionale.
Giovedì 3 dicembre, il presidente e il vicepresidente hanno tenuto una conferenza stampa congiunta (per la prima volta da mesi) annunciando un processo di dialogo per l’adeguamento del bilancio, la riorganizzazione del gabinetto dei ministri e la dismissione del Centro di Governo. Ancora una volta, la forza delle piazze ha fatto arretrare il Governo.
Con l’annuncio delle misure, e soprattutto a causa dell’avvicinarsi delle festività di fine anno, è probabile che le mobilitazioni diminuiranno. Tuttavia, la crisi politica irrisolta e gli effetti sociali ed economici del 2020 potrebbero innescare una nuova ondata di proteste nel 2021. Le soluzioni alla crisi sono complesse poiché, come abbiamo sottolineato, i gruppi di potere legati alla corruzione e alla criminalità organizzata cercano di ottenere il pieno controllo dell’organismo giudiziario e di preservare la loro influenza su quello esecutivo e su quello legislativo. Questa contesa per il controllo dello Stato vedrà il suo prossimo capitolo nell’aprile 2021, quando verrà rinnovata la Corte Costituzionale, ente strategico per contenere l’avanzata della coalizione mafiosa e che, una volta conquistata, faciliterà la nomina nelle alte corti di magistrati al servizio dell’impunità.
La difficoltà per realizzare il salvataggio dello Stato ha portato sempre più settori a portare avanti una richiesta sollevata da diversi anni dalle organizzazioni indigene e contadine: la convocazione di un’Assemblea Nazionale Costituente di carattere plurinazionale. La sfida è la costruzione di un percorso democratico che renda possibili le profonde trasformazioni dello Stato, in particolare in relazione ai rapporti tra Stato e popoli indigeni, nonché al regime economico e sociale.