Per ogni donna che subisce violenza, c’è un uomo che la compie. Sconosciuti a molti e quasi del tutto inesistenti al sud rispetto al nord, i centri per uomini maltrattanti sono luoghi in cui uomini che compiono violenza possono provare ad attuare un cambiamento

CHI ENTRA IN UN CENTRO PER UOMINI MALTRATTANTI

Sono due, essenzialmente, le tipologie di uomini maltrattanti che accedono a un percorso “riabilitativo” ma anche “preventivo”. In primis, un gran numero è rappresentato da uomini volontari, cioè che appunto spontaneamente decidono di avviare un percorso. Poi ci sono quegli uomini, che sottoposti a un percorso giudiziario per denuncia o per aver commesso un vero e proprio reato, vengono inviati dai tribunali, o spesso dai loro avvocati. Esiste però, un’ulteriore modalità di accesso, definita “per ammonimento”, frutto di una legge del 2014.

La legge prevede che le forze dell’ordine, dopo aver ricevuto una segnalazione anche in forma anonima e a valle di una piccola indagine, provvedano a inviare l’uomo, che ancora non ha denuncia a suo carico e che ancora non ha compiuto un reato, a un centro per uomini maltrattanti.

Il primo centro per uomini maltrattante nasce a Firenze nel 2009, dal centro antiviolenza Artemisia, si costituisce come associazione e ha allo stesso tempo un riconoscimento Onlus. «È importante che questi centri nascano in stretta connessione con i centri antiviolenza, perché le esperienze con le vittime è, per noi, il faro che ci guida nel nostro lavoro», afferma la dottoressa Stella Cutini, psicologa del centro. La percentuale di centri presenti al centro e al sud è bassissima. Il Cam di Roma nasce nel 2014 «su una iniziativa spontanea di persone che volevano sviluppare questo tipo di intervento assente in tutto il territorio del Lazio. Dopo un periodo di incubazione durato due anni dal 2012, ci siamo costituiti. Ma dal 2015 abbiamo iniziato a lavorare realmente», afferma Andrea Bernetti, psicologo nonché presidente del centro.

I CAMPANELLI D’ALLARME PER UN UOMO MALTRATTANTE

In tutti i casi gli uomini riconoscono che qualcosa non va, questo vale soprattutto e ovviamente per chi decide volontariamente di iniziare un percorso di cambiamento. I motivi possono essere vari, c’è una valutazione di base, che magari parte dal fatto che non riescano ad avere “buoni” rapporti di coppia e pensano che questo succeda a causa della “donna non giusta”, ma poi iniziano a capire che all’interno della relazione ci sono anche loro, quindi recepiscono che qualcosa non va. Hanno paura di perdere la relazione o di perdere i propri figli, di essere giudicati da questi ultimi. Molto spesso, hanno percepito la sofferenza della partner. «L’incapacità di avere un rapporto di coppia positivo è sicuramente un punto di partenza», argomenta Bernetti. «Significa che viene diffusa l’idea che questi problemi, che generano i maltrattamenti, possono essere trattati e quella cosa che li colpisce può associarsi al fatto che quello sia un problema, di conseguenza si può affrontare».

(foto di Vittorio Giannittelli)

UN FENOMENO SOCIO-CULTURALE

Tutti giustificano gli atteggiamenti, anche i più consapevoli. Secondo il dottor Bernetti, «si tratta di una modalità trasversale di ogni persona, non solo dell’uomo violento. In questo senso, tutti mettiamo all’opera dei meccanismi di autolegittimazione. L’idea di attribuire agli altri la colpa è un modello talmente forte e radicato nella mente che non possiamo non metterlo in atto». Dunque, è sicuramente un fenomeno di tipo socio-culturale che accomuna tutti gli uomini, non solo i maltrattanti. Ci sono radici culturali che ci riguardano tutti.

In Italia manca un approccio strutturato e ragionato che riflette sulla prevenzione, c’è soprattutto un intervento emergenziale. Come nel caso della donna che subisce violenza, per questa esistono le case rifugio e i centri antiviolenza, ma resta sempre un approccio unicamente emergenziale, necessario ma non sufficiente.

«Manca un approccio preventivo, il lavoro con gli uomini è totalmente concepibile dentro una logica di prevenzione, che ha come scopo quello di bloccare l’autore della violenza. Ma siccome l’uomo ha tendenza a replicare i propri comportamenti, c’è anche da considerare la prevenzione della recidiva», spiega Bernetti.

Bisognerebbe intervenire attraverso le diverse reti sociali e il contesto familiare. Come viene spesso detto e mai attuato, insegnare alla non violenza, indirizzare, fornire gli strumenti dalla radice. Lo stesso piano femminista contro la violenza maschile sulle donne, realizzato da Non Una di Meno, individua la scuola e l’università come luoghi primari di contrasto alle violenze di genere, spingendo verso una formazione in materia di prevenzione della violenza di genere, mediazione dei conflitti e educazione alle differenze per insegnanti, educatori ed educatrici. Chiedendo una revisione dei manuali e del materiale didattico adottati nelle scuole di ogni ordine e grado e nei corsi universitari, perché la scuola non contribuisca più a diffondere una visione stereotipata e sessista dei generi e dei rapporti di potere tra essi.

IL TEMA DELLA GENITORIALITÀ

Gli uomini che arrivano nei centri e sono padri iniziano anche un tipo di percorso che pone il focus proprio sul tema della genitorialità. Spesso sono gli stessi figli a fornire, indirettamente o direttamente, un campanello d’allarme che permette all’uomo maltrattante di raggiungere la consapevolezza che esiste un problema. «La maggioranza è padre, abbiamo per loro delle sessioni specifiche, facciamo attenzione sulla loro genitorialità. Spesso sono così attenti a se stessi che i figli non hanno spazio. Quando iniziano a prendersi cura di loro, è già un indicatore importante di cambiamento», sostiene Bernetti.

Similmente, il tema è trattato anche al Cam di Firenze. La dottoressa Cutini dichiara: «È un nostro focus di attenzione, a prescindere che i figli siano stati o meno vittime o abbiano assistito o meno. Un lavoro sulla funzione di responsabilità è un lavoro che deve aiutare gli uomini a comprendere che l’impatto della violenza esiste e c’è anche nei confronti dei figli, anche quando non sono loro le vittime».

I centri per uomini maltrattanti così come i centri antiviolenza per le donne vittime rappresentano iniziative quasi sempre spontanee. Per questo hanno bisogno di sostegno economico per crescere e mantenere in atto il proprio lavoro.

Esistono generalmente dei fondi nazionali e europei, che non sempre sono sufficienti o non sempre sono puntuali. A Firenze si offre un servizio gratuito agli uomini, possibile perché il Cam ha una convenzione con l’Asl Toscana centro, che finanzia gran parte del lavoro. In altre parti d’Italia, così come a Roma, si hanno più difficoltà.

Spiega Bernetti: «Grossomodo facciamo pagare il percorso agli uomini a meno che non ci sia un finanziamento ad hoc che va a coprire il caso singole. Ma questi bandi ancora non sono strutturati, ne abbiamo uno del 2018 realizzato nel 2019 della regione Lazio, dopo non se n’è fatto più nulla. C’è un emendamento al decreto di agosto che ha portato alla strutturazione di un finanziamento stabile ogni anno, di un milione di euro, ma non è ancora attivo. In generale, le cifre insufficienti sono ancora insufficienti».

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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