Per oggi niente crisi, domani vediamo. Il senso della giornata chiave delle consultazioni di Conte sul Recovery, quella dell’incontro con i dinamitardi di Iv, è questo. La delegazione renziana resta oltre due ore a palazzo Chigi. Teresa Bellanova entra assicurando che «finalmente si parla di contenuti e questo è positivo». Esce ripetendo la stessa formula. Se ne è parlato nel lungo faccia a faccia. Se ne parlerà ancora, tramite proposte scritte che tutti i partiti della maggioranza faranno pervenire. Ma il via deve arrivare prima dell’ultimo dell’anno, con apposita riunione del consiglio de ministri: «Non si può perdere tempo».
Si è parlato anche di metodo, naturalmente, e Conte se l’è sbrigata respingendo ogni addebito, in alcuni casi negando l’evidenza: «Mai pensato a un emendamento da inserire nella manovra», «Mai ipotizzato una task force tale da sostituire i ministri». Tutto un gigantesco equivoco. Risolto perché, come sbandiera Bellanova uscendo da palazzo Chigi con l’aria di chi sventola uno scalpo: «La task force non c’è più». «Lo apprendo da lei», commenta il ministro Boccia e non ci vuole un cane da tartufi per subodorare una certa complice ambiguità.
Certo, l’unità di missione non sarà quella tolda di comando ipotizzata all’inizio, avrà i compiti indicati nero su bianco dall’Unione europea, come ricorda con tanto di pagina precisa il ministro Amendola, quelli «di monitoraggio«». Ma di qui a dire che la task force è un caro ricordo ce ne passa.
Nel merito Italia Viva batte su quella scarsa cifra devoluta per la sanità, 9 miliardi di cui secondo i renziani solo 7 presi dal Recovery Fund, ma anche su quella ancor più esigua per turismo e spettacolo, 3,1 miliardi a fronte dei 22 per l’edilizia privata, come dire per il Superbonus cavallo di battaglia dei 5S. Conte prende atto e le voci assicurano che la somma per la sanità salirà. Qui si dovrebbe aprire il capitolo più doloroso, quello del Mes. E qui, invece, campeggia il giallo. A palazzo Chigi sostengono che Iv non ne ha fatto cenno e anzi si fregano le mani perché il segnale sarebbe di piena distensione. I renziani giurano di averne parlato eccome e, pur non avendo ricevuto risposta dal premier, ritengono che alla fine il prestito sarà chiesto anche se non tutto, come da recente proposta del vicesegretario del Pd Orlando e da ben più antico consiglio del capo dello stato.
Altra musica con LeU, ultima delegazione in agenda. Nessuna minaccia però, spiega la capogruppo al senato De Petris: «Abbiamo ribadito che bisogna intrecciare il green, che deve essere un vero green, la sanità e le infrastrutture. Il che significa anche il riequilibrio delle risorse». Insomma quei 9 miliardi striminziti per la sanità non vanno bene neppure a LeU ma non per si avvicina al Mes. Anzi, quando le ricordano che Iv insiste, la capogruppo ironizza: «La strumentalità qualche volta è commovente».
Non ha torto. Il capitolo Mes è proprio questo: uno strumento che Renzi si vuol tenere da parte per poter dichiarare aperta la crisi, se del caso, a prescindere dalla trattativa del Recovery, che peraltro è ancora al prologo perché il nodo della governance è solo il primo e non quello più difficile da districare. Né si tratta dell’unico tema messo da parte per chiudere in bellezza una serie di riunioni che tutti, anche i renziani, stavolta volevano che finisse bene. C’è la delega ai Servizi, che Conte non pare aver alcuna intenzione di mollare. E c’è il rimpasto, quello che tutti negano di volere e che invece è la vera partita per molti. Probabilmente anche per Renzi, se si rassegnerà a mancare l’obiettivo numero uno, la testa di Conte. Ci sarà, questo è certo. Ma se si tratterà di una modifica limitata a qualche poltrona o di una giostra tale da imporre un neuovo voto di fiducia e da autorizzare la definizione« »Conte ter» lo si vedrà a suo tempo, a gennaio. Per ora, per quel poco che resta del 2021, è se non pace almeno tregua disarmata.