Acad lancia una campagna di sottoscrizione per affrontare l’incremento degli abusi di polizia
In Italia il confinamento sociale è stato un duro colpo per la possibilità di mobilitarci. L’ordine del giorno è stato cannibalizzato dal covid. Infatti, com’è possibile ascoltare una voce critica, dispiegarla, farla vivere nelle lotte, costruire alleanze quando su tutto prevale l’angoscia? Ma i livelli di violenza sono aumentati nella pandemia: quella del capitale contro chi lavora, quella patriarcale e sessista contro le donne, quella dei razzisti contro i più deboli e quella della polizia, anzi delle polizie, contro gli oppositori politici e gli stili di vita, una violenza che si esprime nella repressione esplicita o nello stillicidio di abusi quotidiani, quelli che su Popoff si leggono nella sezione Malapolizia. Il numero verde di Acad, l’associazione contro gli abusi in divisa, si è surriscaldato spesso per via di un incremento delle segnalazioni. Ma l’associazione, che si sostiene soprattutto con eventi dal vivo, ottimali per costruire relazioni sociali e dunque impraticabili da tempo, è costretta a lanciare #AncheiosonoACAD, un crowdfunding per sostenere le sue attività: il numero d’emergenza, soprattutto, e le spese legali. Il lancio della campagna di crowdfunding è avvenuto in simultanea su diversi media alternativi, ossia i soggetti che producono informazione dal basso e autogestita, gli stessi con cui Acad interagisce per denunciare gli abusi e seguire i processi. Da oltre sei anni ACAD affronta il tema dei soprusi commessi dalle forze dell’ordine, offrendo supporto immediato alle richieste di aiuto («siamo in contatto con oltre trenta famiglie e vittime dirette sopravvissute», si legge nel comunicato stampa), rispondendo al numero verde 800 58 86 05 24 ore su 24, svolgendo controinformazione e seguendo direttamente una ventina di processi in corso.
Acad, è giusto ricordarlo, nasce da un’idea nuova di mutualismo, dalla volontà di fornire uno strumento a disposizione delle persone colpite dalla violenza in divisa e alle loro famiglie. Quando possibile, si è costituita parte civile, come nel caso del processo relativo alla morte di Riccardo Magherini, e in altri casi è intervenuta offrendo sostegno economico e/o legale a molte famiglie, in particolare tanta è stata la solidarietà popolare per coprire onerose perizie nella morte di Davide Bifolco e Arafet Arfaoui, e incessante l’impegno di uno dei nostri avvocati attivisti nel processo per Sekine Traore. Battaglie processuali tutt’ora in corso. Acad, però, non solo è uno strumento, ma anche uno spazio pubblico a disposizione di movimenti, cittadini, studiosi per mettere in atto una battaglia più ampia possibile per la costruzione di un senso comune solidale che, rivendicando diritti, verità e giustizia, sia capace di sconfiggere la paura con cui il neoliberismo imprigiona milioni di donne e uomini.
Acad affonda le sue origini nei movimenti, in quelle esperienze che passarono da Genova nel 2001. Si ritrova in quelle storie che hanno attraversato la storia di questo paese negli ultimi 20’anni, durante i quali si è assistito a un consolidamento della pratica abusiva. Dalla sua fondazione ACAD ha studiato quanto avviene sul territorio nazionale, senza perdere di vista anche quanto accade nel resto del globo. A tal proposito abbiamo realizzato dossier e campagne, tradotto documentari (es. quello su Santiago Maldonado) e realizzato incontri anche internazionali con realtà affini. Ha inoltre portato avanti campagne di sensibilizzazione e denuncia (es. sulla vicenda di Dino Budroni, o con l’audizione al Parlamento Europeo).
Il contesto in cui l’associazione si trova a lavorare è quello segnato da coprifuoco, restrizioni per gli incontri pubblici e privati, emergenza sanitaria, tutti fattori che piombano su un tessuto sociale lacerato e stremato dai processi del liberismo e aumentano il senso di sconfitta e solitudine delle persone. Acad è attiva in territori in cui lo spazio pubblico è sempre più alienato dalle varie normative anti-terroristiche o dalle politiche di decoro ed è sempre più privatizzato dallo sfruttamento commerciale di vie e piazze.
In tutto il pianeta, una delle facce della pandemia è la generalizzazione di politiche autoritarie da parte sia dei governi conservatori, sia di quelli progressisti. Non è vero che le violazioni dei diritti umani siano oggi una specialità di Ungheria e Polonia, o di al-Sisi, Bolsonaro, Putin o di chi governa in Asia. La gestione della pandemia a livello globale ha avuto effetti disastrosi anche sull’esigibilità dei diritti umani.
Se molti paesi hanno rilasciato un certo numero di detenuti per limitare il contagio, molti hanno escluso dalle misure i dissidenti politici e gli attivisti dei diritti umani. Contemporaneamente, il Covid-19 è divenuto ulteriore pretesto per il condizionamento dell’informazione e per la repressione di giornalisti, attivisti e avvocati in numerosi paesi, tra cui Cina, El Salvador, Iraq, Turchia, Serbia, Egitto, Iran, Bielorussia e Vietnam.
Abbiamo scritto spesso della ferocia della polizia francese contro le mobilitazioni sociali, dell’incremento di leggi eccezionali in Spagna, Francia, negli Stati Uniti. In Italia la breve stagione di Salvini al Viminale ha scolpito due decreti sicurezza che sviluppavano un desiderio bipartisan di tagliare le gambe alla possibilità stessa di manifestare, scioperare, esigere il diritto all’abitare. I decreti Salvini sono lo strumento per gestire la povertà, il dissenso e il conflitto sociale. Ecco perché l’attuale maggioranza, mentre celebra una minima correzione di rotta delle politiche sull’immigrazione, nemmeno ha fatto finta di discutere dell’abrogazione di quella parte dei decreti sicurezza.
Insomma la police brutality (Macron vuole vietare per legge la diffusione di immagini che documentano gli abusi di polizia) e la repressione dei movimenti sono parte integrante, necessaria, della governance liberista, sia che governino i buoni, i “liberal”, sia che governino i cattivi, da Trump a Orban. E’ quello che, in parallelo con le controriforme liberiste, viene definita la fine della tendenza alla pacificazione, ovvero l’escalation degli attacchi alle forme di dissenso, dal 99 in poi.
Se il caso francese è il più evidente è perché la loi de Sécurite globale interviene per occultare la violenza poliziesca contro cicli di lotta lunghissimi che qui ci sogniamo. La sicurezza globale è l’idea che non esiste più una chiara divisione tra sicurezza interna ed esterna. E’ anche un business enorme e come tale soggetto anche a dinamiche di privatizzazione ed esternalizzazione – è un modo per liberarsi di certi vincoli dello stato di diritto e andare verso un “diritto penale del nemico” che si applicherebbe sia all’interno che all’esterno dei singoli stati. Questa nozione di continuum di sicurezza è uno schermo per trasferire sempre più attività alla sicurezza privata e alla polizia municipale sempre più militarizzata e repressiva.
In Italia, a lotte isolate corrisponde una repressione puntuale, selettiva, durissima e mistificata nel dibattito pubblico, come raccontano le storie della Val di Susa, degli sgomberi nelle varie città, dei pestaggi ai picchetti di lavoratori della logistica o ai detenuti. Non si può tacere, nel bilancio dell’anno, la strage di detenuti in seguito alle rivolte in decine di carceri italiane all’inizio del lockdown del marzo 2020. Anche qui l’idea di un continuum di sicurezza trova da anni terreno fertile nella combinazione dei discorsi emergenziali con quelli su degrado e decoro. L’idea che la priorità debba essere data alla lotta contro le forme embrionali di devianza è al centro della cosiddetta teoria delle “finestre rotte”, che servì come base per l’escalation “law and order” della polizia di New York. Nel corso degli anni, questo continuum di delinquenza si è esteso dalla microcriminalità al terrorismo comprendendo gli stili di vita e le devianze politiche.
Nel 2017, uno storico americano, Timothy Snyder, ha pubblicato From Tyranny, una guida alla resistenza contro Donald Trump e i suoi simili in altre parti del mondo. Una delle sue “Venti lezioni del ventesimo secolo” si intitola: “Rimanete calmi quando succede l’impensabile”: “La tirannia moderna è la gestione del terrore. In caso di attacco terroristico, ricordate che i regimi autoritari sfruttano l’evento per consolidare il loro potere”. Molto spesso la politica emergenziale ha brutalmente rafforzato una delle dimensioni fondamentali della cultura della polizia, che la polizia è l’ultimo baluardo del regime politico, legittimata dalla società a fare il lavoro sporco. La paura di partecipare a una manifestazione rischia di diventare un “dispositivo preventivo” di formidabile efficacia.
Tutto quello che sto raccontando è parte di un processo globale, una torsione autoritaria che il recente Rapporto sui diritti globali, curato da Sergio Segio, definisce «Crimini che si possono definire di sistema, conseguenti a scelte politiche di governi che piegano a interessi particolari i beni comuni e l’interesse generale dei popoli, laddove gli stessi governi sono spesso espressione più o meno diretta di quegli interessi. La globalizzazione neoliberista ha generalizzato e reso più acuti questi processi e più distruttive le loro conseguenze».
Questo l’appello della campagna:
L’EMERGENZA PANDEMICA – APPELLO ALLA SOLIDARIETÀ
Questo è un appello con il cuore in mano rivolto a chi, in questi anni, ha contribuito alla lotta contro gli abusi e vuole continuare a farlo.
Nell’emergenza sanitaria per la COVID-19, ci troviamo a vivere un periodo storico senza precedenti, un periodo fatto di isolamento per cui le relazioni e i momenti di aggregazione sociale sono totalmente azzerati lasciando un vuoto difficile da colmare per associazioni senza scopo di lucro che, come la nostra, provano a costruire relazioni dal basso e si autogestiscono grazie al contributo di coloro che decidono di sostenerci soprattutto partecipando alle iniziative dal vivo di autofinanziamento come cene sociali e serate benefit. Sono queste pratiche che da anni permettono di sostenere le spese legali ed aiutare le vittime di abusi.
Tutto questo ad oggi è bloccato, date sospese, saltate o rinviate. Per noi come per il resto delle autogestioni, del mutualismo e dell’associazionismo. Ma gli abusi non si fermano, anzi, nel corso della cosiddetta fase 1 siamo stati investiti da una ulteriore ondata di segnalazioni di abusi – morti in carcere, multe assurde, pestaggi, uso del taser, spray al peperoncino, aumento dei TSO – determinati – « all’arbitrio interpretativo di forze dell’ordine non sempre impeccabili nell’assennata valutazione dei fatti » (cit.).
L’emergenza sanitaria ha causato una forte stretta repressiva e di controllo sociale acuto e mirato alle fasce più deboli e marginali.
Noi sentiamo l’obbligo morale di esserci sempre, di essere una sorta di dispositivo di protezione sociale. Per questo lanciamo questa nuova campagna di raccolta fondi per finanziare le spese più importanti ed urgenti dei prossimi mesi.
Mai come in questo momento sarà la solidarietà popolare a salvare la lotta agli abusi, è davvero l’arma più potente che abbiamo per sconfiggere il virus dell’indifferenza e mantenere attivo il contributo di Acad.
Non vi nascondiamo la difficoltà economica: il conto nazionale dell’associazione è stato stressato dalle spese per le consulenze medico legali, oltre 5000 euro solo negli ultimi mesi, che sono servite in processi importanti.
Obiettivo di questa campagna di autofinanziamento è raccogliere almeno 10.000 euro per dare respiro e continuità alla nostra azione. Il solo mantenimento del nostro Numero Verde delle emergenze, pilastro fondamentale per la lotta agli abusi in tempo reale, è un costo notevole che supera i milleduecento euro l’anno. E poi ci sono i processi dei quali ci siamo fatti totalmente carico anche dal punto di vista economico, come quelli relativi alla morte di Arafet Arfaoui e Sekine Traore. Entrambi sospesi con l’esplosione della pandemia, ma ripresi a ridosso dell’estate.
Per tutti questi motivi, con la massima sincerità e la gola stretta per il periodo di impedimenti che stiamo vivendo, ci troviamo a chiedere l’aiuto di coloro che credono in queste battaglie, incentivando il tesseramento on-line e le donazioni tramite conto corrente e paypal con la causale “ANCHE IO SONO ACAD” o partcipando al crowdfunding qui su Produzioni dal Basso.
Grazie a chi si sentirà di farlo.
ACAD-Onlus #SostieniLaLottaAgliAbusi, #AncheIoSonoAcad, #SiamoTuttieAcad.qui il link di produzioni dal basso: https://www.produzionidalbasso.com/project/ancheiosonoacad-campagna-a-sostegno-dell-associazione-contro-gli-abusi-in-divisa/questo il sito di Acad ACAD – -Associazione Contro gli Abusi in Divisa – ONLUS –