Lo scenario di fine anno presenta un’accelerazione, con le tensioni indotte nella maggioranza da Italia Viva al presidente del Consiglio che esprimono una lotta interna alla borghesia in vista di nuovi equilibri. Necessario un programma minimo dei comunisti per riaggregare un blocco sociale e un fronte politico anticapitalista.
1. Le (annunciate) tensioni nella maggioranza: la sfida di Renzi alla leadership di Conte
L’assalto alla diligenza, dopo alcuni giorni di acuta tensione, si era momentaneamente allentato alla vigilia delle feste natalizie. L’improvvisa (ma non inaspettata) fiammata nella maggioranza era scaturita da una dicotomia politica che si va facendo sempre più marcata: da una parte, il tentativo di Conte di dare un profilo tecnico/non-tecnico al proprio ruolo (costituendo la cosiddetta “cabina di regia” coinvolgendo i ministri più fedeli dell’esecutivo e coinvolti nella progettazione del Pnrr, su cui il presidente del Consiglio è stato costretto a fare marcia indietro), dall’altra, la sfida aperta da Renzi per ottenere un ruolo determinante nella gestione dei miliardi stanziati col Next Generation Eu.
Non inaspettatamente tuttavia, in coda all’approvazione della legge di bilancio per il 2021, Renzi ha riaperto il fuoco con una conferenza stampa – in parallelo alle votazioni al Senato – in cui ha minacciato di revocare la fiducia al governo se non saranno accolte le richieste di Italia Viva sull’utilizzo dei fondi del Recovery Fund. La ripresa del “fuoco amico” contro Conte e la compagine governativa sembra mirato ad alzare il livello delle richieste, più che a portare a una crisi di governo vera e propria, in quanto al momento non vi sono alternative reali se non le elezioni: vedremo nei prossimi giorni quali sono i reali obiettivi di Renzi. Nel frattempo, occorre analizzare compiutamente gli interessi economici rappresentati dagli attori politici in campo, e le prospettive di società che stanno alla base di questi conflitti.
Conte, forte del suo profilo politico/non-politico, ha costruito un asse con il Quirinale che lo ha finora sostenuto nella maggior parte dei casi. Il cardine (confuso e poco definito) del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è quello della modernizzazione del paese, con il rafforzamento di infrastrutture (materiali e digitali) e il rinnovamento eco-tecnologico delle strutture produttive, tesa a consentire una ristrutturazione del capitalismo nazionale (nel quadro e nel solco europeo) per restituire un ruolo competitivo all’Italia (e all’Ue) rispetto alla divisione internazionale del lavoro e della produzione, nella fase della globalizzazione neoimperialista. In altri termini, l’intento di Conte è determinare il rilancio economico dell’Italia attraverso la ridefinizione dei rapporti interni nella borghesia, sostenendo i settori in ascesa che spingono per il rinnovamento tecnologico, digitale, organizzativo, produttivo, ristrutturando le relazioni sindacali con forme estreme di flessibilità (smart working, lavoro agile, telelavoro ecc.), e conseguentemente smantellando le (già misere) tutele fornite ai lavoratori dai contratti nazionali.
2. Gli interessi in gioco nella sfida politica aperta nella maggioranza
L’accusa di verticismo che è stata mossa a Conte è puramente strumentale: non si tratta di difendere l’esecutivo e il presidente del Consiglio, che hanno evidenziato una gestione ambivalente e ondivaga nell’emergenza sanitaria, sostanzialmente a sostegno degli interessi dominanti – Conte è espressione di una convergenza neocentrista, riferimento del coacervo di interessi che affianca finanza (soprattutto cattolica) e vertici istituzionali (Quirinale) – quanto di evidenziare che gli attacchi alla costruzione di un potere piramidale e blindato (task force, commissioni ecc.) vengono da settori politici (e sociali) interessati alla spartizione delle ingenti risorse in ballo, tesi a soddisfare appetiti non certo qualificabili come democratici. Vale la pena di ricordare che Italia Viva, col suo campione di incursioni a gamba tesa Matteo Renzi, è espressione del progetto di radicale demolizione dei diritti del lavoro e delle istituzioni, con più di un occhio rivolto al centrismo “moderato” iperliberista di Forza Italia, spaccando il cosiddetto centrodestra. Insomma, la partita del governo al momento si gioca tra un neocentrismo interclassista e neodemocristiano (con buona pace di Zingaretti e del Pd, ma anche dell’esangue M5S) interpretato da Conte (e sempre più anche da Di Maio) contro un neocentrismo iperliberista prefigurato da Renzi, per plasmare gli equilibri di maggioranza in chiave tecnocratica. Ma quale scenario insegue il corsaro di Rignano e le sue amazzoni (Bellanova e Boschi)? Un nuovo esecutivo (Draghi?) in cui fare il ministro?
Gli obiettivi di Renzi sono chiari e hanno una duplice faccia, nazionale ed europea: innanzitutto sbloccare le grandi opere per fare dell’Italia un immenso cantiere svincolato da controlli sia istituzionali, sia dei cittadini, aprire ai fondi del Mes sanitario in vista di una ulteriore ristrutturazione del sistema sanitario in chiave privatistica, occupare posti cardine per la gestione di queste risorse.
3. La subalternità del progetto di centrosinistra
Le vicende interne alla maggioranza e le tensioni che si sono accese tra le forze sostenitrici del governo Conte esprimono con esemplare evidenza come la cifra dell’esecutivo non possa essere considerata di sinistra, ma neanche di moderato riformismo socialdemocratico, quanto piuttosto di centrismo assistenzialista neodemocristiano, infarcito (o solo spalmato) di neokeynesismo. È più che evidente che il progetto di Leu – finalizzato alla ricostruzione di un centro-sinistra riformista capace di incidere sugli equilibri politici generali e “convincere” il Partito democratico a riprendere politiche di espansione della spesa pubblica verso servizi di interesse collettivo (come la sanità), effettuando (minimi) spostamenti delle risorse per rilanciare il cosiddetto welfare – mostra tutta la sua inefficacia: la strategia che punta a rilanciare la spesa pubblica e potenziare le strutture e il personale del pubblico (medici/infermieri, insegnanti/Ata) finanziandola con un drenaggio di risorse dalle classi medio-alte verso i settori popolari (proletari e piccolo-borghesi impoveriti) – con la proposta di una seppur timidissima patrimoniale progressiva – è evidentemente fallita, dimostrando che senza una piena autonomia politica e di classe, entrando nei meccanismi di normalizzazione istituzionale (governabilità) durante una tempesta di ristrutturazione capitalistica, la cosiddetta “sinistra” viene completamente marginalizzata.
Il baricentro si sposta così sulla “titanica” battaglia di Renzi (la cui creazione Italia Viva è affetta da nanismo elettorale che si rovescia in megalomania politica) per conquistare la visibilità necessaria (non arriverei a parlare di egemonia) a recuperare credibilità per rappresentare componenti della rampante borghesia capitalistica (imprenditoriale, finanziaria) nel braccio di ferro con le componenti “tradizionali” del capitalismo italico. La battaglia per la conquista dei liberali “moderati”, la cui massa critica diventa necessaria per ingaggiare la partita con i liberaldemocratici dem e riequilibrare lo scenario parlamentare scompaginando il centrodestra e il centrosinistra, ha come obiettivo quello di diventare riferimento per lobby e potentati in ascesa, verso cui si rivolge Renzi: che riesca a scalfire l’impianto neocentrista incardinato sulla figura di Conte è molto improbabile, ma che possa mettere in seria difficoltà l’esecutivo, imponendo una crisi, con una rimodulazione “moderata” degli equilibri politico-ministeriali che renda sempre più marginale la “sinistra” (Leu e pezzi del M5S) e un passaggio parlamentare incerto e insidioso, è altamente probabile che possa accadere. Alla fine di questo duello con Conte, sicuramente riuscirà a ottenere posti cruciali che ridefiniranno gli equilibri degli interessi in gioco nell’attuale ristrutturazione capitalistica in Italia (e probabilmente anche in Europa), mentre la “sinistra del centro-sinistra” ne uscirà a pezzi e senza più alcuna credibilità. Limitandosi a una prospettiva di riformismo neokeynesiano, o peggio assistenzialistico, la presenza di ministri di Leu nell’esecutivo Conte non ha intaccato minimamente le dinamiche liberiste (vedere come il ministro Speranza, dopo aver “promesso” investimenti massicci nel Sistema sanitario nazionale, si è poi dovuto “accontentare” di 9 mld di euro dei 196, cioè meno del 5% di quelli a disposizione nel Pnrr), ma ha piuttosto favorito le componenti neocentriste nella lotta per i nuovi assetti politico-istituzionali della borghesia, anziché avviare processi di trasformazione della struttura economico-sociale in senso progressista (non osiamo dire socialista).
4. La necessità di un programma minimo dei comunisti per aggregare un blocco sociale e un fronte anticapitalista
L’attuale governo Conte rappresenta un equilibrio instabile, ma istituzionalmente vantaggioso alla borghesia nazionale, che favorirà la ridefinizione degli assetti economico-finanziari concedendo misere mance redistributive alle fasce depauperate (proletarie e piccolo-borghesi), non intaccherà – semmai favorirà – la riattivazione del processo di accumulazione capitalistico: senza un’alternativa reale promossa da forze anticapitaliste (socialiste e comuniste) al momento scarsamente organizzate, il rischio è quello di un’accelerazione di una crisi politica che accentuerebbe lo scontro sociale e politico (con le forze reazionarie e xenofobe in ascesa).
Quello di cui si sente sempre più la necessità è un programma minimo dei comunisti, attorno a cui riaggregare un blocco sociale e un fronte politico anticapitalista alternativo che scardini le dinamiche attuali, costruisca un fronte di forze antiliberiste e anticapitalistiche su un progetto di transizione a un assetto collettivistico e socialista, promuova un programma politico che introduca come obiettivi di fase la nazionalizzazione dei principali settori strategici (tra cui, evidentemente, ricerca e industria farmaceutica), la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, da cui consegue l’esigenza di perseguire la piena occupazione, promuova un sistema fiscale fortemente progressivo, introduca il controllo della circolazione dei capitali (come propone Brancaccio).
Per creare le condizioni di questo scenario, occorre lavorare senza tregua alla ricomposizione sociale di un blocco storico antagonista e alla formazione di un fronte politico anticapitalistico, attraverso la riattivazione del conflitto sociale e delle mobilitazioni sociali che rilancino la lotta di classe da parte delle classi subalterne e popolari: per fare questo, è contestualmente necessario riattivare un processo di ricostruzione di un partito comunista con una visione di lunga durata e di prospettiva storica, la cui azione non sia confinata esclusivamente alla dinamica elettorale, in cui il gioco è truccato per lasciare fuori la rappresentanza istituzionale diretta espressione degli interessi delle classi lavoratrici.