In molti ricorderanno certamente la famosissima misura che prese il suo nome, correva l’anno 1997 e il Governo Prodi varò il “Pacchetto Treu”.
C’erano già state in precedenza delle piccole aperture, ma mai come nel 1997 il nostro ordinamento aveva aperto ai contratti “atipici”, alla flessibilizzazione del mercato del lavoro, alla precarietà.
In particolare il 1997 fu l’anno della nascita del lavoro interinale (oggi chiamato somministrazione): un abominio nel quale il lavoratore non ha più un contratto diretto col datore di lavoro. Il contratto lo stipula con un’agenzia, la quale poi sottoscriverà un accordo con l’utilizzatore, colui il quale appunto utilizzerà il lavoratore per il tempo necessario, senza particolare impegno. Un cacciavite, poco più di questo.
Millantavano di voler rilanciare l’economia, di voler coniugare flessibilità e sicurezza (flexicurity), balle: il risultato è sotto i nostri occhi e probabilmente era solo un tentativo per tamponare gli effetti negativi legati Maastricht, scaricandoli sulla pelle delle lavoratrici e dei lavoratori italiani. Un copione che si sarebbe banalmente ripetuto in molte altre occasioni.
Dopo 13 anni, Treu è ancora ascoltato, presiede persino il CNEL e pochi mesi fa a proposito dello smart working ha dichiarato che «non è detto che il tempo di lavoro diventerà irrilevante, ma certo dovrà essere valutato diversamente dal passato», per poi aggiungere che «un nuovo oggetto di regolazione dovrà riguardare le piattaforme che gestiranno questo tipo di lavoro (…) perché la configurazione e le regole di tali piattaforme saranno decisive per la valutazione e il controllo del lavoro a distanza».
Il controllo a distanza, da sempre considerato negativo a causa degli effetti che produce sulla dignità e sulla salute delle persone, tanto è vero che è arginato dallo Statuto dei Lavoratori, diviene un obiettivo da raggiungere per Tiziano Treu e le norme dovranno sostenerlo.
Norme invece assolutamente da contenere se si tratta di tutelare i diritti della gente. Infatti, nonostante gli infiniti rischi che un approccio ordinario e generalizzato allo smart working può comportare, il buon Treu sul punto è netto, sottolineando come «sarebbe sbagliato e certo prematuro approvare una nuova normativa, tanto più se fortemente prescrittiva». E quando ti sbagli.
Dopotutto, cosa aspettarsi da uno che poco prima aveva sostenuto che l’articolo 18 fosse una “rigidità” e come sia invece meglio «graduare le sanzioni per i licenziamenti illegittimi, come previsto ora con il Jobs Act».
Figure come quella di Tiziano Treu rappresentano un pensiero, un approccio, una dottrina avversa al mondo del lavoro: sono espressione di una impostazione che, ammesso sia un tempo stata in buona fede, ha dimostrato confrontandosi con la storia di essere drammaticamente fallimentare e di aver aperto un’autostrada a chi voleva speculare sul mondo del lavoro, riducendo tantissime persone in condizioni di profonda precarietà e povertà.
L’idea di Italia coltivata da figure come Treu è vecchia, vecchia dentro. Il mondo del lavoro, i sindacati, la politica, dovrebbero smettere di ascoltare le sue parole: dovrebbe essere dimenticato, lasciando dietro di sé solo un malinconico sentimento di rimorso per quanto fatto e di rimpianto per ciò che avrebbe invece potuto essere.
Fonti
https://www.avvenire.it/economia/pagine/treu-diritti-di-base-uguali-per-tutti-pure-sulla-previdenza
Di: Savino Balzano
Da :