(Foto di rel-uita.org)

Giorgio Trucchi

Sono diverse migliaia gli honduregni e honduregne – tante famiglie con bambini – che nella notte tra giovedì e venerdì scorso si sono riuniti nel terminal degli autobus della città di San Pedro Sula e hanno intrapreso un lungo e pericoloso viaggio verso gli Stati Uniti, fuggendo dalla miseria, dalla violenza e dalla mancanza di un futuro.

Dopo aver superato lo sbarramento della polizia honduregna alla frontiera di El Florido, la ‘carovana migrante’ è riuscita a entrare in territorio guatemalteco, avanzando verso la località di Vado Hondo, a pochi chilmetri da Chiquimula, dove è stata brutalmente aggredita con manganelli, bastoni e gas lacrimogeni da poliziotti antisommossa e militari.

Alcune persone sono riuscite a passare, ma il grosso del gruppo è stato bloccato e si è accampato all’altezza del chilometro 177 dell’autostrada Atlantica. Ci sono diversi feriti e circa 2400 persone sono già state rimpatriate, mentre altre 1000 sono ancora in mano alle autorità migratorie.

La violenta repressione è una conseguenza diretta del decreto emesso la scorsa settimana dal governo guatemalteco, con il quale ha decretato lo stato di prevenzione in sette province che confinano con l’Honduras e ha ordinato la dissoluzione violenta di qualsiasi assemblea pubblica, gruppo o manifestazione. Una strategia in linea con le politiche migratorie imposte da Trump ai paesi del cosiddetto ‘triangolo nord’ (El Salvador, Guatemala, Honduras).

Contrariamente a quanto molti pensano, le persone che abbandonano l’Honduras non inseguono il “sogno americano”, bensí stanno fuggendo dall’incubo honduregno.

“Si tratta di disperazione. Fuggono dalla miseria, dalla violenza, dalla mancanza di lavoro. Non hanno più tempo per aspettare che le cose migliorino. Preferiscono affrontare un viaggio pieno di incognite e di pericoli piuttosto che rimanere in Honduras, dove la vita non vale nulla”, spiega Bartolo Fuentes, giornalista ed esperto in temi migratori.

Il disastro honduregno

L’Honduras è uno dei paesi con il più alto indice di disuguaglianza e povertà in America Latina, con quasi il 70% della popolazione che vive in povertà e oltre il 40% in miseria.

È anche uno dei paesi più pericolosi per le persone che difendono la terra e i beni comuni. Più di 140 difensori dei diritti umani sono stati assassinati nell’ultimo decennio.

Ancora più drammatica è la situazione della violenza contro le donne, i giornalisti e la comunità Lgbti. Quasi 6.300 donne sono state uccise in meno di due decenni, più di 360 persone Lgbti hanno perso la vita in modo violento negli ultimi 10 anni e quasi 90 giornalisti sono stati assassinati dal 2001, con una forte impennata degli omicidi dopo il colpo di stato del 2009. L’impunità supera il 90% di tutti questi casi.

Una situazione resa ancora più disperata dall’incapacità e dall’irresponsabilità mostrata dalle autorità honduregne nel far fronte alla pandemia di Covid-19 (135 mila casi, 3.400 morti e un sistema sanitario al collasso) e a due uragani (100 morti e 15 miliardi di dollari di perdite, soprattutto nelle zone rurali).

Crisi umanitaria

In un comunicato emesso nei giorni scorsi, la Convergenza contro il Continuismo ha denunciato che in Honduras si sta vivendo una vera e propria catastrofe umanitaria a causa di una pubblica amministrazione in mano a una narco-dittatura, degli effetti devastanti della pandemia e dell’impatto di ben due uragani.

“Molte delle persone che sono partite con questa ultima carovana hanno perso tutto e stavano vivendo in rifugi temporanei o sotto i ponti. La maggior parte di loro sente di essere stata abbandonata, di non avere un futuro per sé e per la propria famiglia in Honduras. Ti dicono che se ne vanno perché non c’è lavoro, non c’è niente. Molte sono famiglie numerose, con bambini. Si riuniscono con altre persone o famiglie dello stesso quartiere o villaggio, formano dei gruppi e si uniscono alla carovana.

Ho dato un passaggio fino a San Pedro Sula a una famiglia di Danlí (sud dell’Honduras). Genitori giovanissimi con un figlio di 4 anni e una bambina di 4 mesi. Non trovano lavoro e il poco che avevano l’hanno perso con l’uragano. Preferiscono tentare la fortuna al nord piuttosto che morire qui. Fa davvero male vedere tanta disperazione negli occhi di migliaia di persone”, ha detto Fuentes.

Un modello economico nefasto

Nel suo comunicato, la Convergenza contro il Continuismo ha ribadito che i principali problemi del Paese risiedono nella concentrazione della ricchezza e nel progetto continuista del presidente Hernández.

“L’Honduras si è trasformato in una macchina che crea poveri. La gente fugge da una dittatura criminale. Il modo più efficace per evitare che la gente continui a migrare non è firmando accordi di ‘paese terzo sicuro’ con gli Stati Uniti, ma togliendo il sostegno a Juan Orlando Hernández e ai criminali che lo accompagnano e accelerando il procedimento di estradizione. Lanciamo un appello alla comunità internazionale affinché si muova in questo senso”, ha aggiunto la Convergenza.

“Senza cambiamenti strutturali del modello economico e politico, un modello depredatore che privatizza i servizi, consegna i beni comuni su un piatto d’argento alle multinazionali e che esclude la maggior parte della popolazione, sarà impossibile frenare l’esodo quotidiano di migliaia di famiglie honduregne”, ha concluso Fuentes.

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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