Obiettivo fuori portata. L’analisi dei dati, dopo i tagli alle forniture di Pfizer. Per recuperare potrebbero essere utili le dosi di AstraZeneca. L’Ema deciderà il 29 gennaio
Pochi giorni fa il commissario straordinario Domenico Arcuri aveva promesso: «Entro marzo 5,9 milioni di vaccinati». Significherebbe aver vaccinato tutti i sanitari, gli ospiti delle Rsa e gli ultra-ottantenni. Dati alla mano, vorrebbe dire effettuare 130 mila vaccinazioni al giorno, domeniche comprese. Finora non ci siamo andati nemmeno vicini: dal 1 gennaio, giorno in cui è partita davvero la campagna vaccinale, sono state effettuate 1,2 milioni di somministrazioni, cioè 62 mila al giorno in media con punte di 92 mila. L’Italia, evento piuttosto raro, è stata la nazione più efficiente in Europa con le somministrazioni, eppure non basta: ora bisognerebbe accelerare e raddoppiare il ritmo. La prossima settimana, il commissario invierà alle regioni i primi duemila operatori reclutati attraverso le alle agenzie di lavoro interinale per coadiuvare le Asl.
Ma proprio adesso la disponibilità di dosi sembra incerta, a causa delle forniture della Pfizer ridotte in modo unilaterale. I tagli alle dosi previsti tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio sono dell’ordine del 30%. Invece di 560 mila dosi a settimana ne riceveremo al massimo 400 mila. Contando le 300 mila dosi di scorta attualmente a disposizione, per le prossime 2 settimane possiamo contare su 1,1 milioni di dosi. Ma sono già quasi tutte prenotate per i richiami, da effettuare 21 giorni dopo la prima dose: nelle prossime due settimane, dunque, dovranno ricevere la seconda dose coloro che hanno ricevuto la prima tra il 1 e il 13 gennaio, cioè oltre 900 mila persone. La disponibilità di vaccini per le prossime due settimane è di circa 200 mila dosi. Anche senza accantonarne nessuna per i successivi richiami, le somministrazioni nelle prossime due settimane non saranno più di 15 mila al giorno, cioè dieci volte meno del ritmo previsto per rispettare il piano di Arcuri.
Se nelle settimane successive Pfizer manterrà le promesse e consegnerà tutte le dosi previste da contratto, tra febbraio e marzo dovranno essere somministrate almeno 7 milioni di dosi per avvicinarsi all’obiettivo dichiarato da Arcuri. Per riuscirci, occorrerà fare più di centomila vaccinazioni al giorno. Si tratterà di operazioni più complicate dal punto di vista logistico rispetto a quelle compiute finora, perché riguarderanno perlopiù ospiti nelle residenze, disabili e ultra-ottantenni con mobilità ridotta e in molti casi non auto-sufficienti, che andranno raggiunti casa per casa. Raggiungere l’obiettivo stabilito, alle attuali condizioni, rappresenterebbe davvero un miracolo.
Il commissario straordinario Arcuri non rinnega la scelta di aver iniziato dai sanitari rispetto agli anziani, applicata in modo estensivo dalle Regioni che hanno vaccinato anche impiegati in smart working e dirigenti prima degli ultraottantenni. «Cosa è successo a livello territoriale è complicato e prematuro da comprendere», ammette Arcuri. «Ma l’impegno di rendere gli ospedali Covid-free e di proteggere le Rsa è stato solenne». Per recuperare potrebbero essere utili i vaccini di AstraZeneca, sulla cui autorizzazione l’Agenzia Europea del Farmaco si esprimerà il 29 gennaio. È il vaccino di cui l’Italia ha prenotato il maggior numero di dosi (40 milioni per il 2021), il più economico e più facile da somministrare perché non necessita di ultra-refrigerazione, a differenza dei primi vaccini disponibili. «Al momento, l’azienda prevede di consegnarne all’Italia 8 milioni di dosi nel primo trimestre» se otterrà il via libera dall’Ema. Cioè la metà rispetto ai 16 milioni preventivati nel piano vaccinale italiano, ma non è l’unica incognita.
«Oltre all’autorizzazione – prosegue Arcuri – sarà necessario verificare se il vaccino sarà raccomandato anche per gli ultraottantenni». Non è scontato: finora AstraZeneca non ha fornito evidenze sull’efficacia del suo vaccino negli anziani, perché nelle sperimentazioni sono stati inclusi solo in un secondo momento. Inoltre, il vaccino ha mostrato un’efficacia del 62%, molto inferiore al 90% di Pfizer e Moderna, e una bassa capacità di prevenire le infezioni asintomatiche. Dunque il vaccino di AstraZeneca potrebbe essere maggiormente adatto per fasce di popolazione a rischio più basso, da includere nella campagna vaccinale solo in una seconda fase.