José Maria Arguedas con la moglie Sybila Aredondo.

Francesco Cecchini

JOSE’ MARIA ARGUEDAS

Copertina del libro Yawar Fiesta

Lima, Perù. Una sera, all’Haiti, a Miraflores, racconto a Maria delle soste a Puquio per mangiare: caldo de pollo, cuyes arrosto, patate, chicha morada e caffè lungo e nero, a volte mate di coca. A Maria luccicano gli occhi ed esclama con voce eccitata: “Ma Puquio è il pueblo dove José Maria Arguedas ha trascorso parte della sua infanzia e adolescenza, parlando il quechua prima che il castigliano! Arguedas, il grande scrittore peruano, che ha scritto romanzi dove lidioma dei conquistadores si incrocia con quello degli Inca e con lo spagnolo delle Ande. A torto è stato definito indigenista, mentre è un inventore di scrittura con una coscienza sociale. Un grande scrittore più grande di Palma, di Ciro Allegria e perfino di Vargas Llosa, che a voi piace tanto”. Dice il nome di Vargas Llosa con ironia e disprezzo, mi guarda negli occhi, ma io non raccolgo la provocazione, anche perché non ancora letto La ciudad y los perros, La casa verde, Pantaleón y la visitadoras e gli altri romanzi dello scrittore di Arequipa. “Proprio a Puquio Arguedas ambienta il suo primo romanzo del 1941 – prosegue Maria – Yawar Fiesta, Fiesta de sangre. È il romanzo del Perù andino, figlio degli incas e degli spagnoli. Leggilo, i tuoi viaggi dalla costa alla sierra non saranno più gli stessi. Sarà diverso quello che ascolterai e vedrai, perché lo capirai meglio.” Maria continua a parlare. “Con un gruppo di studenti di San Marcos ed un professore ho visitato alcuni anni fa Puquio, ricorrendo il Jirón Bolívar, dove, quando Arguedas era bambino, abitavano i mistis ed i notabili, la Escuelas de varones, il carcere, la piazza centrale, il posto della Guardia Civil. Dallabra di Sillanoy ho potuto scorgere i quartieri degli indios, gli ayllus, di Pichkachuri, Chaupi e Kollana. Ho visto i torrenti di Pichkachuri e Yalpu. Sono stata nella puna di Koñani. Ho visitato i resti della casa di Arguedas che si trovano in una fattoria a San Juan de Lucanas, non lontano da Puquio. Poi abbiamo proseguito per Abancay e Cuzco.” Mi faccio ripetere lentamente i nomi e li scrivo su un paio di tovaglioli di carta. Prima o poi mi fermerò a Puquio e a San Juan de Lucanas per un paio di giorni. “Con lo stesso gruppo sono stata anche a Chimbote dove Arguedas ambienta El Zorro de arriba y el zorro de abajo, La volpe di in cima e la volpe di abasso. Chimbote era ed è l’  immagine di un Perù mescolato, un porto dove s’   incontra tutto il paese, volpi della sierra e volpi della costa, ma non solo, vi sono cinesi, giapponesi, neri. Una grande barriada, quartiere di periferia sul Pacifico. Dopo Chimbote volevamo visitare anche la prigione El Sexto, ma non lo permisero. Prima di terminare il suo ultimo romanzo, che è anche uninchiesta antropologica, Arguedas si suicidò e chiese come ultimo desiderio di venir accompagnato al cimitero El Angel con musica andina. Musicisti amici suoi suonarono quenas, arpas e charangos. Fu un corteo funebre imponente, con molti studenti con bandiere di Cuba e del Vietnam del Nord, che cantavano LInternazionale. Ho sempre voluto scrivere qualcosa su José Maria Arguedas, magari lo farò per la tesi di laurea.” Da narratore dei miei viaggi andini divento un ascoltatore attento, preso dall’ uomo e dallo scrittore Arguedas, dalla sua scrittura, dall’  impegno, dall’  infelicità e dalla morte. Annoto i titoli dei suoi libri El Sexto, Los rios profundos, Todas las sangres e soprattutto Yawar Fiesta. Il giorno dopo non vado in ufficio, ma cerco il romanzo Yawar Fiesta nelle librerie del centro di Lima. Lo trovo in una libreria allinizio del Jirón de la Unión, è un piccolo libro tascabile pubblicato dalla Editorial Horizonte. In una copertina gialla è disegnato un toro nero con legato sul dorso un condor dalle ali spiegate, che lo ferisce alla testa ed alla schiena con gli artigli ed il becco, mentre dal dorso del toro sgorgano fiotti di sangue. La cassiera guarda la copertina e dice: “Nel romanzo non viene narrato il Turupukllay, la lotta tra questi due animali. Il Turupukllay fa parte della Yawar Fiesta, ma non sempre cè. Io vengo da Ayacucho, ne ho sentito parlare, ma non lho mai vista. Esiste ancora però. Dicono che di solito vinca il condor, ma alla fine è spennacchiato ed anche lui perde sangue.” “Io, ho visto i condor solo volare nei cieli di Lucanas o di Coracora.” Dopo il lavoro e la cena rinuncio ad uscire e inizio la lettura che termina la mattina. É sabato, per fortuna, così posso dormire quanto voglio. Leggendo, traduco mentalmente dallo spagnolo allitaliano, aiutato dalle molte parole in quechua che hanno a piè di pagina una spiegazione. Ayllu è il villaggio indio, cholos sono i meticci, yaku è lacqua… Alcune parti, poche e non lunghe, le traduco per iscritto. L’  incipit per esempio, o meglio l’  inizio dell’  incipit: Tra campi di erba medica, coltivazioni di frumento, fave ed orzo su una collina accidentata si trova il villaggio. Dalla gola di Sillanok si vedono tre torrenti che scorrono, avvicinandosi tra loro via via che arrivano alla valle del grande fiume. I torrenti scendono dalla puna correndo in un letto brusco, ma poi si distendono in una pampa irregolare dove cè perfino un piccolo lago; termina la pianura ed il corso dei fiumi si rompe unaltra volta e salta di cateratta in cateratta fino ad arrivare in fondo alla valle. Il villaggio si vede grande, sopra il monte, seguendo la collina tetti di tegole si alzano dalla riva del torrente, dove crescono alcuni eucalipti, fino alla cima; nella cima terminano perché sul bordo della collina si trova la via Bolivar, dove abitano i notabili… Il romanzo racconta di una tradizione delle comunità indigene del Perù, descrive la corrida india, dove il toro viene affrontato non in una plaza de toros da un torero, ma all’   aperto da centinaia di indios. Durante il massacro del toro e di qualche indio si suonano delle trombe, le wakawakras, fatte con le corna di tori uccisi negli anni precedenti. La tradizione rischia quellanno di venire sconvolta da una ordinanza dellautorità di Lima che proibiscono la forma selvaggia praticata dagli indios e ordina che la corrida avvenga nella forma diciamo civile praticata dagli spagnoli e cioè in una plaza de toros, anche se provvisoria, e con un torero professionista. Alla fine le cose non vanno come ordinate e il giorno della festa centinaia di toreri indios occupano Puquio. Cori di donne cantano inni che incitano il toro: Ay turullay, turo, wakraykuiari, sipiykuyari, turullay turo Ay toru cornea pues, mata pues totro Ahii toro. Dai incornalo, dai uccidilo, toro, toro. Ed ancora

Turullay, turo, wakraykunkichu sipiykunkichu turullay, turu!

Ay toro, toro como has de cornear, como has de matar, toro,toro

Ibarito, il torero venuto da Lima, si fa impressionare dai cori e dice: “Senor Escobar, potrebbe far chiudere la bocca a queste donne che già vedono il mio cadavere.” Poi inizia a toreare, ma quando il toro si avventa sul suo corpo e tenta di travolgerlo, corre a gambe levate a ripararsi. Gli abitanti di Puquio lo sfottono ed incitano gli indios toreri ad affrontare lanimale che prima ne incorna uno, poi viene abbattuto con un candelotto di dinamite. “Vede signor Sottoprefetto? Queste sono le nostre corride, la vera festa di sangue.” Diceva lAlcalde nellorecchio dellAutorità. Della lettura del libro ne parlo per telefono a mia moglie, Elena e lei mi dice che il romanzo, tradotto da Umberto Bonetti, è stato pubblicato da Einaudi, assieme ad altri lavori di Arguedas: I fiumi profondi, Il Sesto… Quando a fine anno ritorno in Italia, per le vacanze di Natale, la prima cosa che leggo è il romanzo Festa di sangue. È un’  ottima traduzione che trasmette emozioni al lettore, per la storia drammatica di questa corrida india, ambientata nelle Ande del Sud. Bonetti inoltre sa conservare in italiano il sapore di uno spagnolo speciale influenzato dal quechua, sia per la presenza di molte parole in lingua, sia per la struttura del testo e soprattutto per i dialoghi. Confronto la traduzione di Bonetti con i pochi pezzi che ho tradotto e noto che vi sono delle differenze, ma tutto sommato ininfluenti. Che importanza ha tradurre la parola varayok con alcalde, invece che con saggio? Oppure jirón con girone e non con via? O ancora riachuelos con fiumiciattoli, invece che con torrenti? Nessuna o molto poca, agli occhi del normale lettore. Leggo la traduzione italiana, con a fianco il testo originale e anche quei pochi brani che ho tradotti. Al termine della lettura sono tentato di terminare il mio esecizio di traduzione, per migliorare italiano e spagnolo, anche se quello di Arguedas è molto speciale, molto peruano e indio. Lo farò con molta lentezza e a salti, ma alla fine esiste un Yawar Fiesta tradotto da me.

Di ritorno a Lima, in un cinema del centro, guardo il film di Louis Figueroa, Kukulí ,Yawar Fiesta, Perros hambrientos. Le immagini aiutano a capire le parole. Il link con il film su Youtube è il seguente:

SYBILA ARREDONDO 

Sybila Arredondo

JoséMaria Arguedas il 13 maggio 1967 sposò  Sybila Arredondo, che conobbe durante un viaggio in Cile. Si incontrarono  a  “La Chascona” casa del poeta Pablo Neruda, situata su un pendio del Cerro de Santa Lucía a Santiago e Sybila rimase colpita dalle  canzoni in quechua di JoséMaria.

Sybila trascorse 14 anni nelle carceri peruviane perché accusata di essere una militante di Sendero Luminoso. Alberto Fujimori, presidente del Perù, nel 1990 fece un auto colpo di stato e  smantellò i poteri legislativo e giudiziario. Da lì, creò una legge per processare sommariamente persone con la scusa di terrorismo e molti vennero condannati  per avere una presunta simpatia per Sendero Luminoso.  Sybila Arrendondo fu arrestata per la prima volta nel 1985, accusata di aver trasportato 200 chili di esplosivo in uno scarabeo Volkswagen. Si diceva che fosse collegata a Sendero Luminoso, Partido Comunista de Perú. Un anno e mezzo dopo, è stata rilasciata per mancanza di prove. Dopo sei mesi è stata nuovamente arrestata e nuovamente prosciolta. Il processo nel quale Sybila fu condannata a 14 anni  di prigione fu assolutamente illegale, non si sapeva  chi fossero i giudici, le cui voci venivano distorte. Quando una persona arrivava in quel tribunale era già stata condannata, tutto era un circo. Sybila fu una delle vittime di questo tipo di processi e scontò illegalmente i 14 anni di prigione senza alcuna prova reale contro di lei.

Il 6 dicembre 2002,  lasciò il carcere di alta sicurezza di Chorrillos. Sopravvissuta, quindi, a una delle prigioni più feroci del mondo, dove  visse in condizioni subumane, sottoposta a torture fisiche e psicologiche.  Le condizioni di detenzione erano disumane. Sei persone condividevano una piccola cella e potevano uscire nel cortile solo mezz’ora al giorno. Non avevano accesso alla lettura o ad alcun giornale. Le donne erano anche torturate dalle guardie carcerarie. Sybila è divennea una delegata delle prigioniere che lottavano per condizioni migliori. Dopo alcuni anni a Sybila venne offerta l’estradizione per poter terminare la sua condanna in Cile, ma  rimase nella in prigione peruviana perché non voleva abbandonare le sue compagne.

Attualmente vive a Rangue, vicino a Santiago del Cile.

Figlia della scrittrice  Matilde Ladrón de Guevara, ebbe come madrina la poetessa Gabriela Mistral, ha sposato il poeta Jorge Tellier. Poi innamorata di José María Arguedas andò a vivere in Perù e prese da José l’   amore incondizionato per i diseredati e gli esclusi, innanzitutto, per i popoli Quechua e Aymara, contadini sfruttati in un sistema che li emarginava e li uccideva.

Sybila Arredondo non ha mai abbandonato l’   amore per la cultura. Per esempio la casa editrice di Lima Horizonte ha pubblicato le opere complete in cinque volumi Jose Maria Aguedas curate da Sybila Arredondo

La sua storia è raccontata da un documentario del 2012, girato dalla nipote Teresa. Il link con il trailer, con sottotitoli in spagnolo, è il seguente:

Sibila (2012) con i e non con y, perché la sua protagonista voleva che il suo nome fosse scritto come le profetesse greche della mitologia, costituisce un ritratto onesto e imperdibile di come il terrorismo di Stato non solo colpì le sue vittime, ma distrusse anche i loro legami familiari . Il documentario, premiato al BAFICI, Buenos Aires Festival Internacional de Cine Independiente, e in importanti festival internazionali.

Nel 2018 è stata pubblicato “Acero y paloma. Relato de una mujer libre en cautiverio”, biografia di   Sybila Arredondo della scrittrice Mónica Echeverría. Acciaio e colomba. È così che José María Arguedas  definiva Sybila Arredondo, evidenziando la dualità che esiste in lei. La tranquillità di una colomba, la pace e la dolcezza piene di risate, insieme a un carattere d’  acciaio che appare quando difende i propri ideali.

Così Mónica Echeverría ha scritto del suo libro:

Per molto tempo il fantasma di Sybila Arredondo non mi ha permesso di dormire e mi ha colpito la coscienza. È che la sua vita non è quella di nessun essere umano; troppe tragedie, punizioni e azioni crudeli. Tuttavia, la tenerezza, i sorrisi e persino le risate non sono mai scomparse. Una vita viva, al di là di tutto. Ho sempre tenuto presente il ricordo della notizia del 2002: Sybila Arredondo, vedova del poeta peruviano José María Arguedas ed ex moglie del cileno Jorge Teillier, è stata rilasciata dopo oltre quattordici anni di prigione in Perù. Sembrava felice e allo stesso tempo esausta; la stampa l’ha molestata e il suo paese l’ha accolta con gioia dopo una detenzione così dura e lunga. Dopo tante domande su quella destinazione, finalmente la incontro. Ho bisogno di conoscere la storia di questa donna che non si è mai arresa, di quest’  anima combattiva impegnata in ideali così tipici di quella generazione che sognava un mondo di giustizia sociale e libertà

Copertina del libro Acero y Paloma

La madre Matilde Ladrón de Guevara, scrittrice, scrisse per la figlia Sybila en Canto Grande (1988) e Por ella, Sybila viuda de José María Arguedas (1995).

Di Francesco Cecchini

Nato a Roma . Compie studi classici, possiede un diploma tecnico. Frequenta sociologia a Trento ed Urbanistica a Treviso. Non si laurea perché impegnato in militanza politica, prima nel Manifesto e poi in Lotta Continua, fino al suo scioglimento. Nel 1978 abbandona la militanza attva e decide di lavorare e vivere all’estero, ma non cambia le idee. Dal 2012 scrive. La sua esperienza di aver lavorato e vissuto in molti paesi e città del mondo, Aleppo, Baghdad, Lagos, Buenos Aires, Boston, Algeri, Santiago del Cile, Tangeri e Parigi è alla base di un progetto di scrittura. Una trilogia di romanzi ambientati Bombay, Algeri e Lagos. L’ oggetto della trilogia è la violenza, il crimine e la difficoltà di vivere nelle metropoli. Ha pubblicato con Nuova Ipsa il suo primo romanzo, Rosso Bombay. Ha scritto anche una raccolta di racconti, Vivere Altrove, pubblicata da Ventura Edizioni Traduce dalle lingue, spagnolo, francese, inglese e brasiliano che conosce come esercizio di scrittura. Collabora con Ancora Fischia IL Vento. Vive nel Nord Est.

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