Vi ho già raccontato di quella volta che il Matto e Pussy Galore hanno ammazzato il padre di Sabrina e il colonnello Pickering? No? Strano, è una delle mie storie preferite… Come quale Sabrina? La figlia dell’autista dei Larrabee. Ma sarà meglio che cominci dall’inizio…
Certamente ricordate l’intelligente e compassato ispettore Hubbard di Scotland Yard, che non solo riesce a scagionare un’affascinante Grace Kelly dall’accusa di omicidio, ma incastra, con una trappola davvero ben congegnata, il cinico Ray Milland in Dial M for Murder del 1954, ossia Il delitto perfetto come lo conosciamo qui in Italia, uno dei thriller meglio costruiti da quel genio di Alfred Hitchcock. Ebbene quell’arguto funzionario di polizia è John Williams. E l’anno dopo “Hitch” per il cast di To Catch a Thief – Caccia al ladro – sceglie ancora John, questa volta per interpretare H.H. Hughes, l’impeccabile e sagace funzionario dei Lloyd’s, che finisce per diventare un “complice” di Cary Grant, il “Gatto”, il ladro che ha inseguito per una vita: ma se te lo chiede Grace Kelly, non puoi certo dire di no. E sempre nel 1954 Billy Wilder, un altro genio della macchina da presa, sceglie John per interpretare Thomas, l’autista della famiglia Larrabee, che manda la figlia Sabrina a studiare a Parigi da Le Cordon Blue e che dopo due anni ritrova una giovane donna che stenta a riconoscere. E John finirà per diventare il suocero di Humphrey Bogart, il serio e posato Linus Larrabee, una parte pensata all’inizio per Cary Grant. Anche se il successo di Sabrina è legato, oltre al fascino ineguagliabile di Audrey Hepburn, alla faccia di “Bogie”. Non c’è che dire: una bella carriera quella di John Wlliams, nato nel 1903 nel Buckinghamshire, ma trasferitosi a vent’anni negli Stati Uniti, come tanti suoi connazionali di belle speranze. Comincia a Broadway, dove viene ingaggiato in produzioni importanti, recita con alcune “regine”: Claudette Colbert, Helen Hayes, Gertrude Lawrence – con lei in una fortunata messa in scena del Pigmalione di George Bernard Shaw – e vince anche un Tony nel 1953 proprio per il ruolo dell’ispettore Hubbard nel dramma che Hitchcock farà diventare un film, chiedendo a John di interpretare lo stesso ruolo anche sul grande schermo. Nel 1957 Billy Wilder vuole ancora John per il ruolo di un avvocato in Testimone dell’accusa, accanto a Charles Laughton e Marlene Dietrich. Ma è soprattutto la televisione che regala a John Williams la notorietà: appare in otto episodi della fortunata serie Alfred Hitchcock Presents, è Shakespeare nell’episodio intitolato The Bard della serie The Twilight Zone, è l’inappuntabile Nigel French, che sostituisce per nove puntate il “fratello” Sebastian Cabot, che si è infortunato al polso, nella serie che in Italia conosciamo con il titolo Tre nipoti e un maggiordomo. E per tredici anni, dal 1971 al 1984, entra nella case degli americani per pubblicizzare 120 Music Masterpieces, un cofanetto della Columbia con quattro LP di famosi brani di musica classica: si tratta dello spot più longevo a livello nazionale della storia della televisione americana.
Che bella Grace… E forse non sapete che lei e Brian Keith, lo zio dei tre nipoti e il datore di lavoro del signor French, hanno debuttato nello stesso film, il cui protagonista era proprio il Matto. Questa ve la devo raccontare…
Nell’immaginario di tutti noi Gelsomina ha gli occhi tristi e candidi di Giulietta Masina. Eppure proprio l’ostinazione con cui Federico Fellini vuole Giuletta per quel ruolo è uno dei motivi che rende così difficile trovare un produttore per La strada. Quelli a cui sottopone il progetto dicono che rischia di essere un disastro e che comunque Silvana Mangano sarebbe più adatta, o comunque assicurerebbe un maggior successo al film. Alla fine sarà Dino De Laurentiis – che è anche il marito della Mangano – a rischiare di produrre quella strana storia venuta in mente a Tullio Pinelli mentre in un viaggio in auto vede per strada una coppia di girovaghi che tirano una carretta, e che permette a Fellini di ambientare un film nel mondo del circo e degli zingari, un progetto che coltiva da tempo. Scelta la protagonista, mancano i due attori che dovranno interpretare Zampanò e il Matto. De Laurentiis ha sotto contratto Anthony Quinn, che sta girando Attila con la regia di Pietro Francisci, insieme a Sophia Loren e Irene Papas. Quinn accetta, nonostante la produzione – e il suo salario – siano ben lontani dai livelli hollywoodiani a cui è ormai abituato: capisce – dimostrando molta più lungimiranza dei produttori italiani – che sarà un grande film, un film che farà la storia del cinema. E lui vuole esserci. Per il ruolo del Matto, il giovane acrobata che alla fine viene ucciso da Zampanò in un attacco di gelosia e che invece, con le sue parole, ha convinto la ragazza a rimanere con il rude saltimbanco, vengono fatti molti provini. Anche Alberto Sordi si candida, ma Fellini non lo ritiene adatto; e questo causerà una rottura tra i due che durerà parecchi anni. In quei mesi vive in Italia Richard Basehart, nato nel 1914 in Ohio. Nel nostro paese è conosciuto soprattutto per essere, dal 1951, il marito di Valentina Cortese. È un bravo attore, che, dopo una breve, ma significativa, carriera teatrale, si è dedicato al cinema, riuscendo a scegliere dei film che gli permettono di non essere incasellato tra i “belli” di Hollywood. Richard non vole essere uno dei tanti “eroi”. In Egli camminava nella notte di Alfred L. Werker è un tormentato assassino, in Il regno del terrore di Antony Mann dà vita a uno spietato Robespierre. Nel 1951 arriva il suo ruolo più importante: nel film la 14° ora di Henry Hathaway interpreta l’uomo che tenta di suicidarsi gettandosi dal quindicesimo piano di un grattacielo e che un poliziotto, interpretato da Paul Douglas, riesce a salvare parlandogli per quattordici ore. L’interpretazione di Richard colpisce molto i critici e ancora oggi viene considerata la sua migliore. Il film, in cui, oltre al lungo dialogo tra il poliziotto e il suicida, si intrecciano le storie delle donne e degli uomini che dalla strada assistono alla scena, segna l’esordio di una giovane attrice destinata a un grande successo, Grace Kelly appunto, e di tanti giovani pieni di speranza. In Un americano a Roma appare una locandina del film e la scena di Nando Meniconi che minaccia di gettarsi dal Colosseo è chiaramente una parodia di questo fortunato film. Nello stesso anno Richard è anche il protagonista di Ho paura di lui di Robert Wise in cui incontra Valentina Cortese, che dal 1948 è a Hollywood sotto contratto con la 20th Century Fox, interpretando diversi film con molti dei grandi. In uno di questi, The Secret People, Valentina diventa amica di una giovanissima attrice inglese, che viene dalla danza, che interpreta per la prima volta un ruolo importante, Audrey Hepburn. Fellini è molto soddisfatto dell’interpretazione di Richard, tanto che nel 1955 lo vuole tra i protagonisti de Il bidone, ancora una volta insieme a Giulietta Masina. Mentre La strada è un enorme successo, che segna la notorietà del regista riminese a livello internazionale – il film nel 1957 vincerà l’Oscar come miglior film straniero, una categoria istituita proprio quell’anno, il primo dei suoi quattro – Il bidone viene considerato uno dei suoi film meno riusciti. Comunque la carriera di Richard continua, a differenza del matrimonio con Valentina Cortese: è Ismaele in Moby Dick, la balena bianca di John Houston nel 1956, che noi ricordiamo per il capitano Achab di Gregory Peck, e il maggiore Cargill in Il fronte del silenzio, l’unico film diretto da un altro grande attore, non abbastanza ricordato, Karl Malden, che non ha fatto solo Le strade di San Francisco.
La storia di come Audrey è diventata Eliza Doolittle sono sicuro di avervela già raccontata. Ma non vi ho mai detto nulla di Pickering…
Anche Wilfrid Hyde-White è nato nel 1903 in Inghilterra, precisamente a Bourton-on-the-Water, che per i suoi canali e i suoi ponti è chiamata la “Venezia delle Cotswolds”. Suo padre è un pastore, il canonico della cattedrale di Gloucester, mentre suo zio un attore. Il giovane Wilfrid decide molto presto che seguirà le orme del secondo. E, nonostante dica che l’aver frequentato la Royal Academy of Dramatic Art gli ha insegnato solo due cose, e che la prima è che recitare non è il suo lavoro, la sua carriera si snoda tra cinema e teatro, di qua e di là dell’Atlantico, per quasi cinquant’anni. E praticamente sempre piccole parti, da caratterista: ma in grandi film. Nel 1949 recita ne Il terzo uomo con Orson Welles e Alida Valli, nel ’51 è nella compagnia di Laurence Olivier e Vivien Leigh che in quella stagione mette in scena prima il Cesare e Cleopatra di Bernard Shaw e poi l’Antonio e Cleopatra di Shakespeare. Nel ’56 ottiene una nomination ai Tony per la sua interpretazione in The Reluctant Debutante del drammaturgo britannico William Douglas Home, dopo aver recitato nella stessa commedia anche nel West End. Infine dagli anni Sessanta si trasferisce definitivamente a Hollywood e non potrà tornare nel Regno Unito a causa dei suoi problemi con il fisco. Recita con Marilyn Monroe in Facciamo l’amore e nel 1964 arriva finalmente il ruolo per cui Wilfred entra a pieno titolo nella storia del cinema: è il colonnello Hugh Pickering in My Fair Lady. E noi lo ricorderemo sempre mentre, insieme a Rex Harrison e Audrey Hepburn canta The rain in Spain stays mainly in the plain, che nella ovviamente infedele traduzione italiana di Fedele D’Amico e Suso Cecchi diventa la rana in Spagna gracida in campagna.La sua carriera continua tra cinema e tanta televisione. Qualche volta è anche cattivo, come il giudice sterminatore in una delle versioni di Dieci piccoli indiani, ma se serve un gentiluomo inglese, un bon vivant che ama le donne e non è troppo attento a come spende il proprio denaro, allora chiamano Wilfrid, perché la seconda cosa che ha imparato alla Royal Academy è che non importa affatto che non sappia recitare.
A proposito di My Fair Lady, dovete sapere che Pussy Galore è stata anche la madre del professor Higgins…
Lo confesso: Pussy Galore è la prima nella mia personale classifica delle Bond-girls. Ho letto che in un sondaggio la preferita è Honey Ryder e Pussy è solo seconda, ma non sono affatto d’accordo.Ian Fleming non è certo un autore femminista e già la scelta del nome del personaggio, con quel non troppo elegante gioco di parole, ne è una prova evidente. Nel romanzo Goldfinger – del 1959, il settimo della serie – Pussy è mora, pallida e ha gli occhi viola, e parla con una voce bassa e seducente. È dichiaratamente lesbica, perché ha subito da bambina una violenza da parte di uno zio. Dopo aver guidato un gruppo di trapeziste, diventa la prima donna negli Stati Uniti a essere a capo di un’organizzazione criminale, The Cement Mixers, formata solo da donne, come lei omosessuali. Nel film del 1964 – il terzo della serie – non sappiamo praticamente nulla della vita precedente di Pussy: tutte cose su cui è meglio sorvolare. Guida un gruppo di aviatrici professioniste che vengono assoldate da Goldfinger per il suo progetto criminale. Ovviamente non sappiamo neppure se sia lesbica, anche se nel corso del primo incontro dichiara di essere immune dal fascino di Sean Connery. Nel film diventa bionda perché per interpretarla viene scelta l’attrice inglese – è nata nel 1925 a Plaistow, un quartiere di Londra – Honor Blackman. È una bella ragazza che vuole recitare: fa piccole parti in film non memorabili. In Quartet – il suo terzo film – incrocia Wilfrid Hyde-White, anche se non recitano nello stesso episodio. Nel 1963 è la dea Era in Jason and the Argonauts, ma Honor diventa davvero popolare nei primi anni Sessanta nel Regno Unito perché interpreta la dottoressa Cathy Gale nella seconda e nella terza stagione di The Avengers, che in Italia conosciamo con il titolo di Agente speciale, anche se ha avuto nel nostro paese scarso successo, tanto che molti episodi non sono stati mai doppiati e trasmessi. Il protagonista della serie è John Steed – interpretato da Patrick Macnee – un brillante e misterioso agente del servizio segreto britannico che indossa sempre completi eleganti, la bombetta e porta immancabilmente l’ombrello. La dottoressa Gale è un’antropologa, esperta di judo – Honor pratica questo sport con successo – che affianca Steed nelle sue missioni, indossando, sotto il trench, vestiti di pelle, molto aderenti, e lunghi stivali che le permettono di combattere più facilmente e che diventano presto di moda tra le giovani donne inglesi. Cathy è intelligente, sicura di sé, indipendente, coraggiosa, un personaggio a suo modo rivoluzionario per la televisione inglese degli anni Sessanta. Figurarsi per quella italiana. Anche se il ruolo di Pussy le darà un’incredibile notorietà internazionale, si tratta di un deciso passo indietro per l’immagine della donna che Honor ha saputo incarnare negli anni precedenti.È proprio il successo di cui gode nel Regno Unito grazie a The Avengers che le fa ottenere la parte: ha trentotto anni, cinque più di Connery, è la più “vecchia” delle Bond-girls, ma una delle più affascinanti e sensuali. E pericolose.Anche se rimarrà per sempre Pussy Galore, Honor prosegue la sua carriera con successo. Al cinema continua a fare film e nel 2001 interpreta un cameo ne Il diario di Bridget Jones. A teatro è la baronessa in The Sound of Music nel fortunato revival londinese del 1981 con Petula Clark, la madre del professor Higgins in un’edizione del 2006 di My Fair Lady e l’anno successivo è Fraulein Schneider in Cabaret. Ha una bella voce, incide anche qualche disco e nel 1983 canta come Juno – una dea a cui è evidentemente legata – in una produzione televisiva di Orfeo all’Inferno di Jacques Offenbach.Honor è una donna impegnata che non ha paura di sostenere le proprie idee. È una convinta repubblicana e nel 2002 rifiuta la nomina a Commendatore dell’Ordine dell’Impero britannico, perché sarebbe ipocrita per una come lei accettare un tale riconoscimento. Sostiene anche il cambiamento del sistema elettorale in senso proporzionale. Hanno fatto rumore le sue dichiarazioni contro Sean Connery: lei trova assai poco coerente che il suo illustre collega sostenga l’indipendenza scozzese e allo stesso tempo accetti i titoli della regina d’Inghilterra; e soprattutto che non paghi le tasse, perché è più comodo fare l’esule fiscale. E ditemi voi se non è la migliore delle Bond-girls.
Forse ho divagato un po’ troppo. Cosa vi dovevo raccontare? Non mi ricordo… ah sì, di quando i coniugi Macbeth hanno ucciso Sir Roger Haversham e il suo maggiordomo…
Nicholas Frame e Lillian Stanhope sono non solo marito e moglie, ma soprattutto due famosi attori inglesi, istrionici e vanesi, che stanno per debuttare al West End nel Macbeth. Alcuni giorni prima del debutto nel camerino di lei si scatena una lite con il produttore Sir Roger Haversham, che capisce che i due lo hanno manipolato. Sir Roger accidentalmente muore, ma i due preferiscono non chiamare la polizia, infilano il cadavere in un baule, lo portano nella sua grande casa fuori città e inscenano una caduta dalle scale.
Vista la notorietà della vittima, anche se pare si tratti di un incidente, il caso viene affidato al Sovrintentende Capo William Durk, che però, per loro sfortuna, in quei giorni ha un ospite venuto dagli Stati Uniti, un tenente della polizia di Los Angeles, che il collega inglese invita a partecipare alle indagini. I due attori non hanno fatto i conti con il tenente Colombo, che ben presto capisce che si tratta di omicidio, convincendo anche gli uomini di Scotland Yard. Le indagini si fanno sempre più serrate: un ombrello è la chiave di tutto, un ombrello di sir Roger che è rimasto nel camerino di Lillian. Tanner, il maggiordomo di sir Roger, capisce anche lui cosa è successo e decide di ricattare i due omicidi, che intanto hanno avuto un grande successo nel “dramma scozzese”. A quel punto uccidono anche lui. Ma la rete di Colombo si stringe sempre più intorno a loro.Colombo sa che sono stati loro, ma non lo può provare. Costruisce una trappola – che sarebbe piaciuta all’ispettore Hubbard – che scatta immancabilmente sui due colpevoli.
Dagger of the mind viene trasmesso dalla NBC domenica 26 novembre 1972: è il quarto episodio della seconda stagione e dura come un film, novantotto minuti. Per scrivere la sceneggiatura di questo loro soggetto, Richard Levinson e William Link chiamano un esperto come Jackson Gillis. Il regista è Richard Quine, un discreto attore all’inizio della sua carriera, ma soprattutto un affermato regista, uno dei grandi artigiani di Hollywood; Mia sorella Evelina, Una Cadillac tutta d’oro, Una strega in paradiso, Noi due sconosciuti, L’affittacamere, Il mondo di Suzie Wong sono tra i suoi titoli più famosi. Oltre a questo Quine dirige anche l’episodio successivo Requiem for a Falling Star, con Anne Baxter e Double Exposure nella terza serie.Il film viene girato in parte a Hollywood e in parte a Londra e si vede la differenza perché i tecnici e soprattutto il direttore della fotografia sono diversi. Due vittime e due assassini: un unicum per i casi di Colombo. John Willams è Sir Roger e Wilfrid Hyde-White è Tanner. Del cast l’inglese Hyde-White è l’unico che girerà tutte le sue scene a Los Angeles: non può mettere piede nel Regno Unito, rischia di essere arrestato per evasione fiscale. E anche l’unico che compare in un altro episodio: è il vecchio avvocato, che non disdegna la compagnia femminile, in Last Salute to the Commodore, il sesto della quinta stagione. Richard Basehart e Honor Blackman sono la coppia di attori omicidi. Ma devono essere citati anche gli altri. Il portiere del teatro a cui piace la birra – e non piacciono i cappelloni – è Arthur Malet, un caratteristica inglese di lungo corso, Mr Dawes jr in Mary Poppins. Il Sovrintendente Capo è il gallese Bernard Fox, una presenza costante nei telefilm americani quando serve un militare inglese e il pasticcione e donnaiolo Dottor Bombay in Vita da strega. Fox sarà anche il commissario di bordo della nave su cui si svolge la crociera in Messico vinta dalla signora Colombo, durante la quale avviene ovviamente un omicidio. L’episodio è Troubled Waters, il quarto della quarta stagione, e il capitano è niente meno che Patrick Macnee. Il titolo dell’episodio è tratto dal monologo del secondo atto di Macbeth, quando vede intorno a sé un pugnale, simbolo della sua colpa e Nicholas Frame, come impazzito, quando Colombo ha scoperto, ingannandoli, il loro omicidio, recita il celebre monologo Tomorrow, tomorrow and tomorrow, che diventa la sua tragica confessione. Dagger of the mind è anche il titolo del nono episodio della prima stagione di Star Trek. Ma questa è davvero tutta un’altra storia: non voglio divagare…
se avete tempo e voglia, qui trovate quello che scrivo…