Continuano le proteste popolari che dal 14 gennaio stanno agitando il paese. A Tunisi, la polizia ha cercato di impedire la manifestazione di fronte al Parlamento organizzata per chiedere la liberazione degli arrestati e misure urgenti contro la crisi

Un corteo pacifico ma determinato. Migliaia di tunisini e tunisine hanno percorso ieri, forzando numerosi blocchi della polizia, il tragitto che dal quartiere popolare di Ettadhamen della capitale, dove la lotta e’ stata più dura in questi giorni, conduce sino al quartiere del Bardo, dove si trova invece il Parlamento tunisino, impegnato nelle stesse ore a votare la fiducia al governo di coalizione islamico-liberale del primo ministro Mechichi. Hamadi Zribi, attivista e compagno residente a Tunisi, una volta giunti di fronte al Parlamento ci racconta come proprio il quartiere di Ettadhamen «dopo la rivoluzione sia stato una roccaforte degli islamici di Ennahda, mentre oggi giovani fra i 14 ed i 20 anni stanno scendendo in piazza con slogan laici rivoluzionari proprio contro Ennahda accusandoli di aver usato il potere per mettere in campo lo stesso clientelismo di Ben Alì».

La scellerata scelta del governo di proibire le manifestazioni per il decennale del 14 gennaio 2011, giorno in cui Ben Alì lasciava il paese costretto dalle proteste, è coincisa con l’inizio di una nuova ondata di contestazione.

Hamadi ricorda che «ogni anno a gennaio i movimenti organizzano dei cortei, ma quest’anno hanno assunto tutta un’altra dimensione. Forse perché dieci anni rappresentano un momento di bilancio e basta guardarsi intorno per vedere che la situazione è decisamente peggiorata. La disoccupazione giovanile dilaga a oltre il 50%, soprattutto nelle aree interne e nell’ovest della Tunisia. Anche chi ha studiato non trova lavoro e il risultato è che giovani anche di soli 13 o 14 anni scendono in piazza oggi con gli stessi slogan di dieci anni fa».

L’unico aspetto che Hamadi ritiene migliorato è quello relativo alla libertà di espressione e di movimento che è stata guadagnata e che lo fa essere ottimista sulla sorti della Tunisia nel lungo periodo: «Ci sono movimenti molto forti che scendono per le strade, affrontano la polizia a testa alta e non hanno più la paura della generazione cresciuta sotto Ben Alì. Questo lascia ben sperare per il futuro che la Tunisia non torni più sotto un regime dittatoriale. Certamente la società civile continuerà su questa strada e nutro molta fiducia nella gioventù del paese”.

Nonostante la libertà di espressione possa essere cresciuta, la risposta repressiva rimane brutale. Sono oltre 1500 i giovani in stato di fermo e in attesa del processo di convalida dell’arresto.

Molti sono stati raggiunti direttamente a casa dalle forze di sicurezza che monitorano le attività sui social network. A Sbitla, governatorato di Kasserine, Haykel Rachdi, un giovane manifestante di 25 anni e’ stato ucciso con un lacrimogeno sparato durante un corteo. Ieri il funerale è stato attaccato e disperso con altri gas lacrimogeni. «È una cosa gravissima, c’è sempre stato rispetto per i morti, ma ora si è superato un limite», continua Hamadi mentre il corteo si ingrossa sempre di più di manifestanti che riescono a raggiungerci di fronte al Parlamento: «La novità e’ che le manifestazioni vengono organizzate tutte le sere autonomamente, ci sono partiti della sinistra extraparlamentare e associazioni in piazza qui con noi oggi, ma le manifestazioni sono per lo più frutto dell’autorganizzazione nei quartieri popolari di Tunisi e all’interno del Paese».

Ieri in Parlamento si è votata la fiducia al Presidente del Consiglio, che è giunto a uno scontro senza precedenti con il Presidente della Repubblica. Quest’ultimo vorrebbe porre il veto ad alcuni ministri già accusati di corruzione ed ex funzionari del precedente regime. Uno scontro politico che, tuttavia, non sembra essere il motivo principale per cui la manifestazione è giunta fin lì. Ragazzi e ragazze per lo più giovanissimi e con addosso i simboli dei tanti movimenti culturali che animano la capitale tunisina, si trovano davanti al Parlamento principalmente per chiedere a gran voce la liberazione degli arrestati e scandiscono slogan di completa sfiducia verso tutta la classe politica per la crisi in corso.

Una profonda crisi economica, politica e sociale che attraversa tutto il Paese, esacerbata ancora di più dalla crisi sanitaria che in Tunisia si e’ propagata senza una vera e propria strategia di contenimento e ha provocato oltre 6000 morti.

Conclude Hamadi: «Il Governo non è riuscito a governare la crisi neanche per quanto riguarda la gestione della pandemia: pochi giorni fa sono stati acquistati dalla Francia 60 nuovi blindati della polizia per reprimere le manifestazioni, mentre nessuno ha idea di quando arriveranno i vaccini per la Covid-19. La verità è che non ci si dovrebbe chiedere perché stiamo manifestando, ma perché non ci sia ancora stata una nuova rivoluzione».

E nonostante il Primo Ministro sia già dovuto intervenire sulla televisione nazionale per dire di aver compreso la rabbia e le richieste delle piazze, queste continueranno nei prossimi giorni per chiedere con forza il rilascio degli arrestati e l’adozione di misure di sostegno economico, misure socio-economiche per far fronte alle conseguenze del Covid-19, a cominciare dal sostegno al reddito, alle strutture sanitarie e scolastiche.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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