All’inizio dell’avverarsi di questa distopia in cui siamo precipitati abbiamo conosciuto e subito le carenze del sistema sanitario nell’affrontare l’espandersi della pandemia Covid-19 del virus Sars-Cov-2, l’esplosione pandemica è stata innescata dal potere politico, in  primo luogo quello regionale della Lombardia, che si rifiutò di chiudere il pronto soccorso dell’ospedale di Alzano Lombardo e di dichiarare zona rossa il comprensorio della Val Seriana, sotto pressione della Confindustria.

In queste settimane siamo precipitati dalle promesse salvifiche nelle delusioni cocenti della soluzione offerta dai vaccini e non si tratta della loro efficacia nel garantire l’immunità dal virus, ma della loro disponibilità garantita o meno dall’industria farmaceutica o meglio dal gruppo di testa delle 10 società – conosciute collettivamente come Big Pharma – che controllano il mercato mondiale dei farmaci.

I  due corni del problema hanno una comune origine nel rapporto tra pubblico e privato, nella riduzione progressiva dell’intervento pubblico nella sanità e nel monopolio di Big Pharma nella produzione dei farmaci, sostenuta peraltro da consistenti finanziamenti pubblici.

La produzione dei vaccini contro il Sars-Cov-2 costituisce indubbiamente un evento straordinario per i tempi con cui sono stati realizzati, sia pure con importanti differenze nei loro percorsi tra quelli già pronti e testati e quelli ancora in fase di test, gravati da problemi di efficacia. Le risorse utilizzate in termini finanziari, tecnologici e produttivi costituiscono probabilmente un caso unico nella storia dell’industria farmaceutica, laddove le risorse finanziarie sono state abbondamene anticipate dagli stati e costituiscono un lauto anticipo sui giganteschi profitti che le stesse società stanno realizzando e realizzeranno  nei prossimi mesi; dalle cronache emerge una sorta di messa all’asta sul mercato mondiale.

Se il monopolio privato della produzione di farmaci alimenta con le sue pratiche le diseguagliazne sociali a livello globale e nei singoli paesi, la distribuzione ineguale dei vaccini per il Covd-19, per l’impatto sanitario e sociale di questa pandemia, sta producendo un inedito salto di qualità. Nel mese di novembre 2020 Medici senza frontiere invita tutti i paesi a sostenere la richiesta di India e Sud Africa.

Nell’articolo si legge “La sospensione della proprietà intellettuale consentirebbe a tutti i paesi di non concedere o depositare brevetti e altre misure di proprietà intellettuale su farmaci, test diagnostici e vaccini utili per la risposta al Covid-19 per tutta la durata della pandemia, fino al raggiungimento dell’immunità di gregge a livello globale. Un’iniziativa simile alle posizioni assunte dai Governi del Sud del mondo oltre 20 anni fa che hanno determinato l’introduzione e l’utilizzo dei farmaci generici per l’HIV/AIDS a prezzi accessibili, salvando così milioni di vite. (…)Inoltre, diversi farmaci nuovi e riutilizzati e anticorpi monoclonali in fase di promettente sperimentazione per il trattamento del Covid-19, sono già brevettati in molti paesi come Brasile, Sud Africa, India, Indonesia, Cina e Malesia. (…)  In totale, 99 paesi hanno accolto e mostrato supporto, tuttavia la proposta di sospensione dei brevetti non è stata accolta favorevolmente da molti paesi ricchi, tra cui USA, Regno Unito, Giappone, Canada, Brasile, Australia, Norvegia, Svizzera e UE”

Gli schieramenti sulla proposta dicono molto sul potere di Big Pharma e sugli scheramenti e gli interessi che si confrontano e si intrecciano nell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC-acronimo inglese WTO), ma a che punto siamo con questa richiesta?

“Constatando di non poter raggiungere l’unanimità sulla proposta entro la fine dell’anno, il 10 dicembre 2020 il Consiglio TRIPS ha deciso di continuare le discussioni nel 2021, presentando una relazione orale sullo stato dell’arte durante la riunione del 16-17 dicembre 2020. La decisione di proseguire le discussioni è stata quindi ratificata in data 18 dicembre 2020, ed una nuova riunione formale del Consiglio TRIPS è stata fissata per il 10-11 marzo 2021.”. Il succo della proposta può essere riassunto in quanto segue “Per affrontare questi problemi, proponiamo un complemento all’attuale regime: l’Health Impact Fund (“il Fondo”) come percorso alternativo attraverso il quale gli innovatori farmaceutici possono scegliere di essere ricompensati. Ogni nuovo farmaco registrato presso il Fondo dovrebbe essere venduto al costo di produzione o di distribuzione, e l’impresa che ha registrato tale farmaco riceverebbe per un periodo di dieci anni un premio annuale in denaro calcolato sulla base dell’impatto che il farmaco stesso ha sulla salute dei pazienti.

(…)Inoltre, Il Fondo si differenzia dall’attuale regime dei brevetti perché il suo sistema di ricompensa non si basa sulla vendita di un farmaco ma sui reali miglioramenti in salute che questo apporta. Sicuramente l’efficacia di un farmaco è un fattore che ne incentiva la vendita, tuttavia è possibile che vengano venduti farmaci relativamente inefficaci o inadatti alle esigenze del paziente. Ciò accade spesso: avendo ricarichi esorbitanti, le aziende cercano di influenzare gli ospedali, gli assicuratori, i medici e i pazienti ad usare il proprio farmaco brevettato e a favorirlo rispetto ad altri.”  Il tema sollevato dalle ultime righe della citazione è quello della trasparenza di tutto il sistema sanitario dalla produzione dei farmaci ai sistemi sanitari, di erogazione delle cure. L’insieme dei sistemi di cura a livello mondiale nelle sue differenziazioni nazionali è plasmato attorno agli interessi di Big Pharma o dei suoi equivalenti, con Cuba come unica eccezione certa.

Rimanendo ancora sulla questione vaccini per Covid-19, il primo a essere proposto è stato lo Sputnik russo, che ha sollevato più di qualche perplessità per i tempi ed i modi della sua approvazione; “Finora lo Sputnik V – chiamato così in onore del primo satellite sovietico inviato nello spazio, con la V aggiunta in segno di vittoria – è stato usato solo da una manciata di paesi emergenti, attirati dal prezzo conveniente – meno di dieci dollari per dose, e ne servono due per risultare protetti dal virus, come per i vaccini occidentali – o spinti dai legami con la Russia.”

Infine abbiamo il vaccino cinese, anzi i 4 vaccini il primo prodotto dalla Cansino biologics l’ultimo sviluppato da Sinopharm (azienda farmaceutica controllata dallo Stato) in collaborazione con il Beijing Institute of Biological Products. Rispetto ai vaccini statunitensi di Pfizer e Moderna, basati sulla nuova tecnologia dell’RNA messaggero, che hanno un’efficacia di circa il 95%, e rispetto al russo Sputnik V, a vettore virale, con efficacia superiore al 90%, il vaccino di Sinopharm, basato sulla rodata tecnologia del virus inattivato, sembrerebbe avere un’efficacia leggermente minore, di poco inferiore all’80%. I suoi vantaggi risiedono però nel costo ridotto e nella facile trasportabilità. Come si evince dall’articolo le politiche di test, certificazione e somministrazione dei vaccini sono sui generis (come sono state le misure draconiane imposte per bloccare lo sviluppo della pandemia) ben diverse rispetto a quelle a d esempi di Stati Uniti ed Unione Europea, benché nel caso della Gran Bretagna le procedure di approvazione del vaccino di AstraZeneca siano state molto rapide. La vicenda dei vaccini -nel contesto delle trasformazioni globali e locali indotte dalla pandemia- costituisce un terreno di scontro sul piano economico e strategico: “Sullo scacchiere globale dunque se da un lato i vaccini più costosi, innovativi e (per ora) più efficaci sono stati ad oggi autorizzati e acquistati dai Paesi più ricchi che possono permetterseli, dall’altro si sta delineando un mercato parallelo, più vasto e non necessariamente meno redditizio, per i Paesi meno ricchi. La Cina è interessata a entrare con decisione in questo mercato, offrendo il vaccino certamente come cura, ma anche come strumento di scambio diplomatico. Ma non è la sola: l’India, che oltre ad aver autorizzato quello di AstraZeneca, ha approvato, il 3 gennaio, l’uso emergenziale del vaccino sviluppato dall’indiana Bharat Biotech, anch’esso a virus inattivato e potenzialmente accessibile ai Paesi in via di sviluppo.” Lo aveva estesamente documentato il già citato articolo dell’ISPI.

Alcuni dati sullo scenario globale del settore farmaceutico. Nel 2019 i ricavi globali del settore farmaceutico hanno superato i 1.200 mi­liardi di dollari, con una significativa concentrazione negli Stati Uniti che, da soli, assorbono il 50% circa delle vendite. Seguono i mercati emergenti e, a breve distanza, il mercato europeo con un peso di circa il 19% sulle vendite globali. Il valore aggiunto del settore farmaceutico a livello globale si aggira intorno ai 500 miliardi. Oltre il 60% di tale valore è prodotto quasi equamente in Asia e in Europa. Nonostante nel mercato statunitense si generino la mag­gior parte dei ricavi dalle vendite del settore, il peso degli Stati Uniti sul valore aggiunto si ferma al 25%. Circa un terzo delle vendite globali è riconducibile a dieci grandi mul­tinazionali a capitale statunitense ed europeo. La statunitense Pfizer, con un fatturato di 51,8 miliardi di dollari nel 2019, è la più grande azienda far­maceutica al mondo. Altri importanti attori globali a capitale USA sono John­son&Johnson, Merck & Co. e AbbVie. I cinque principali player europei sono gli svizzeri Hoffman- La Roche e Novartis, i britannici GlaxoSmithKline e AstraZeneca e il francese Sanofi.

Per quanto concerne il settore dei dispositivi medici in Italia, l’ultima foto­grafia, riferita al 2017, mostra un valore della produzione pari a 16,5 miliardi di euro, dei quali circa 5 miliardi di export. Sono presenti 3.957 aziende, che occupano 76.400 dipendenti. Si tratta di un tessuto industriale molto eteroge­neo, altamente innovativo e specializzato, con piccole aziende che convivono con i grandi gruppi e con oltre 300 start-up.

E’ evidente il potenziale del settore farmaceutico italiano, sua pure in posizione subordinata, nelle filiere globali, come peraltro accade in altri settori produttivi, caratteristica saliente settore manifatturiero italiano nonostante sia il secondo a livello europeo, dopo quello tedesco. La vicenda dei vaccini costituisce solo ultimo avvertimento rispetto alla necessità di una strategia e di un intervento pubblico efficaci nel settore, in Italia ed in Europa, per quanto ci riguarda più direttamente.

Il potere finanziario e tecnologico, l’impatto sociale   impattano ormai in modo smisurato le condizioni di vita dell’umanità intera. Come le corporations dell’informazione -le famigerate GAFAM-  informano sempre di più lo sviluppo della delle relazioni sociali, le identità individuali e collettive, assieme sussumono la produzione della conoscenza sulle forme di vita biologiche e sociali.

Abbiamo bisogno della nascita o forse della rinascita di un movimento globale per la riappropriazione dei beni comuni. L’attuale congiuntura indotta dalla pandemia, con le straordinarie misure che autorità politiche e finanziarie stanno attivando, costituisce il terreno in cui questo movimento si deve sviluppare. In queste settimane in  Italia, nel bel mezzo di una crisi politica, sanitaria ed economica, la costruzione di un intervento pubblico partecipato è qualcosa di nuovo di cui abbiamo bisogno in ogni settore della vita sociale. La partita è appena cominciata.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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