Riceviamo e pubblichiamo
di Franco Astengo
E’ evidente come risulti del tutto prematura la formulazione di un giudizio sul tentativo di Draghi di formare un governo essendone incerta la struttura, la base parlamentare, il programma.
Purtuttavia alcune considerazioni sulla condizione generale del sistema politico italiano possono egualmente essere avanzate.
Da molti anni, in settori minoritari della sinistra, si sta cercando di insistere sulla necessità di un’analisi riguardante l’estrema fragilità del sistema politico italiano.
Un sistema fragilesegnato profondamente dal trasformismo.
Un sistema che, nel suo insieme, ha finito con l’arroccarsi su logiche di distruttiva autoconservazione.
Fragilità che oggi viene alla luce in una dimensione davvero complessa da affrontare.
E’ necessario uno sforzo di riflessione e l’elaborazione di una proposta politica da destinare ad essere sottoposta prima e poi al giudizio elettorale.
Una proposta politica avanzata da una “Sinistra Costituzionale” attraverso la cui costruzione fornire finalmente una risposta alla parte dell’elettorato più coerente e responsabile che si è pronunciato per il “NO” nel referendum del settembre 2020: da quel “no” sarebbe stato necessario ripartire perché il tema della democrazia costituzionale tornasse ad essere centrale perché rimane quello più urgente, importante, attorno alle cui coordinate di fondo raccogliere il modificarsi di qualità delle contraddizioni sociali in un progetto di alternativa.
La responsabilità dello stato di cose in atto non è certo tutta di Renzi che ha sicuramente lavorato in conto terzi inserendosi nel totale distacco dei principali centri del potere finanziario e politico dal Paese reale e dalle sue fratture sociali.
La responsabilità maggiore spetta, invece, alla leggerezza con la quale, all’interno del sistema, è stato permesso al M5S di raccogliere una messe di consensi ottenuti sulla base di opzioni meramente demagogiche senza che si verificasse un contrasto reale di progetto alternativo.
Questo elemento, della resa verso i 5 stelle nel periodo 2013-2018, è risultato esiziale perché ha consentito che si inoculassero nel sistema forti dosi di demagogia a livello di riscontro di massa, oltre a quelle che erano già state inserite attraverso la crescita esponenziale del fenomeno della personalizzazione.
Processo di personalizzazione della politica alimentato fuori misura da un’idea della governabilità intesa come fattore esaustivo dell’azione politica ( e conseguenti leggi elettorali).
Un mix micidiale: governabilità e personalizzazione (personalizzazione esercitata dalla base del sistema, ai livelli più bassi: cui è stata data una mano con l’elezione diretta di presidenti e sindaci, oltre che con le primarie, meccanismo che pare per fortuna abbandonato) .
Il risultato dell’intreccio tra governabilità intesa come mero esercizio del potere e personalizzazione della politica a tutti i livelli è stato quello quello dell’emergere del fenomeno della demagogia trasformistica .
Una demagogia trasformistica che si è accompagnata alla crescita delle diseguaglianze e alla sparizione della middle-class: un quadro di impoverimento generale che ha causato il formarsi di una sorta di alleanza tra il “ventre molle” della borghesia e l’individualismo competitivo, che alla fine, ha assunto la veste di una domanda di tipo assistenzialistico – corporativo, con la perdita di ruolo nell’insieme dei corpi intermedi di mediazione sociale e politica (il tema dello scontro sulla governance del recovery-plan risiede tutto in questo quadro appena definito. Sarà su questo punto che, dopo tante parole, si misurerà davvero il rapporto con l’Unione Europea).
Una domanda di tipo assistenzialistico – corporativa cui si è cercato di fornire due tipi di risposta:
1) la chiusura nazionalistica (che sempre accompagna il fenomeno corporativo)
2) la già citata demagogia trasformistica (storicamente presente nel sistema politico italiano).
Con queste due risposte, entrambe presenti nell’attualità, non siamo andati lontani da una antica rievocazione dell’ “autobiografia della nazione”.
Così è sparita la sinistra, incapace di riconoscere le contraddizioni reali sulla base delle quali stava trasformandosi la società italiana.
A questo punto c’è ancora chi ,addirittura, sta pensando a una alleanza strategica con un movimento che si è fondato, nel periodo del suo successo, su questa demagogia trasformistica caratterizzata dal prevalere dello “scambio politico” sull’appartenenza e sull’opinione.
Un movimento demagogicamente trasformista caratterizzato da una logica del potere per il potere intesa come cifra di costruzione di un consenso effimero , anche pericoloso nelle forme in cui si è realizzato ed espresso, e attraverso la cui caduta rischia di affermarsi una destra nazionalista, e corporativa fino al punto da esprimere pulsioni di tipo razzista.
I rischi per la democrazia italiana risultano molto alti: al di là dell’esito possibile dell’operazione Draghi (già messa in preventivo da tempo) appare proprio il caso di lanciare un vero e proprio allarme per la credibilità di un sistema profondamente malato.
Servirebbe un progetto all’interno del quale il tema del ruolo delle istituzioni inteso nel solco della difesa della democrazia repubblicana dovrebbe avere come riferimento centrale la necessità urgente di rilegittimazione del sistema.
Una legittimità del sistema che nessun tipo di governo, tanto meno “del Presidente” in questo momento può porre in atto.