Lunedì 1° febbraio hanno avuto inizio, a Ginevra, i colloqui tra le forze politiche libiche per la formazione di un nuovo governo nel paese nordafricano, in preda al caos e alla guerra civile in conseguenza dell’attacco imperialista contro il legittimo governo di Muʿammar Gheddafi, oramai dieci anni fa. Il paese più prospero del continente africano si è trasformato, in questo decennio, in un campo di battaglia teatro delle più atroci brutalità, ben peggiori rispetto a quelle che venivano precedentemente attribuite dai media occidentali al leader rivoluzionario della Grande Giamahiria Araba Libica Popolare Socialista.
Il processo di negoziazioni puntava a eleggere un governo di transizione prima delle elezioni previste per il 24 dicembre, con l’obiettivo di porre fine a dieci anni di conflitti, che hanno visto confrontarsi le più disparate fazioni con l’intervento di numerose potenze straniere a complicare un quadro già di per sé di non facile lettura. Il capo della missione speciale delle Nazioni Unite nel Paese nordafricano (UNSMIL), Stephanie Williams, ha aperto i cinque giorni di incontri in Svizzera utilizzando la solita retorica pacificatrice, e affermando che “un anno fa questo non sarebbe stato possibile, ma ora il popolo libico è con voi , vi sostiene e vuole che abbiate successo“. Nessuna parola, invece, sui responsabili dell’attuale situazione libica e sulle cause che hanno portato la Libia a diventare uno stato fallito.
Secondo Williams, l’attuale processo di transizione “non è un’elezione tradizionale, ma la concorrenza aperta fa bene alla democrazia, e questo tipo di competizione può avvenire solo quando le armi tacciono“. Il capo missione dell’ONU ha anche affermato che l’incontro di Ginevra “è un’opportunità per chiedere ai candidati se onoreranno il loro impegno a tenere elezioni, mettere gli interessi del popolo, la separazione dei poteri, o impegnarsi a dirigere il controllo civile sull’esercito“.
Il Libyan Political Dialogue Forum (LPDF), come è stato battezzato il vertice di Ginevra sponsorizzato dalle Nazioni Unite, è riuscito, dopo due voti falliti, ad eleggere un governo di transizione lo scorso 6 febbraio. La lista dei quattro candidati che hanno ottenuto la maggioranza necessaria per essere eletti al terzo turno è composta da Mohammad Younes Menfi, che sarà il presidente del nuovo Consiglio presidenziale, mentre Mossa Al-Koni e Abdullah Hussein Al-Lafi saranno vicepresidenti e Abdul Hamid Dbeibah ricoprirà l’incarico di primo ministro. Sconfitto, invece, Aquilah Saleh, presidente del parlamento di Tobruk, che veniva considerato come uno dei favoriti per l’elezione da diversi osservatori.
La scelta dei nomi per le principali cariche di questo governo provvisorio è stata anche figlia del compromesso tra le diverse fazioni politiche e gli interessi dei vari gruppi tribali che popolano la Libia. Il primo ministro Dbeibah è infatti un potente uomo d’affari sostenuto dalle tribù occidentali, mentre il diplomatico Mohammad Younes Menfi, che guiderà il Consiglio presidenziale, basa i propri consensi soprattutto sulle tribù dell’est del paese. Appare dunque chiaro come il processo di transizione miri a bilanciare i poteri regionali e diversi interessi politici ed economici.
I risultati del LPDF sono stati salutati favorevolmente soprattutto dalle potenze occidentali, che nel corso di questi dieci anni hanno cercato di nascondere le proprie responsabilità nel disastro libico presentandosi come mediatori e pacificatori. Il presidente francese, Emmanuel Macron, ha colto l’occasione per attaccare uno dei maggiori rivali del governo di Parigi nella geopolitica mediterranea, la Turchia, chiedendo la rimozione delle truppe turche dal territorio libico, ma anche di “sbarazzarsi delle migliaia di jihadisti esportati dalla Siria alla Libia dalla stessa Turchia”.
In seguito alla sua scelta come primo ministro, Abdul Hamid Dbeibah ha confermato che le elezioni si terranno a dicembre, affermando che la selezione del governo di transizione costituisce un trionfo. Il presidente ha dichiarato che le elezioni del LPDF rappresentano la vittoria dell’unità nazionale, della riconciliazione e della democrazia: “Onoreremo i nostri impegni di accordi con i paesi esteri e coopereremo maggiormente con i paesi vicini nel nostro interesse nazionale. Esortiamo tutti gli stati ad essere partner per raggiungere la stabilità in Libia”, ha affermato.
Abdul Hamid Dbeibah ha anche preso posizione riguardo alle relazioni diplomatiche con altri paesi della regione, affermando che “non interferiremo nei loro affari e loro non interferiranno nei nostri affari“. Il capo del governo provvisorio libico ha poi specificato che il suo esecutivo lavorerà per ridurre la centralizzazione, risolvere la crisi elettrica che imperversa nel paese e ottenere i vaccini contro il Covid-19 il prima possibile.
Nel frattempo, il 6 febbraio, la capitale Tripoli ha organizzato la propria tornata di elezioni locali, al pari di altre città di varia grandezza. La missione delle Nazioni Unite ha sottolineato l’importanza di tenere le elezioni municipali e ha ribadito il suo appello all’unificazione delle autorità elettorali in vista delle elezioni nazionali previste per dicembre.
Ad ogni modo, le forze imperialiste non potranno certo lavarsi la coscienza favorendo lo svolgimento di una tornata elettorale. I crimini commessi in Libia da Stati Uniti, Francia, Italia, Turchia ed altre potenze resteranno tali, e la Libia difficilmente tornerà ad essere quella della Grande Giamahiria.
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Giulio Chinappi – World Politics Blog