riceviamo e pubblichiamo

“Joe è una persona di cui ci si può fidare. E se fa una promessa la mantiene”. Così Susan Collins, senatrice repubblicana del Maine mentre descriveva Joe Manchin, senatore democratico del West Virginia. I due senatori hanno molto in comune perché spesso non votano seguendo la linea dei loro rispettivi partiti. Con la parità di seggi nella Camera Alta (50 a 50) ogni voto, e specialmente quello di Manchin, diventa indispensabile per il nuovo presidente Joe Biden. Come si sa, i democratici hanno una lieve maggioranza perché nei voti di parità la vicepresidente democratica Kamala Harris può aggiungere il proprio voto e quindi fare pendere la bilancia verso il suo partito.

Nel recentissimo voto preliminare sulla proposta dello stimolo dell’attuale presidente Joe Biden si era infatti caduti in un caso di parità e la vicepresidente ha espresso il voto decisivo. Il disegno di legge non sarà pronto per un po’ di tempo anche se il consenso di Manchin non è assolutamente assicurato una volta arrivati alla votazione finale. In un incontro con il presidente, il senatore del West Virginia aveva indicato la preferenza per un disegno di legge regolarmente bipartisan con consenso di almeno dieci repubblicani. Biden ha però spiegato che l’urgenza della crisi non lascia altra scelta eccetto la manovra di “reconciliation”, un meccanismo sul bilancio che può essere approvato con una semplice maggioranza. Manchin ha capito e per il momento gli ha offerto il supporto.

Ciononostante il senatore del West Virginia ha però già espresso un certo scetticismo su alcuni punti della proposta specialmente l’inclusione dell’aumento sul salario minimo federale da 7,25 a 15 dollari l’ora. Undici dollari sarebbe preferibile per Manchin, ma 15, la cifra sponsorizzata da Bernie Sanders, senatore liberal del Vermont, potrebbe fare saltare tutto. Alla fine, però, qualche compromesso sarà raggiunto che aumenterà il salario minimo a 15 dollari anche se qualche flessibilità regionale verrà permessa agli Stati.

Manchin, il cui cognome echeggia Mancini, quello dei nonni italiani, è una sorta di anomalia in politica. Fa parte del Partito Democratico ed è stato rieletto in uno degli Stati più conservatori del Paese. Nelle elezioni del 2016 e 2020, per esempio, Trump ha stravinto nel West Virginia con un margine di 40 punti. Nel 2018, Manchin è riuscito a riconquistarsi la rielezione al Senato con un margine di solo tre punti, sconfiggendo il suo avversario repubblicano Patrick Morrissey. Il suo record moderato al Senato lo ha aiutato, avendo votato per quattro anni a favore di leggi proposte da Trump nel 50% dei casi. Ha votato anche per confermare Neil Gorsuch e Brett Kavanaugh, giudici conservatori alla Corte Suprema, nominati dall’ex presidente. Manchin ha persino offerto il suo endorsement alla collega Collins nel 2020, “tradendo” la candidata democratica Sara Gideon. Il resto del suo record al Senato lo vede spesso schierato con i repubblicani. Non supporta l’eliminazione del filibuster, ossia la regola al Senato di ottenere 60 consensi per procedere ai voti e poi approvare nuove leggi. Per le sue posizioni conservatrici è stato sfidato alle primarie democratiche da Paula Jean Swearengin, sconfiggendola però, con il 70% dei consensi.

Nonostante tutto Manchin rimane legato al Partito Democratico confermandosi un voto essenziale per l’agenda di Biden. Senza di lui anche leggi programmate con la reconciliation non potrebbero essere approvate. Questa sua posizione in bilico fra repubblicani e democratici gli conferisce allo stesso tempo un certo potere. Biden lo sa e quindi lo corteggia. In un incontro alla Casa Bianca, Biden ha sottolineato che l’emergenza attuale non gli permette di intraprendere la strada bipartisan auspicata da Manchin, ottenendo il riluttante consenso del senatore del West Virginia. Biden ha anche spiegato che ricorda molto bene i comportamenti ostruzionisti dei repubblicani nell’amministrazione di Barack Obama e non vorrebbe una ripetizione. Allo stesso tempo il 46esimo presidente riconosce che nonostante l’attuale maggioranza alla Camera e Senato il suo partito potrebbe perderla in una o entrambe all’elezione di midterm del 2022. Quindi il tempo stringe. Ha due anni per mettere in atto la sua agenda e non può permettersi il lusso di perdere nemmeno un voto al Senato.

Per le tendenze di Manchin poco consoni all’ideologia dell’ala sinistra del Partito Democratico, Alexandria Ocasio-Cortez, parlamentare ultra liberal, 14esimo distretto di New York, sta raccogliendo fondi per sponsorizzare uno sfidante a Manchin alle primarie democratiche nel 2024. Manchin non ha paura conoscendo molto bene la politica del West Virginia. Potrebbe anche giocare la carta di lasciare il Partito Democratico e schierarsi con i repubblicani come ha fatto Jim Justice, attuale governatore dello Stato. Justice ha cambiato partito pochi mesi dopo la sua elezione nel 2016. Nel 2020 ha “abbracciato” la politica di Trump, stravincendo l’elezione e conquistandosi facilmente un secondo mandato.

Il West Virginia, uno degli Stati più poveri, ha bisogno di investimenti del governo specialmente alla luce del piano di riparare le infrastrutture già annunciato da Biden. Il governatore Justice riconosce la necessità del suo Stato e lo ha già ricordato a Manchin. Rimanendo nel campo dei democratici, Manchin potrà avere un impatto in queste legislazioni che non solo aiuteranno il suo Stato ma anche il Paese. L’alleanza con Biden continua a dare a Manchin uno strumento a beneficio dei suoi concittadini, essendo, almeno per il momento, nel Partito Democratico che ha le redini del governo. Biden ha bisogno del voto di Manchin ma anche della sua ideologia conservatrice che potrebbe formare un ponte con i repubblicani moderati come Collins e aggiungere supporto ai programmi dell’attuale presidente.

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Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della  National Association of Hispanic Publications.

Di AFV

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