Nei giorni della crisi il Presidente della Repubblica chiese un governo che non doveva identificarsi con alcuna formula politica. Dinanzi ai Senatori, il nuovo Presidente del Consiglio dichiarò che il suo era «semplicemente il governo del Paese. Non ha bisogno di alcun aggettivo che lo definisca». La realtà è ben diversa. Il nuovo governo ha un aggettivo che lo qualifica: liberista; s’identifica con una formula politica ben precisa: liberismo. Non è una novità nella storia d’Italia. Già Ferruccio Parri, nell’estate del 1945, in un contestatissimo discorso alla Consulta, aveva sostenuto che l’Italia non aveva mai avuto regimi democratici ma liberali. Caduto il suo governo, nato dalla Resistenza e che si prefiggeva di realizzare un programma di democrazia economica oltre che politica, seguì un compromesso tra le forze democratiche e le forze liberali che con governi a maggioranza centrista e poi di centrosinistra condussero la Repubblica fino al termine della Guerra Fredda. Il compromesso tra forze democratiche e forze liberali attuò un modello di economia mista con un mercato corretto e integrato dalla presenza dello Stato e con un poderoso sistema di ammortizzatori sociali di matrice solidaristica.

Dagli anni Novanta, archiviato l’accordo tra democratici e liberali, l’Italia ha avuto governi liberisti di destra che si sono alternati con governi liberisti di sinistra i quali a più riprese e in forme diverse hanno entrambi contribuito a indebolire il sistema dello Stato sociale manomettendo anche la Carta Costituzionale.

Oggi Mario Draghi è l’artefice di un capolavoro politico finora inedito: il compromesso tra liberisti di destra e liberisti di sinistra, che per la prima volta governano assieme.

Chi sono i liberisti di destra e chi sono i liberisti di sinistra? Entrambi hanno il medesimo punto d’origine: l’idea che una maggiore produzione sia la chiave della prosperità e della pace planetaria. Nel rendere concreta tale idea, entrambi hanno sensibilità e priorità diverse ma non incompatibili.

I liberisti di destra teorizzano e praticano un liberalismo del mercato basato sull’egemonia della razionalità economica su ogni altra forma di razionalità; i liberisti di sinistra attenuano l’egemonia del mercato teorizzando e praticando un liberalismo dei diritti fondato sul valore dell’autonomia individuale.

I liberisti di destra indicano la deregolamentazione, la disintermediazione, la decompartimentazione dei mercati; i liberisti di sinistra sono convinti che le asprezze che ne conseguono possano essere temperate con investimenti migliorativi sulla scuola, la formazione, la sussidiarietà, il volontariato e l’innovazione tecnologica.

I liberisti di destra considerano i legami sociali, l’assistenza sociale, lo Stato sociale un intoppo per le libere forze del mercato; i liberisti di sinistra mostrano una grande sensibilità sociale per i deboli, i poveri e le cosiddette vittime del progresso e danno atto che il mercato può generare ricchezza e quindi più benessere capace di ridurre al minimo le povertà.

I liberisti di destra ritengono lo sviluppo industriale come strumento di buona crescita economica universale; i liberisti di sinistra pongono l’accento sullo sviluppo sostenibile, in grado di mitigare gli effetti della produzione industriale.

Leggendo attentamente le Comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri, temi e valori del liberismo di destra e di sinistra sono ben visibili e rimandano tra le righe a quel “Piano Colao” che il precedente Governo aveva sospeso e che ora costituisce la piattaforma programmatica dell’alleanza tra i due poli del liberismo nel nuovo governo. Una piattaforma programmatica che si propone di distruggere il paradigma “partiti-Stato-Sindacati” sul quale ancora oggi, nonostante i colpi subiti, si regge la Repubblica, per sostituirlo con il sistema “individui-mercato-governo”. È la missione di quella “distruzione creatrice” di cui tanto si parla in questi giorni.

Nelle Comunicazioni del Capo di Governo è citato Papa Francesco e la sua esternazione sulle tragedie naturali come effetto del maltrattamento della terra; si accenna alle politiche attive del lavoro, al cambiamento climatico, alle parità di genere e di opportunità. Sono tutte espressioni che appartengono alla narrazione del liberismo di sinistra. Draghi afferma pure che sarebbe un errore proteggere indifferentemente tutte le attività economiche; che le risorse del Next Generation EU dovranno essere spese puntando a migliorare il potenziale di crescita dell’economia; che il settore privato dovrà partecipare alla realizzazione degli investimenti pubblici apportando più che finanza, competenza e innovazione. Sono tutte espressioni che appartengono alla narrazione del liberismo di destra.

Il Capo del Governo usa il linguaggio dei liberisti di destra quando annuncia la revisione dell’Irpef con la riduzione graduale del carico fiscale (leggi per i redditi più alti), quando ammette che l’impatto della pandemia sull’occupazione è destinato ad aggravarsi non appena verrà meno il divieto di licenziamento, quando avverte che la disoccupazione potrebbe colpire anche i lavoratori con contratto a tempo indeterminato. Adotta il linguaggio dei liberisti di sinistra quando afferma che nel Mezzogiorno occorre sviluppare la capacità di attrarre investimenti privati nazionali e internazionali per generare reddito, creare lavoro, investire il declino demografico; quando dichiara che bisogna pensare ai giovani, alle donne e ai lavoratori autonomi nel momento in cui si attueranno le strategie di sostegno delle imprese e del lavoro.

C’è un periodo, nel discorso al Senato del Capo di Governo, che merita di essere citato testualmente perché rivela il connubio tra liberismo di destra e di sinistra e il richiamo al “Piano Colao”: «La risposta della politica economica al cambiamento climatico e alla pandemia dovrà essere una combinazione di politiche strutturali che facilitino l’innovazione, di politiche finanziarie che facilitino l’accesso delle imprese capaci di crescere al capitale e al credito e di politiche monetarie e fiscali espansive che agevolino gli investimenti e creino domanda per le nuove attività sostenibili che sono state create».

Tutto questo non c’entra nulla con le politiche fiscali e del lavoro di Keynes; non c’entra nulla con il socialismo liberale di Carlo Rosselli né con il liberalsocialismo di Guido Calogero: due visioni politiche accomunate dal fine del superamento del liberalismo.

Spazzando risolutivamente via ogni residuo di presenza dello Stato e delle sue articolazioni nei problemi collettivi e nei servizi economici e sociali, il governo Draghi-Colao potrà gettare le fondamenta del nuovo ordine politico in Italia, finalizzato al compimento definitivo dell’approdo liberista della Repubblica in previsione di quel bilancio pubblico comune europeo cui Draghi, nel suo Discorso, ha accennato e che avrà come conseguenza non la cessione di sovranità nazionale per acquistare sovranità condivisa ma la fine della sovranità popolare sancita dalla Costituzione. Con il compromesso tra liberisti di destra e di sinistra dovrebbe essere chiaro che ormai il nuovo confine politico è segnato da liberismo e antiliberismo. Una vera e forte opposizione all’alleanza liberista non può non venire che da un movimento di uomini e idee ispirato ai principi della Costituzione del 1948 che, come predicava Edoardo Sanguineti, rappresenta anche un autentico programma politico.

Di: Michelangelo Ingrassia

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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