Carlo Musilli
Come nella favola “Al lupo! Al Lupo!”, dopo anni di strilli, forse il lupo è arrivato davvero. I litigi fra i grillini e le espulsioni dal Movimento 5 Stelle sono ormai un rituale della politica italiana, ma le ultime schermaglie rischiano di avere conseguenze senza precedenti. Quella iniziata la settimana scorsa è infatti la ribellione più ampia di sempre fra i pentastellati e l’infornata di epurazioni che ne è scaturita rischia di alterare l’equilibrio politico delle Camere.
La ragione è aritmetica. Fin qui, 19 deputati e 21 senatori sono stati espulsi dai gruppi M5S per non aver votato la fiducia al governo Draghi, violando il precetto di rispettare la volontà degli iscritti (o meglio, di Rousseau). I rappresentanti del Movimento a Palazzo Madama scendono così da 92 a 71: se li sommiamo ai 35 del Pd e ai 4 di Leu, arriviamo a 110. Lega e Forza Italia, insieme, ne hanno 115. Morale della favola, la coalizione giallorossa viene superata al Senato dal centrodestra di Governo (vale a dire senza Fratelli d’Italia). Non il migliore esordio per l’intergruppo che M5S, Pd e Leu hanno costituito di recente proprio a Palazzo Madama.
Certo, la maggioranza non è finita qui: ci sono anche i cespugli di centro. Peccato che fra questi il più folto sia quello di Italia Viva, che vanta ben 18 senatori e del centrosinistra non vuole nemmeno sentir parlare. Del resto, Matteo Renzi ha fatto cadere il governo Conte 2 proprio per sabotare il progetto di un’alleanza stabile fra i giallorossi e, anche quando era segretario del Pd, non faceva mistero di puntare all’elettorato berlusconiano.
Tutto questo non significa che il governo Draghi sarà appiattito su posizioni conservatrici. Di sicuro, però, con numeri del genere al Senato il peso politico del centrodestra aumenta e per l’accoppiata Lega-Forza Italia sarà più facile orientare in proprio favore l’azione dell’Esecutivo. Tra i provvedimenti in agenda, a prima vista quello più a rischio di una distorsione verso destra sembra la riforma della giustizia, su cui leghisti e forzisti otterranno anche l’appoggio dei renziani e degli altri “moderati”.
Non è detto però che questo esito sia inevitabile.
I provvedimenti di scomunica all’interno del Movimento 5 Stelle sono contestati non solo dagli stessi espulsi, ma anche da una larga fetta della base grillina, oltre che da alcuni dirigenti pentastellati in dissenso con la linea ma fedeli agli iscritti. Sabato il collegio dei probiviri si è espresso a maggioranza: due sì contro un no. La tesi dei contrari è che Vito Crimi non avesse il potere di prendere una decisione di simile portata in quanto decaduto dal ruolo di capo politico dopo l’ultima votazione su Rousseau, che ha stabilito di affidare il vertice del Movimento a un direttorio di cinque persone. Non si sa quando questa segreteria collegiale sarà eletta, ma la sensazione è che sia un progetto nato in ritardo. Fosse arrivato un anno fa, avrebbe aiutato forse a tenere insieme le anime in contrasto del Movimento. Ma ora che la spaccatura si è allargata fino diventare un canyon, francamente, sembra un po’ inutile.
Diversi grillini sperano che serva a ricomporre la frattura, evitando che i fuoriusciti costituiscano gruppi parlamentari autonomi di dubbia collocazione. È difficile però immaginare che basti una soluzione burocratica per risolvere problemi così sostanziali. Anche perché, sullo sfondo, rimane la figura sbiadita di Giuseppe Conte, che rischia di sparire nel nulla ma sogna di tornare in stile Montecristo, per mettersi alla guida del Movimento. O di quello che ne resterà.
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