Per Anna Fasano, presidente di Banca Etica, non bisogna accontentarsi di una definizione riduttiva di finanza sostenibile, ma alzare l’asticella © sergio_kumer/iStockPhoto

In vigore il regolamento europeo sugli investimenti sostenibili. «Un passo importante, ma troppo timido». Per la presidente di Banca etica la finanza etica è ben altro

Elisabetta Tramonto

Sostenibilità. Un termine che può avere mille interpretazioni, mille applicazioni, mille sfumature. Se lo caliamo nel mondo della finanza, però, e parliamo quindi di “finanza sostenibile” è necessaria un po’ di chiarezza. Perché si parla di soldi (tanti), quelli del comparto degli investimenti sostenibili, e perché si parla di futuro del Pianeta. Lo dice la Commissione europea, che da 3 anni sta lavorando proprio al tema della finanza sostenibile, che, parole sue, permetterà di veicolare i capitali privati verso un’economia low carbon. L’unico modo, sempre a detta dell’Ue, per  cambiare l’economia e salvare il Pianeta. 

Ora siamo arrivati a un punto cruciale. È entrato in vigore (il 10 marzo 2021) il primo regolamento europeo (Regolamento (UE) 2019/2088, che stabilisce come gli operatori finanziari devono rendicontare gli investimenti sostenibili) adottato nell’ambito dell’ambizioso Piano d’azione per la finanza sostenibile stabilito nel 2018 dalla Commissione europea.

Una buona notizia? Una vera svolta? Diciamo piuttosto «un primo passo importante, ma troppo timido. Per rilanciare l’economia, proteggere il Pianeta e favorire la coesione sociale serve una finanza realmente etica». Questo è il parere di Anna Fasano, presidente di Banca Etica. L’abbiamo intervistata e ci ha spiegato meglio perché una realtà come Banca Etica, che da oltre 20 anni fa di tutto per affermare i temi della finanza etica, di fronte a un interessamento così forte da parte della Commissione europea, festeggia, ma non troppo. 

Anna Fasano, presidente di Banca Etica, si esprime sul regolamento sulla finanza sostenibile
Anna Fasano, presidente di Banca Etica

Come giudica il lavoro dell’Ue sulla finanza sostenibile e, in particolare, l’entrata in vigore del regolamento sulla rendicontazione degli investimenti sostenibili?

Questo è un primo passo del cammino tracciato dall’Action plan, che la Commissione europea ha definito ormai tre anni fa. Ma siamo ancora lontani dall’obiettivo che l’Ue si è posta, cioè veicolare risorse economiche private (oltre a quelle pubbliche)  verso la crescita sostenibile. Un obiettivo alto, ma necessario, che nel dettaglio la Commissione vuole raggiungere grazie alla finanza sostenibile, stabilendo innanzitutto delle definizioni coerenti e univoche di attività economiche sostenibili. Un passaggio fondamentale, perché  al momento manca chiarezza e ogni operatore può creare la propria definizione di investimento sostenibile. Invece, per avere una vera transizione verso un’economia sostenibile, è necessario veicolare i capitali perso le attività economiche che siano davvero sostenibili. 

Ha definito questo passo troppo debole?

Per ora sì, ma io guardo in prospettiva. E in prospettiva quella che abbiamo davanti è una grande opportunità. I passi devono necessariamente essere fatti uno alla volta e ci sarà una fase importante di transizione. Ma purtroppo al momento le regole europee lasciano
molti problemi aperti. Prima di tutto non c’è chiarezza su vari passaggi che ci aspettano. Secondo, per ora pare che ci si stia concentrando sul definire singoli prodotti finanziari sostenibili, e non la finanza sostenibile nel suo complesso. E, terzo, c’è un enorme problema di linguaggio e di definizioni che per il risparmiatore finale è difficile da cogliere, se non viene spiegato adeguatamente. 

Che cosa intende per un problema di linguaggio?

Banca Etica – come molte altre realtà in Europa – da 20/30 anni lavora per costruire un modello di finanza etica, che è anche fatto di termini e di un linguaggio comune costruito negli anni. E trasmesso ai clienti della Banca e agli investitori che, con Etica Sgr, scelgono la finanza responsabile. Dietro il termine “investimento responsabile”, ad esempio, c’è un insieme di valori che vanno dalla tutela dell’ambiente al rispetto dei diritti umani, ad una corretta governance aziendale. Dalla trasparenza delle policy al rifiuto dei paradisi fiscali, dal contrasto alla speculazione finanziaria alla massimizzazione dei benefici per la collettività. Questa è la finanza etica. Dal lavoro della Commissione europea, invece, sta emergendo un concetto di finanza sostenibile che è molto diverso, come abbiamo spiegato nel nostro position paper. Una finanza sostenibile e green che non ha ancora deciso se abbracciare investimenti in gas naturale e nucleare, che riconosce pochissimo la dimensione sociale e, per niente, tutti gli altri fattori che noi consideriamo fondamentali, come il rifiuto della speculazione e dell’elusione fiscale o la parità di genere in azienda. Questo per noi è un passo indietro. L’Ue è arrivata molto in ritardo a cercare di disciplinare un settore che era già maturo. E lo sta facendo trascurando fattori fondamentali.

Come pensate di comportarvi, quindi, rispetto a una definizione di finanza sostenibile che non coincide con quello che voi proponete come finanza etica?

Come detto, il concetto che noi proponiamo di finanza etica è molto più ampio, più completo, più selettivo. Lo stesso Regolamento (UE) 2019/2088, che entra in vigore oggi (10 marzo 20021, ndr), tiene in considerazione solo una definizione riduttiva di finanza sostenibile. Naturalmente anche noi di Banca Etica dovremo adeguarci alle normative
europee, continuando però nella nostra proposta di finanza etica a 360° che è molto più che sostenibile. Probabilmente in una prima fase coesisteranno sul mercato 2 definizioni, una di finanza etica come la intendiamo noi e una di finanza sostenibile, secondo i parametri Ue. Una che corrisponde a quella che abbiamo costruito fino ad oggi e una che
si limita ad applicare le normative europee. Certo, questo crea molta confusione nel risparmiatore meno preparato.

C’è chi invece festeggia per i risultati raggiunti, perché solo fino a pochi anni fa erano impensabili. Per voi non è così?

Certo, noi di Banca Etica, come le altrereti internazionali della finanza etica (Gabv- Global Alliance for Banking on Values e Febea-Federazione Europea delle Banche etiche e alternative), di cui facciamo parte, come ho già detto, consideriamo gli sforzi dell’Ue senza dubbio un passo avanti. Ma non possiamo accontentarci. Se vogliamo cambiare davvero la finanza e l’economia dobbiamo alzare l’asticella. E questo è un momento importante, in cui non possiamo abbassare la guardia e sederci sulle conquiste parziali ottenute finora. Non possiamo accettare una versione annacquata di finanza etica. 

Il rischio non potrebbe essere che il comune risparmiatore non capisca il vostro intento…e, di fronte a una dicotomia rispetto alle iniziative dell’Ue, si trovi spaesato?

Certo, la sfida sarà riuscire a proporre al risparmiatore concetti semplici, ma non annacquati. Ma, ribadisco, non possiamo abbassare l’asticella in funzione di una semplificazione. 

Forse dovremo proporre temi più vicini alle persone. Far capire cosa significa nel quotidiano pensare all’interesse della collettività. E come, invece, se si pensa alla massimizzazione dei profitti (da parte di imprese, mondo della finanza, Stati), paghiamo tutti un prezzo grande. 

Dovremmo far arrivare concetti che la Commissione europea ha trascurato, come l’accesso al credito. Soprattutto in Italia, con il nostro tessuto imprenditoriale fatto di realtà di piccole dimensioni, il credito è un tema più importante dell’investimento. Perché le realtà quotate sono ben poche. Quando Banca Etica parla di finanza sostenibile parla anche di credito. L’Ue no, pensa solo agli investimenti, che significano grandi realtà, spesso internazionali. 

Poi c’è il tema dei paradisi fiscali, che l’Ue sta trascurando, ma che credo interessi molto ai risparmiatori. Davvero si vuole una finanza che si alimenta con i proventi provenienti da paradisi fiscali? Su questi temi sono convinta che il risparmiatore non sia disposto ad accettare definizioni solo green. 

Che cosa chiedete quindi all’Europa?

Un cambiamento vero. Che definisca che cosa è davvero green, senza annacquamenti neanche su quel fronte. E che cosa è sostenibile a 360 gradi. 

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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