I tre referendum organizzati in Svizzera lo scorso 7 marzo sarebbero passati quasi del tutto inosservati, se non fosse stato per l’approvazione del “divieto di occultamento del volto” nelle aree pubbliche. Proposto e sostenuto dalle forze di destra, il referendum avrebbe dovuto avere, secondo i suoi promotori, l’obiettivo di migliorare “la sicurezza in quanto aiuterà a identificare i criminali che si coprono la faccia in pubblico”. In realtà, si è presto compreso che il referendum era rivolto contro le donne musulmane che indossano il velo integrale (burqa o niqab). Gli oppositori hanno fatto notare che un tale divieto non proteggerebbe affatto le donne, ma probabilmente costringerebbe queste a restare chiuse in casa, ricordando inoltre che in Svizzera già esiste una legge che prevede che nessuno possa essere obbligato ad indossare il burqa. Infine, è stato notato che, su 400.000 musulmani residenti in Svizzera, sarebbero meno di cento le donne che indossano il velo integrale.
Di seguito il comunicato del Partito Svizzero del Lavoro, la principale forza comunista delle Confederazione Elvetica, che affronta le tematiche riguardanti i tre referendum. Oltre all’approvazione della legge contro il velo integrale, gli svizzeri hanno avallato un accordo di libero scambio con l’Indonesia, mentre hanno respinto la legge sui servizi di identificazione elettronica.
Iniziativa “Sì al divieto di occultamento del volto”
Il Partito del Lavoro nota con grande rammarico il Sì all’iniziativa burqa del “Comitato Egerkinger”, affiliato all’UDC (Unione Democratica di Centro, ndr). Ciò che preoccupa del risultato odierno è: un problema inesistente, ovvero l’uso di un determinato capo di abbigliamento da parte di una piccola minoranza in Svizzera, può essere esasperato a tal punto da diventare addirittura un articolo costituzionale. E tutto questo sulla base di una mentalità razzista ed esclusivista che ha segnato ancora una volta il Paese. Ovviamente non tutti gli svizzeri che hanno votato a favore dell’iniziativa sono solo razzisti. Per questo gli oppositori della proposta – soprattutto la sinistra e quindi anche il nostro partito – devono chiedersi in modo autocritico cosa deve essere cambiato nella società, affinché in futuro una simile iniziativa non venga nemmeno sottoposta al voto. Infine, va ricordato che l’iniziativa contro il burqa colpisce anche i manifestanti mascherati.
Accordo di libero scambio con l’Indonesia
Il Partito del Lavoro è molto deluso dal “sì” all’accordo di libero scambio (ALS) con l’Indonesia. Ciò è tanto più vero in quanto il risultato è stato estremamente serrato. Il nostro partito aveva attivamente sostenuto il referendum contro di esso e si era battuto per un “no” durante la campagna referendaria. Il governo svizzero deve ora lavorare attivamente per garantire che le promesse fatte in termini di protezione ambientale, condizioni di lavoro e tutela dei diritti della popolazione locale in Indonesia siano rispettate. In particolare, il Partito del Lavoro richiede che le ispezioni in loco dei produttori di olio di palma siano effettuate da organismi e organizzazioni indipendenti.
Legge sull’identificazione elettronica
L’unico risultato positivo e quindi il punto positivo di questa domenica di votazioni è il rigetto della legge sull’identità elettronica. Anche qui il Partito del Lavoro ha già sostenuto l’opposizione al referendum. Il messaggio del “No” è inequivocabile: una questione delicata come una carta d’identità elettronica, per vari motivi, è una questione di Stato. Non si dovrebbe quindi lasciare che il settore privato se ne occupi. Il Partito del Lavoro sta ora aspettando che il governo presenti rapidamente una soluzione ragionevole e trasparente per l’identificazione elettronica. Tuttavia, il rispetto della protezione dei dati è una priorità assoluta.
CLICCA QUI PER LA PAGINA FACEBOOK
Giulio Chinappi – World Politics Blog