Da un po’ di tempo, almeno da quando si è diffuso globalmente il Covid-19, anche in Italia ha avuto il suo immeritato successo la corrente dei “No-Vax“, supportata da un retaggio preesistente di contrarietà all’inoculazione di vaccini che contemplassero anche la prevenzione di malattie considerate “necessarie” allo sviluppo pieno del sistema immunitario dei giovani. Per lo più, il dibattito tra assertori e detrattori dei vaccini, prima del nuovo coronavirus si concentrava non tanto sull’efficacia dei vaccini, quanto sulla necessità di renderli obbligatori per prevenire le patologie con la più alta probabilità di sviluppo di complicazioni.
Morbillo, parotite (meglio conosciuta con il nome “orecchioni“), rosolia e varicella sono comuni nell’infanzia e negli anni di crescita dei bambini, orientativamente in un arco temporale che va dal primo anno di vita fino agli undici anni. Nella stragrande maggioranza dei casi ci si contagia in ambienti affollati come le scuole e ci si passa queste malattie con la facilità con cui un tempo ci si scambiavano le figurine Panini: i sintomi sono quelli classici influenzali associati ad eruzioni cutanee di diversa colorazione e grandezza e poi si guarisce senza troppi problemi. Prima di essere un tema di scontro sulla prevenzione vaccinale, le malattie esantematiche erano soprattutto un motivo naturalmente più che valido per fare un po’ di vacanza da scuola.
Poteva accadere che un caso di morbillo avesse delle complicanze, dovute a quelle che “comorbilità” che oggi abbiamo imparato a conoscere molto bene per le ripetute citazioni virologiche nelle centinaia di comparsate televisive dei medici e degli scienziati, ma nessuno avrebbe pensato di poter né minimizzare né di enfatizzare oltre ogni misura il singolo caso rispetto a quello che era, oggettivamente, il normale sviluppo di una malattia non considerabile come mortale.
Oggi, nel secondo anno del Covid-19, la maggior parte della popolazione studentesca di ogni età vorrebbe poter riprendersi quegli spazi di socialità che un tempo erano sovente patiti oltre che vissuti e nessuno, in particolar modo dopo un anno e più di aperture e chiusure, di didattica a distanza e in presenza alternate, ha voglia di scherzare sulle vacanze inaspettate e così prolungate nel tempo. Da questo punto di vista, la coscienza civica e sociale di insegnanti, personale scolastico e soprattutto degli studenti, è notevolmente cresciuta: davanti all’inevitabile emergenza sanitaria, ci si è resi conto dell’importanza del sapere, della scuola come luogo primo di interazione, vero e proprio gymnaisum della vita futura.
Purtroppo però, per una consapevolezza che nasce, altre cento altre ne muoiono. E anche molto malamente, se dal vecchio filone della corrente “No-Vax“, contestatrice nel nome di una certa distorsione della critica anticapitalista (soprattutto anti-BigPharma), si passa alla teorizzazione bislacca di un “nuovo ordine mondiale” che controllerebbe praticamente ogni persona, ogni cosa, ogni azione di ciascuno e di tutti, e che avrebbe come fine ultimo lo sfoltimento dell’umanità, il suo ridimensionamento numerico. E non si sa bene il perché.
I sostenitori di queste fantastiche tesi mescolano un po’ di tutto, perché solo così si riesce a confondere le menti, a creare quel senso di paura e quello stato di agitazione permanente che pone in guardia, che fa sospettare anche di sé stessi, dei propri comportamenti più evidenti e (ci si passi il termine) “normali“, ossia quelli che servono per la vita quotidiana, per la sopravvivenza. Una critica ragionata ai vaccini diventa così una vera e propria farsa, una tragedia pure, perché finisce con l’essere un capitolo di un libro di bislacche ipotesi su una internazionale degli affari che, invece di essere inquadrata in una stigmatizzazione sociale, mediante una disarticolazione della struttura economica capitalista, assume i toni del presagio apocalittico, quello descritto dalle allucinazioni paranoiche di QAnon.
Naturalmente, si passa dall’esame alla scienza al processo alla scienza: un processo aprioristico, fatto di tante pregiudiziali che inficiano la bontà di qualunque critica. Le “fake news” abbondano e si diffondono tramite i social, che hanno una grandissima responsabilità nell’essere mezzi che si lasciano usare malamente e che, nel nome della libertà di espressione, finiscono per far passare messaggi pericolosi, relativizzazioni del pensiero, riduzionismi dei pericoli e falsi miti antiscientifici che creano tutti i presupposti per destabilizzare quel poco che rimane della democrazia in molti paesi del mondo. Una democrazia che abbiamo spesso definito “formale“, perché di questo effettivamente si tratta, ma che almeno garantisce l’accesso alle lotte per i diritti tutti, da quelli sociali a quelli civili.
Insomma, è evidente (almeno così dovrebbe essere) che il capitalismo mondiale nella sua forma liberista tutto controlla e tutto gestisce: ma non ha bisogno di sette pedofile, dalla vita sotterranea, di cui farebbero parte i governanti più eminenti del pianeta. Abbiamo visto chi sono gli esponenti e gli adepti di QAnon, del sovranismo e del suprematismo bianco: il complottismo è la linea di demarcazione tra ciò che per loro è vero e ciò che invece è falso. E il falso si nasconde dietro ogni messaggio ufficiale, dietro ogni comunicazione televisiva e giornalistica, mentre loro, questi rivoluzionari da operetta di provincia (con tutte le scuse per chi fa teatro dell’opera in ogni provincia del mondo), sarebbero i portatori del “verbo“, della verità sulle tante menzogne propinateci dal sistema.
E’ davvero una raminga illusione, che peregrina per il mondo alla ricerca di un pubblico di disperati da sedurre con tanto disprezzo, odio, pregiudizio e alienazione mentale, questa teorizzazione del “nuovo ordine mondiale” che includerebbe anche la “truffa dei vaccini“: truffa scientifica, perché la medicina sarebbe in combutta con i grandi detentori del potere economico globale per controllarci mediante l’inserimento di microchip nel corpo unitamente al liquido delle boccette delle varie case farmaceutiche.
Come faccia il microchip ad passare attraverso l’ago della siringa che inocula il vaccino, ebbene rimane un mistero! Ma i nuovi “No-Vax” possono certamente spiegarlo: sarà anche questo un complotto… Magari dei produttori delle sirighe.
Questa nebulosa dell’irragionevolezza, questa coltre spessa di scempiaggini fa breccia in molte persone che, con qualche ragione, hanno per decenni visto regredire il ruolo pubblico della politica, delle istituzioni, da potenziale espressione corale della tutela del bene comune a difensori del privilegio di pochi, dei privati in molti settori pubblici, dei padroni delle grandi aziende, della finanza e della relativa speculazione che si trascina sempre appresso. Battere la follia complottista e la galassia di negazionisti del Covid-19 sarebbe stato, e tutt’ora sarebbe più semplice se i governi che si sono succeduti in questi lustri avessero badato alle esigenze primarie dei lavoratori, dei pensionati, degli studenti e di tutti coloro che sono precari tanto nella vita sociale quanto in quella civile, persino morale.
Tutto coloro che si sono visti negare i fondamentali diritti per poter avere un’esistenza dignitosa, sono stati costretti a scegliere se continuare ad avere fiducia in una lotta per l’emancipazione sociale o se affidarsi invece al primo capopolo di turno, a sovranisti aspiranti nuovi ducetti, alla ricerca dei poteri speciali, diffusori di odio razziale, etnico nel bel mezzo di una crisi economica che intanto – ancora prima del Covid – avanzava con grande impeto e prepotenza. Le forse sociali, dal sindacato ai partiti della sinistra (tanto di governo quanto di alternativa), si sono rivelate del tutto inadeguate al compito che avrebbe dovuto toccare loro: ne è conseguita anche una retrocessione culturale, un abbandono progressivo della voglia di analizzare i processi di sviluppo e di inviluppo del contesto in cui si vive.
La stragrande maggioranza dei lavoratori ha disperso una unità fondamentale per la realizzazione della vittoria delle lotte anticapitaliste, contro l’arroganza di una Confindustria che ha rafforzato il fronte di classe e ha fatto richieste sempre più esigenti ad una politica in preda ad destrutturazione sia ideologica sia pratica. La rassegnazione ha preso il posto della voglia di lottare e l’approssimazione delle illazioni si è sostituita all’informazione, alla conoscenza, alla comprensione di ciò che ci accade intorno.
La critica sociale è stata soppiantata così da una “critica superficiale“, che ha funzionato da propulsore di un processo di analfabetismo di ritorno già ampiamente diffuso nella popolazione, legato ad un relativismo concettuale tipico dell’individualismo esasperato. Un ottimo veicolo di decontestualizzazione dei fatti, di una astrazione delle situazioni sociali consegnate in questo modo al pre-giudizio personale piuttosto che alla puntuale verifica oggettiva frutto di una analisi lucida, approfondita e completa. Questa seconda operazione necessiterebbe di una attenzione particolareggiata verso i fenomeni che si concretizzano nella società e potrebbe trovare riscontro se il tempo di ognuno di noi fosse tanto più ampio rispetto a quello utilizzato per assolvere alla mera, indispensabile lotta per la sopravvivenza: allo sfruttamento capitalistico, generalmente inteso, e, oggi, anche alla drammaticità della condizione pandemica.
Nel concreto, già da ora occorre interrogarsi sulle dinamiche sociali che prenderanno vita dopo che la fase acuta del biennio pandemico sarà superata e si inizierà a parlare di “ricostruzione”, di adattamento ai processi di sviluppo che saranno invocati come salvezza non solo nazionale ma europea e, più latamente, mondiale. L’uscita dall’epoca covidiana non avrà una linea di demarcazione precisa e riconoscibile: si troverà il mondo di fissare comunque una data di passaggio, per distinguere storicamente i tempi, così come già è stato fatto nel 2020, quando a fine febbraio il coronavirus entrò con inaspettata prepotenza nella vita giornaliera di ognuno di noi.
E’ fin da ora necessario lavorare al contrasto delle tesi negazioniste, del relativismo anti-scientifico e di tutte quelle forme di riduzionismo e di minimizzazione dell’oggettivo riscontro dei dati, che sono punti di retrocessione sociale, culturale e civile, che offuscano volutamente il riconoscimento di una via di fuga dalla crisi pandemica ed economica in chiave antiliberista e anticapitalista. E’ uno sforzo ulteriore che si somma alla già complicata ricostruzione dalla sinistra di alternativa e di opposizione tanto in Italia quanto al di là della Alpi e dei mari.