Le immagini di un giovane picchiato ferocemente dalla polizia per aver solo “osato” discutere con gli agenti ha scatenato un’enorme ondata di rabbia popolare, causata anche dall’insoddisfazione per la gestione dell’emergenza pandemica da parte del governo greco

È delle città come dei sogni: tutto l’immaginabile può essere sognato, ma anche il sogno più inatteso è un rebus che nasconde un desiderio oppure il suo rovescio, una paura.
(Italo Calvino)

Sono i primi di marzo, un gruppo di pattuglie della polizia raggiunge una piazza pubblica del quartiere ateniese di Nea Smyrni. Una volta lì, comincia a controllare se le persone stiano rispettando le misure di contenimento della pandemia imposte dal governo.

Poco dopo, i poliziotti iniziano a multare quelli che secondo loro si trovano al di fuori delle loro abitazioni in violazione delle misure di sicurezza; il fatto provoca reazioni non violente tra alcuni dei presenti. Infuriati dalle argomentazioni calme e ragionevoli di un giovane, alcuni degli agenti iniziano a colpirlo senza pietà con manganelli di ferro (che normalmente non fanno parte dell’equipaggiamento standard della polizia greca), mentre i presenti implorano loro di fermarsi. L’intera vicenda è stata filmata da molti passanti.

L’episodio, verificatosi dopo una lunga e dolorosa serie di atti analoghi legati alle violenze della polizia, è stato la goccia che ha fatto traboccare il vaso.

Il governo di destra di Nuova Democrazia ha investito molto, fin dal suo insediamento nel 2019, nel rafforzare la polizia e darle carta bianca. Come è facilmente intuibile, ha usato la pandemia come pretesto per portare avanti il suo programma da stato di polizia, ignorando le richieste degli operatori sanitari, dei sindacati, delle organizzazioni politiche e dei cittadini che rivendicavano misure più efficaci dirette al tracciamento dei contatti, al potenziamento del sistema sanitario e dei trasporti pubblici.

Così, attraverso le immagini di un giovane picchiato ferocemente dalla polizia per aver semplicemente “osato” discutere con loro, si scatena un’enorme ondata di rabbia popolare – insoddisfazione per una gestione dogmaticamente neoliberale di una pandemia che ha colpito le comunità emarginate e indigenti, i diritti umani e le libertà, ma anche, più in generale, il tempo libero della maggior parte delle persone.

E tutto questo mentre la classe dominante ha cinicamente violato le sue stesse disposizioni in maniera sistematica, sfruttando le restrizioni sugli assembramenti per portare avanti la sua agenda autoritaria.

Questa rabbia, tuttavia, è stata espressa in maniera differente dalle forme tradizionali di protesta tipiche della Grecia. Invece di manifestazioni nel centro della città, guidate da partiti politici, sindacati e organizzazioni ideologiche, i cittadini hanno iniziato a radunarsi nelle piazze dei loro quartieri.

Subito dopo l’accaduto, una manifestazione di massa ha avuto luogo a Nea Smyrni, dove la polizia ha provocato disordini ma è stata costretta a ritirarsi e molti agenti sono stati ricoverati in ospedale a causa della moltitudine di gente infuriata. Durante il fine settimana successivo (tra il 13 e il 14 marzo), le manifestazioni si sono svolte in quasi tutti i quartieri di Atene, così come nella maggior parte delle principali città greche.

Sembra che le scene di agenti della polizia che agiscono da teppisti, “brutalizzando” le persone per il semplice fatto di essere presenti negli spazi pubblici dei loro quartieri, abbiano messo in crisi certi istinti genuinamente civici che erano latenti nella società greca. La loro reazione spontanea è un chiaro esempio di come i cittadini si stiano sforzando di strappare le proprie città dagli artigli di una macchina burocratica insensata e orientata al profitto e dalle sue forze repressive.

È un esempio pratico del diritto alla città, rappresentato da persone che rivendicano il controllo sull’ambiente urbano, di cui loro e le loro attività quotidiane sono una parte inseparabile.

Se questa energia sarà utilizzata per rinvigorire il tessuto urbano in termini di senso civico e democratico, affinché le nostre città abbiano una possibilità contro la burocratizzazione strisciante della vita quotidiana e il dogma della crescita illimitata, oppure se i partiti politici e i gruppi tradizionali riusciranno a sfruttare questi istinti civici per benefici elettorali o per giustificare le loro dottrine ideologiche, dipenderà molto dal fatto che si dovranno consolidare delle forme durature di partecipazione popolare. Si tratta di una questione aperta che è sempre presente in questi movimenti sociali e il suo esito è determinato dalle nostre azioni o dalla nostra passività.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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