I dati. Il rapporto settimanale della cabina di regia del ministero della Salute e dell’Istituto superiore di sanità riporta in arancione solo il Lazio. Calabria, Toscana e Val d’Aosta passano in rosso. Dopo Pasqua scuole aperte in tutte le regioni fino alla prima media. Ma la didattica in presenza va messa in sicurezza con un’attività di contact tracing capillare e test a tappeto, dicono gli esperti invano

Nonostante 24 mila nuovi casi positivi al coronavirus e 457 vittime di Covid-19, il virus prosegue il rallentamento iniziato una decina di giorni fa, con un numero di nuovi casi inferiore del 10% rispetto a una settimana fa.

Il rapporto settimanale della cabina di regia del ministero della salute e dell’Istituto superiore di sanità però riporta in zona arancione solo il Lazio. Nella regione l’indice Rt è infatti tornato a 0,99 e l’incidenza del virus è inferiore ai 250 casi per centomila abitanti in sette giorni. A Calabria (Rt a 1,37), Toscana (1,1, ma con incidenza di casi elevata) e Val d’Aosta (1,75) tocca invece il percorso inverso, dall’arancione al rosso. Sono gli unici cambiamenti previsti dopo la valutazione degli esperti sui relativi alla settimana 15-21 marzo. I tre quarti della popolazione italiana rimangono in zona rossa come due settimane fa.

Il quadro nazionale presenta qualche segno di miglioramento. L’indice Rt è a 1,08, ancora superiore a 1 ma in lieve calo rispetto al dato della settimana precedente. Sono i primi segni che la zona rossa comincia a dare i suoi frutti. L’incidenza scende a 247 nuovi casi ogni centomila abitanti in 7 giorni. Ma come ormai abbiamo imparato, il dato dei contagi è il primo a calare e non impedisce che la situazione negli ospedali continui a peggiorare. «Il numero complessivo di persone ricoverate in terapia intensiva – scrivono gli esperti nel rapporto – è ancora in aumento con un tasso di occupazione a livello nazionale sopra la soglia critica». Dal 36% della settimana precedente, negli ultimi giorni la saturazione è arrivata al 39%, con circa trecento pazienti ricoverati in più. In area medica la crescita è di oltre duemila pazienti, e ora i pazienti Covid occupano il 43% dei posti letto. In Emilia-Romagna, Lombardia e soprattutto Marche, entrambi i tassi sono superiori al 50%.

Inizia a dare i suoi frutti il piano vaccinale almeno tra gli operatori sanitari, dove i casi sono fortemente calati a partire dalla metà di febbraio, quando gran parte dei medici e degli infermieri aveva ricevuto anche la seconda dose dei vaccini Pfizer o Moderna.

La prossima settimana, solo gli alunni del Lazio torneranno a scuola tra quelli attualmente in zona rossa. Il rientro avverrà martedì, perché l’ordinanza precedente fissava la durata delle zone rosse a quindici giorni. Dopo Pasqua, ha annunciato il premier Draghi, anche nelle zone rosse si tornerà in classe fino alla prima media: «Le evidenze scientifiche dimostrano che fino alla prima media le scuole di per sé non sono fonte di contagio»

A far cambiare idea a Draghi, oltre alle manifestazioni del movimento priorità alla scuola, potrebbe essere stata una ricerca pubblicata proprio ieri dalla rivista Lancet Regional Health Europe dai ricercatori guidati dall’epidemiologa Sara Gandini dell’Istituto Europeo dei Tumori. La ricerca, circolata moltissimo ancor prima della pubblicazione nelle chat dei genitori «no Dad», dimostrerebbe che le scuole italiane si sono dimostrate luoghi relativamente sicuri durante l’inizio della seconda ondata virale di novembre. In effetti, in quel periodo il tasso di alunni positivi è stato del 30% inferiore rispetto a quello osservato nel resto della popolazione. Moltissimi esperti avevano però criticato quelle conclusioni. Che i tassi assoluti di contagio tra bambini e ragazzi risultino inferiori è probabilmente una conseguenza del fatto che i bambini infetti sono in gran parte asintomatici, e non della sicurezza intrinseca dell’ambiente scolastico. Infatti, dagli stessi dati analizzati da Gandini si rilevava che gli insegnanti si sono contagiati a un ritmo doppio rispetto alla popolazione generale. Per quello un coro di esperti, anche tra

i più favorevoli alla riapertura delle scuole, ha chiesto di mettere in sicurezza le scuole con un’attività di contact tracing capillare e test a tappeto. Invano. Per riuscirci servirebbero risorse che il premier Draghi ha dimostrato di non voler investire: «In alcuni casi sarà possibile effettuare il test» per gli studenti, ha detto, «ma parlare di azione globale mi sembra eccessivo».

La variante inglese, più contagiosa e ora dominante, potrebbe aver modificato radicalmente il quadro e azzerato le poche informazioni a disposizione. Senza le risorse necessarie al tracciamento, sia per circoscrivere i focolai che per valutare il rischio in classe, l’apertura della scuola rimarrà dunque un tema su cui dividersi. Finché non arriverà l’estate e il governo si troverà con un problema in meno.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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