Persino l’Organizzazione mondiale della Sanità deve intervenire per rimarcare e stigmatizzare l’insostenibile lentezza con cui le vaccinazioni proseguono nel Vecchio Continente.
Mentre negli Stati Uniti quindici milioni di dosi di Johnson & Johnson vanno in malora a causa di un “errore umano” nella preparazione delle fiale, per il resto, oltre metà della popolazione a stelle e strisce è già stata vaccinata, in Europa, e in particolar modo in Italia, i numeri di coloro che hanno una parziale copertura nei confronti del Covid-19 sono pochissimi (il 10% ad oggi degli ultra ottantenni; appena il 5% dei settantenni vulnerabili e ultravulnerabili).
Intanto generali e presidenti di regione fanno il giro dei centri vaccinali, elogiano l’efficienza logistica dell’esercito, lo spirito di corpo, la prontezza d’azione del magico governo Draghi che, per quanto possa giovarsi di un credito residuo di autorevolezza morale derivante dal curriculum liberista del Presidente del Consiglio, sta mostrando alla popolazione che effettivamente nessuno ha la bacchetta magica e che gli interventi normativi di oggi sono simili, ma davvero molto simili a quelli del Conte bis.
Quando le ragioni per cui viene fatto cadere un governo sono tutt’altro che fondate, ma si è in presenza di una manovra di palazzo per accreditare alla gestione del Paese figure che diano più rassicurazioni al padronato, il risultato è la replica dei comportamenti dell’esecutivo precedente nella gestione della pandemia, fatta cambiando la testa della macchina organizzativa, ma senza rivoluzionare il meccanismo che muove il tutto.
Il governo Draghi avrebbe potuto, se fosse stato ciò che non può essere, quindi un governo di impronta sociale, progressista e popolare, anzitutto fare una battaglia in Europa per allargare la platea del consenso su richieste di abolizione di qualunque profitto sulla pandemia, superando quindi la brevettazione dei preparati o, quanto meno, reclamare in sede continentale che ad ogni Stato fosse concessa la licenza per poterli produrre. Una licenza pubblica, naturalmente, sarebbe stata ideale: aziende private avrebbero prodotto su incentivo pubblico i vaccini, garantendo loro un margine di guadagno senza operare speculazioni di alcun tipo.
Invece ogni piano vaccinale è subordinato alla produttività delle grandi case farmaceutiche che, parole dello stesso Draghi (il che vuol dire che la misura è davvero colma!), «…si sono vendute più volte quello che non avevano» e lo hanno fatto sfruttando la disperazione di paesi già disperatamente coinvolti nella lotta alla pandemia, privilegiando i rapporti interni con i loro governi o preferendo spedizioni di milioni di vaccini verso chi poteva pagare presto e subito e fare pure accaparramento di scorte, incetta senza alcuna morale, fuori da ogni metro etico.
I ritardi nella vaccinazioni in Europa, lamentati dall’OMS, e in Italia si spiegano anche a causa della mancanza della “materia prima“: anche la macchina organizzativa migliore si inceppa e si deve fermare se non arrivano le boccettine con dentro le soluzioni da inoculare.
Ma, come sempre accade in questo sistema economico – politico – sociale pieno di contraddizioni, le cause sono molteplici e riguardano per l’appunto tutti e tre gli assi portanti della struttura capitalistica: sfruttamento della forza-lavoro (quindi aumento dei profitti in maniera esponenziale, approfittando del biennio pandemico), regime concorrenziale elevato all’ennesima potenza tra le “big pharma” e rapporti anche politici tra i diversi poli continentali nel proteggere autarchicamente le nuove scoperte e, per l’appunto, i brevetti.
Dall’inizio della pandemia ciò che emerso con tragico vigore, con ineluttabile evidenza è la disparità di trattamento basata sulle differenziazioni economiche tra i territori: da regione a regione, da nord a sud, da Stati della UE finanziarimente non appetibili per i grandi movimenti borsistici e le speculazioni che ne derivano a Stati che si sono candidati a motore della gestione dell’emergenza sanitaria, ponendo le industrie private del farmaco come paladine di un ruolo pubblico ampiamente subordinato alle oscillazioni del capitalismo continentale e globale.
La grande illusione istillata nelle popolazioni, che gli Stati fossero in grado di gestire per davvero su un piano strutturale, di incidenza sugli accidentati terreni della finanza, dell’economia delle merci e dei profitti, una pandemia veramente epocale, si è rivelata tale ben presto: ai governi il ruolo di meri esecutori delle decisioni transnazionali (Commissione Europea, BCE, con dettami chiari del FMI e della Banca Mondiale sugli sforamenti di bilancio), alla scienza il compito di accelerare il passo per vincere la guerra dei vaccini, forzando i tempi, sperimentando sul campo tutte le caratteristiche dei preparati, affidandosi in parte alla verifica di laboratorio.
Il Covid-19 ha generato il panico nel capitalismo mondiale, ne ha sconquassato le certezze residue che aveva di poter gestire qualunque crisi facendo ricorso al depredazione delle risorse sociali nei singoli paesi, colpendo sempre indiscriminatamente le fasce più povere e deboli della società. Ma, al tempo stesso, il virus ha creato inaspettate opportunità di generazione di capitali che altrimenti sarebbero stati accumulati in tempi molto più lunghi.
Per fare questo, le promesse di produzione sono state una vera e propria “clausola di salvaguardia” di contratti miliardari intavolati con la UE, con gli USA, con Israele e con altri grandi potenti Stati; un vero e proprio artificio ingannatore, un espediente immorale che, del resto, può anche essere rimproverato a “big pharma” sapendo bene che il capitalismo è – non per ammissione ma per oggettiva sua natura – “a-morale“.
Malediciamo pure i governi e il sistema economico che ci fanno morire, che ci fanno aspettare una infinità di tempo per poterci vaccinare mentre il Covid-19 corre, corre, corre sempre più forte. Ma dopo i giorni dell’ira devono venire quelli della presa di coscienza di come il tutto si regge precariamente e di come può essere sovvertito tramite l’unione, l’organizzazione non di un sogno di un futuro migliore, ma di una trasformazione di un presente non più tollerabile.
MARCO SFERINI
Foto di DoroT Schenk da Pixabay