È uscito a febbraio 2021 Finché ci sono fake news c’è speranza. Libertà di espressione, democrazia, nuovi media, per Rubbettino editore, il nuovo saggio di Carlo Magnani, docente di Diritto dell’informazione presso l’Università degli Studi “Carlo Bo” di Urbino. Oltre a essere un libro rigoroso e strutturato sui delicati rapporti tra il concetto di verità, i regimi democratici e le loro relazioni reciproche, si tratta anche di un gustoso pamphlet di critica sagace di molti aspetti del dibattito pubblico che, per pigrizia o per malafede, vengono lasciati impliciti senza essere tematizzati. Una vera e propria boccata di ossigeno per tutti coloro che non si riconoscono nel pessimismo e nel paternalismo dal sapore reazionario onnipresenti nella discussione mainstream. È abbastanza evidente che il dibattito pubblico dell’élite intellettuale, sempre più scollato dalla sensibilità delle masse, ama vedere riflessa la propria sedicente superiorità morale in anti-feticci: parole sulle quali vengono costruiti castelli di carta e narrazioni martellanti reiterate a tal punto da far perdere a quelle parole il loro dubbio significato; concetti usati per spiegare acriticamente l’evidente crisi e decadenza dei regimi democratici. Tra queste, appunto, post verità e fake news, concetti sapientemente decostruiti da Magnani.
Il saggio, diviso in due parti, vede sviluppare, in quello che l’autore stesso definisce “fil rouge”, il tema della verità da un punto di vista giuridico e filosofico, con una particolare attenzione all’evoluzione storica di determinate problematiche che risultano essere non esclusive della contemporaneità ma presenti in forme diverse anche nel passato. Per esempio, nei capitoli iniziali si parla della differenza tra la verità nelle istituzioni democratiche dell’antica Grecia, dove, per quanto retorica e sofistica avessero una propria posizione rilevante, la funzione di verità godeva di una certa importanza all’interno del contesto della polis. La giurisprudenza moderna invece viene codificata nel famoso motto hobbesiano Auctoritas non veritas facit legem. Un “divorzio”[1] tra legge e obbligo della verità (che, all’interno di un regime liberaldemocratico, se imposta autoritativamente avrebbe una connotazione totalitaristica) che inevitabilmente conduce a una forma di nichilismo. Le costituzioni moderne sono quindi, per certi versi, una sorta di surrogato metafisico della situazione relativistica che la legge così intesa istituisce implicitamente.
Magnani, passando all’esame del mondo dell’informazione, mette bene in luce il fatto che tanti concetti della tradizione giuridica sulla libertà d’espressione inquadrano perfettamente i media del nuovo millennio senza necessariamente creare delle categorie a parte. Sia che si parli dell’interpretazione individualista o funzionalista (attenta al rapporto tra circolazione delle opinioni e democrazia) dell’articolo 21 della Costituzione, o dei tre modi in cui può essere declinata pubblicamente la libertà di parola (cronaca, critica e satira[2]), i nuovi media ricadrebbero perfettamente all’interno delle categorie del costituzionalismo (come dimostra un’amplia letteratura alle spalle), necessitando semmai di un doveroso aggiornamento senza alterare l’impianto teorico e dogmatico di fondo.
L’annus horribilis nel quale i nuovi media e le fake news avrebbero condizionato maggiormente l’esito di consultazioni elettorali sarebbe il 2016, più volte citato all’interno del libro. Si tratta del referendum sulla Brexit in Gran Bretagna (23 giugno), del referendum costituzionale in Italia (4 dicembre), e delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti (8 novembre). I risultati di queste tre consultazioni hanno tradito aspettative e speranze della maggioranza dell’establishment e dei media dei paesi in questione[3]. Colpa di questo slittamento rispetto alle aspettative sarebbe, sempre per i suddetti media, il “combinato disposto di populismo e nuove forme di comunicazione”, il quale costituirebbe una vera e propria minaccia nei confronti della democrazia. Personalmente, ritengo interessante notare come, sempre per rimanere nell’ambito delle votazioni del 2016, il dibattito nei mezzi di informazione mainstream sia stato a ben vedere pieno di quelle, che avrebbero altrimenti definito, fake news sulle conseguenze (non avverate) di una eventuale vittoria di ciò che poi effettivamente ha trionfato, con previsioni terrificanti su economia e società[4]. Questa sì è stata una interessata manovra di manipolazione dell’opinione pubblica, dovuta al fatto che, a differenza di altre competizioni elettorali, le tre votazioni di cui sopra altro non erano che una scelta tra due alternative irriducibili, rendendo di fatto impossibile ogni forma di tradimento posteriore della volontà politica espressa dall’elettorato (come nel caso delle elezioni politiche italiane del 2018 con il Governo Draghi). Sarebbe interessante uno studio comparativo delle percentuali di notizie inventate, previsioni disattese e veri e propri tentativi di alterare l’opinione pubblica tra i quotidiani più venduti d’Italia e siti presi di mira, a torto o a ragione, da sedicenti fact checker (e ugualmente tra le dichiarazioni degli esponenti politici). Abbiamo quindi un ulteriore divorzio: quello tra media tradizionali (e la loro capacità di influenzare l’opinione pubblica) e le masse.
Un altro aspetto su cui Magnani regala pagine di rara lucidità è il carattere sempre più vuoto e compilatorio delle competizioni elettorali. La crisi della liberaldemocrazia, di cui il significante vuoto del populismo è conseguenza, è un effetto della progressiva accettazione del dogma neoliberista e dalla riduzione degli spazi decisionali politici: portando la dimensione politica per eccellenza, ovvero quella economica, a essere allontanata e dal dibattito pubblico e dalle competenze politiche stesse, e trasformando infine i parlamenti in meri esecutori di volontà terze, spesso riconducibili a quelle delle direttive e dei trattati europei. È per questo motivo che
[i]l conflitto politico ha subito una torsione etica e moralista, non confrontandosi più grandi filoni ideologici, vista la predominanza del liberalismo come verità unica, le linee di divisione tra destra e sinistra sono state sostituite da campagne simboliche su questioni etiche di portata così universale da risultare astratte[…][5].
Le conseguenze di questo malessere percepito ma non razionalizzato sono riconducibili a varie forme di pessimismo tecnologico nei confronti dei nuovi mezzi di informazione; che sfocia nel pessimismo antropologico nei confronti delle capacità cognitive dei cittadini di discernimento del vero e del falso, raffigurati come totalmente succubi di un freddo algoritmo manipolatorio, secondo uno schema definito con ironia da Magnani come il “modello Cappuccetto Rosso”. Per giustificare tale pessimismo si arriva a postulare un sostrato valoriale alla democrazia, sostituendone la dimensione politica (hobbesiana) con quella giuridico-morale. Alla crisi della democrazia e alle sfide dei nuovi media si tenta di rispondere erroneamente con una inversione dei rapporti tra giurisprudenza della Corte EDU o Corte di Giustizia europea e Costituzioni, ricostruendo a posteriori un insieme di valori incompatibili con un determinato tipo di messaggi. Alcuni ipotizzano anche l’apoteosi dell’elitismo e dello snobismo: la limitazione del suffragio universale nel nome del suffragio universale stesso. Tutto pur di non vedere l’elefante della stanza: la rinuncia di ogni tipo di fondazione ultima delle verità in un regime in cui vige la democrazia formale non può tollerare una selezione a monte della grande massa di informazioni, tanto più se si pongono a giudici supremi o organismi sovrastatali o gli algoritmi degli oligarchi del web, che rispondono a logiche diagonali rispetto alla sovranità dei singoli paesi.
In attesa, dunque, di un ritorno alla lotta politica basata sulla contrapposizione di partiti ideologicamente irriducibili, alla sana dialettica tra leader politici e masse, ovvero di una “risposta progressiva al populismo e al sovranismo” che risolva “il tema della distanza tra la politica e i cittadini in una direzione emancipatrice e di una nuova forma dei poteri sociali” [6], leggiamo e facciamo leggere il libro di Carlo Magnani per abbattere i falsi idoli del dibattito pubblico.
[1] Magnani (2021), p. 27.
[2] Magnani (2021), p. 49.
[3] Ciò prescinde da una valutazione nel merito delle singole consultazioni. Personalmente credo che gli elettori abbiano scelto correttamente per i motivi giusti nel caso del Referendum in Italia, correttamente ma per i motivi sbagliati per la Brexit (per citare Varoufakis), e rimango indifferente nei confronti dell’esito delle presidenziali statunitensi.
[4] Sul “monopolio della falsità” da parte dello stato e sulla strumentalità del concetto di fake news si legga lo straordinario contributo di Marco d’Eramo su Micromega, consultabile qui https://www.micromega.net/breve-la-felice-vita-delle-fake-news/
[5] Magnani (2021), p. 113.
[6] Magnani (2021), p. 128.