Con quasi 2,2 milioni di chilometri quadrati di superficie, la Groenlandia è notoriamente la maggiore delle isole del pianeta, ma la popolazione complessiva di questa terra vastissima non raggiunge le 59.000 unità, di cui oltre 18.000 concentrate nella capitale, Nuuk. Parte del Regno di Danimarca dal 1814, la Groenlandia ha ottenuto l’autogoverno nel 1979, che garantisce all’isola un’autonomia molto ampia su quasi tutte le materie. Emblematico fu il caso del referendum del 1982, quando la Groenlandia decise di abbandonare la Comunità Economica Europea, alla quale aveva aderito nel 1973 per effetto dell’ingresso di Copenaghen nell’allora CEE. Nel 2008, un nuovo referendum ha trasferito al governo locale ulteriori competenze in ambito legislativo, giudiziario e nella gestione delle risorse naturali. La Danimarca, tuttavia, resta titolare delle decisioni su finanze, politica estera e difesa militare
Il 6 aprile, gli elettori groenlandesi sono stati chiamati alle urne per rinnovare la composizione dei trentuno seggi del parlamento locale, denominato Inatsisartut. Le elezioni anticipate si sono tenute in seguito alla caduta del governo di Kim Kielsen, in carica dal 2014 per il partito socialdemocratico Siumut (“Avanti”). Nel novembre del 2020, Nielsen ha subito una pesante sconfitta interna quando il suo rivale Erik Jensen è stato eletto come nuovo leader del partito. A causa dei continui dissidi, il partito dei Democratici (Demokraatit) ha deciso di abbandonare la coalizione di governo, causando la caduta dell’esecutivo guidato da Nielsen.
A questo vanno aggiunte le polemiche riguardante la gestione delle risorse naturali dell’isola. Il governo Kielsen è stato infatti accusato dall’opposizione, in particolare dagli indipendentisti socialisti di Inuit Ataqatigiit (“Comunità Inuit”), di dare la priorità all’aspetto economico, trascurando invece quello ambientale. I socialisti groenlandesi hanno proposto una moratoria sullo sfruttamento delle risorse di uranio presenti sull’isola ed hanno fatto appello ad una gestione più accorta delle miniere di terre rare, sulle quali puntava molto il governo uscente.
Al centro del dibattito si trova soprattutto la miniera di Kvanefjeld, situata nel sud della Groenlandia. Secondo le stime, la miniera di Kvanefjeld potrebbe contenere il più grande deposito di terre rare al di fuori della Cina, che attualmente rappresenta oltre il 90% della produzione globale. Il governo Kielsen aveva presentato un progetto di sfruttamento dei giacimenti di uranio e terre rare con il coinvolgimento di multinazionali straniere, sottolineando che la miniera sarebbe diventata una potenziale fonte di posti di lavoro e prosperità economica. Kielsen ha spinto per dare il via libera allo sfruttamento della miniera da parte di Greenland Minerals, una società con sede in Australia di proprietà cinese. Tuttavia, sia l’opposizione interna guidata da Jensen che i partiti esterni al governo, in particolare Inuit Ataqatigiit, hanno manifestato la propria contrarietà al progetto.
L’elettorato ha premiato proprio il partito di sinistra, che per la seconda volta nella storia dopo il 2009 ha ottenuto il primo posto alle elezioni legislative. Inuit Ataqatigiit ha conquistato il 37,42% dei consensi, aggiudicandosi dodici seggi, con un incremento di quattro deputati e di oltre undici punti percentuali rispetto a quanto ottenuto nel 2018. Siumut comunque riesce a contenere le conseguenze della propria crisi politica e, pur classificandosi secondo, ottiene un ragguardevole 30,10%, portando la propria rappresentanza da nove a dieci scranni.
A pagare le conseguenze della polarizzazione dell’elettorato tra le due forze politiche principali sono invece i partiti minori. Nonostante una flessione di circa un punto percentuale (12,27%), mantiene i propri quattro deputati il partito centrista Naleraq (“Punto di Orientamento”), mentre crollano i Democratici, accusati di aver causato la caduta del governo: il partito del centro-destra liberale perde oltre dieci punti percentuali (9,26%) e la metà dei propri rappresentanti, ottenendo solamente tre seggi.
Completano la composizione dell’emiciclo di Nuuk i due deputati di Atassut (“Solidarietà”), che ottiene il 7,09% delle preferenze, mentre restano fuori dal parlamento Nunatta Qitornai (“Discendenti della Nostra Terra”) e il Partito della Cooperazione (Suleqatigiissitsisut), entrambi perdendo l’unico seggio di cui disponevano in precedenza.
Dal 1979, data dell’inizio dell’autogoverno groenlandese, il ruolo di primo ministro è sempre stato occupato da esponenti del partito Siumut, con l’unica eccezione di Kuupik Kleist, che ha guidato l’esecutivo dal 2009 al 2013 per Inuit Ataqatigiit. L’attuale leader della forza socialista, il trentaquattrenne Múte Bourup Egede, dovrebbe ora prendere le redini del governo, ma dovrà contrattare con le altre forze politiche al fine di raggiungere i 31 seggi necessari per conquistare la maggioranza parlamentare.
“Ci sono due questioni che sono state importanti in questa campagna elettorale. Le condizioni di vita delle persone è una di queste. E poi ci sono la nostra salute e l’ambiente”, ha dichiarato Egede in seguito alla pubblicazione dei risultati. “Dobbiamo ascoltare gli elettori preoccupati. Diciamo no all’estrazione dell’uranio”, ha aggiunto. Erik Jensen, nuovo leader di Siumut, ha ammesso la sconfitta del partito e si è congratulato con Egede e il suo partito per aver vinto le elezioni. Jensen ha anche dato la propria disponibilità ad iniziare i colloqui per la formazione di un governo di coalizione. Secondo gli analisti, tuttavia, Egede cercherà l’appoggio dei partiti minori, anziché rivolgersi alla storia forza rivale.
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Giulio Chinappi – World Politics Blog