Situata all’estremità meridionale del Mar Rosso, presso lo stretto di Bab el-Mandeb, la Repubblica di Gibuti, precedentemente denominata Territorio Francese degli Afar e degli Issa, è divenuta indipendente da Parigi nel 1977, e da allora la politica dello Stato africano è sempre stata dominata dal Raggruppamento Popolare per il Progresso (Rassemblement populaire pour le Progrès, RPP), prima sotto la guida di Hassan Gouled Aptidon, presidente dal 1977 al 1999, e poi sotto quella dell’attuale leader Ismaïl Omar Guelleh, soprannominato IOG.
Con poco meno di 865.000 abitanti (ultimi dati ufficiali, quasi 1 milione secondo le stime attuali), Gibuti è anche il Paese meno popolato dell’Africa continentale (i quattro Paesi africani con meno abitanti sono infatti tutti arcipelaghi). Nonostante questo, la sua posizione strategica all’imbocco del Mar Rosso dà a Gibuti un’importanza geopolitica fondamentale, come dimostrano le tante basi militari costruite sul suo territorio. Persino la Cina, infatti, ha costruito la sua prima base militare all’estero proprio a Gibuti, accanto a quelle di Francia, Italia, Stati Uniti, Giappone e Arabia Saudita. Le basi militari di Gibuti sono utilizzate per controllare il traffico del Mar Rosso e del Golfo di Aden e per combattere la pirateria, proveniente soprattutto dalla vicina Somalia.
Questo significa che tutte le principali potenze del mondo hanno come primo interesse quello di mantenere la stabilità politica in questo piccolo Paese, solo apparentemente insignificante. Il partito al potere ha certamente risposto positivamente a queste esigenze nei suoi 43 anni al governo, applicando una politica amichevole sia nei confronti dell’ex potenza coloniale francese e degli altri Paesi occidentali che, più di recente, con la nuova superpotenza cinese. Il governo ha sempre dimostrato di essere un partner affidabile, e di conseguenza ha sempre ricevuto il sostegno della comunità internazionale, anche quando i leader del Paese sono stati sospettati di attività poco trasparenti.
Le elezioni presidenziali del 9 aprile, dunque, non potevano far altro che sancire una nuova schiacciante vittoria per Ismaïl Omar Guelleh, sostenuto dal RPP e dagli altri partiti riuniti nella coalizione denominata Unione per la Maggioranza Presidenziale (Union pour la Majorité Présidentielle, UMP). Alla ricerca di una quarta vittoria elettorale consecutiva, Guelleh ha avuto come unico avversario sul campo Zakaria Ismael Farah, candidato del Movimento per lo Sviluppo e l’Equilibrio della Nazione Gibutiana (Mouvement per le Développement et l’Équilibre de la Nation Djiboutienne, MDEND). Gli altri gruppi dell’opposizione hanno invece deciso di boicottare questa tornata elettorale.
I risultati ufficiali hanno visto Guelleh ottenere addirittura il 98,58% delle preferenze, contro l’1,42% dei consensi andati a Farah. In questo modo, Guelleh si è assicurato il quinto mandato consecutivo alla guida del Paese, e potrà ampiamente superare i 22 anni al potere trascorsi dal suo predecessore Gouled Aptidon. “Grazie per la vostra fiducia, grazie Gibuti. Continuiamo insieme“, ha scritto Guelleh su Twitter poco dopo l’annuncio dei risultati. Secondo il primo ministro Abdoulkader Kamil Mohamed, l’affluenza alle urne sarebbe stata pari al 77%.
L’obiettivo del presidente Guelleh sarà quello di rilanciare l’economia del Paese, dopo la forte recessione subita nel 2020 a causa della pandemia da Covid-19. Secondo la Banca Mondiale, oltre il 21% della popolazione gibutiana viveva sotto la soglia della povertà estrema nel 2017, dato che oggi potrebbe essere ancora peggiore. Il Paese conta oggi oltre 9.800 casi positivi al Covid-19 e 96 decessi.
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Giulio Chinappi – World Politics Blog