Al forum sul “Reincontro con la Madre Terra” che si svolge a La Paz, Venezuela, Cuba, Bolivia e Nicaragua hanno denunciato l’impatto negativo del modello capitalista contro lo sviluppo nel rispetto della natura.
Il ministro degli Esteri del Venezuela Jorge Arreaza, durante il suo intervento, ha denunciato che “il sistema capitalista ha pervertito il rapporto tra l’uomo e la Madre Terra e l’umanità dovrà superarlo se vuole ottenere giustizia climatica e ambientale.
Il sistema capitalista non garantisce il raggiungimento degli obiettivi che il mondo ha davanti, poiché applica solo soluzioni cosmetiche e palliative a questi problemi.
Con queste misure di maquillage, il capitalismo sembrerà carino ma continuerà ad essere un killer, un killer in giacca e cravatta col colletto bianco.
I popoli devono considerare esaurito il sistema capitalista e intraprendere la costruzione di un altro sistema, con rapporti profondamente diversi con la Madre Terra, in cui governano le maggioranze e non le corporazioni e le multinazionali”.
Da parte sua il presidente socialista della Bolivia, Luis Arce, ha fatto appello per lanciare la soluzione dei popoli del Sud alla crisi ambientale e climatica attraverso il riconoscimento e l’applicazione dei diritti della Madre Terra.
“Il capitalismo per produrre ricchezza deve produrre povertà.
La Madre Terra non è un oggetto o una merce, è nostra madre ed i nostri sforzi devono essere mirati a rafforzare un’economia della Terra, che generi ricchezza da distribuire tra tutti.
I diritti della Madre Terra devono essere rispettati, perché la difesa della Madre Terra è la difesa della vita stessa.
È necessario un cambiamento nel modello socio-politico per affrontare il cambiamento climatico, le forze dell’Occidente e del capitalismo hanno fatto sì che gli esseri umani rompessero le relazioni di equilibrio con la natura. Questo ci ha portato a vivere in un tempo globale di continue crisi.
La crisi ambientale è il risultato degli alti livelli di consumismo nel mondo. Solo le foreste primarie nel mondo sono diminuite di 81 milioni di ettari dal 1990.
Le società devono ridurre le emissioni di anidride carbonica del 45% entro il 2030, rispetto ai livelli del 2010 e raggiungere il saldo netto zero emissioni entro il 2050, al fine di limitare il riscaldamento a 1,5 gradi Celsius e, allo stesso tempo, conservare e ripristinare la biodiversità e ridurre al minimo l’inquinamento e la produzione di rifiuti”, ha spiegato il presidente boliviano.
Il ministro degli Esteri cubano, Bruno Rodríguez, ha espresso la volontà di Cuba di collaborare con i paesi dell’America Latina e dei Caraibi per conformarsi agli accordi sul clima delle Nazioni Unite.
“I Paesi industrializzati hanno il dovere di assumersi impegni per il clima in base alla loro responsabilità storica per i danni compiuti contro la Madre Terra.
La regione latinoamericana, nonostante sia responsabile solo dell’8,3% delle emissioni di gas serra del pianeta, è stata colpita tra il 1970 e il 2019 da circa 2.300 disastri naturali, che hanno causato più di 500.000 morti e perdite in denaro 437.000 milioni di dollari.
Noi, attraverso il Piano Statale Cubano approvato nel 2017, stiamo compiendo con gli impegni internazionali.
Entro il 2030 miriamo a raggiungere il 24% di elettricità da fonti rinnovabili, a ridurre del 50% l’uso di combustibili fossili nei veicoli terrestri e ad aumentare la copertura forestale fino al 30%.
Contemporaneamente denunciamo il blocco criminale imposto dal governo degli Stati Uniti, che ci impedisce di ottenere i finanziamenti necessari per intraprendere progetti che aiutino lo sviluppo sostenibile”.
Il presidente del Nicaragua Daniel Ortega, durante il suo intervento, ha denunciato che “i Paesi ricchi usano le loro risorse economiche per attaccare i popoli, piuttosto che investire e prendere sul serio il problema del riscaldamento globale.
Non c’è alcuna volontà nella cupola dei Paesi sviluppati per affrontare questi problemi in modo intelligente e razionale e causano il caos, esacerbano la povertà, il dolore e la violazione dei diritti dei popoli che aggrediscono con sanzioni e occupazioni militari.
Nei Paesi sviluppati le risorse vengono collocate molto più facilmente nei bilanci per la guerra, per invadere, attaccare i popoli che stanno combattendo per la loro sovranità, che per combattere la povertà.
Inoltre, quegli stessi Paesi, impongono le regole negli accordi internazionali, le modificano quando vogliono e si ritirano quando lo desiderano.
Nell’Accordo di Parigi, fatto dai governi che si dicono molto seri, molto rispettosi, ci aggrappiamo a un accordo che non rende questa lotta praticabile, ma che ci porta alla morte.
La scienza aveva indicato chiaramente gli obiettivi che dovevano essere raggiunti per contenere l’avanzata del riscaldamento globale e da lì per ottenere un lento e graduale recupero delle radici di Madre Terra ma ciò non è stato seguito.
Verrà il tempo in cui i popoli dei Paesi Sviluppati – che hanno condannato le politiche dei loro governi – raggiungeranno l’unità nell’azione per cambiare il corso del pianeta. Noi continuiamo nella battaglia, con la nostra voce, dai nostri Paesi, ma dobbiamo combattere tutti questa grande battaglia”.
(Nostra traduzione)
Rete di solidarietà rivoluzione bolivariana