riceviamo e pubblichiamo
di Franco Astengo
In questi giorni è previsto il varo da parte della Commissione Europea di un testo volto a disciplinare i confini dell’intelligenza artificiale.
Ne scrive Vincenzo Vita ( “Il Manifesto” 21 aprile, “L’intelligenza artificiale è qui e lotta contro di noi”) : “Il tempo digitale incombe e ci impone di cambiare i nostri modelli cognitivi, l’approccio ad una realtà di cui la componente virtuale è un’ingrediente fondamentale”.
E’ il caso, prima di tutto, di ricordare come il provvedimento della Commissione Europea sia frutto di un dibattito svolto in una sede di “democrazia asimmetrica”: i 3 organismi dell’UE, Consiglio, Commissione, Parlamento hanno fonti d’origine diverse (governo, voto popolare) in una situazione anomala che non si è riusciti a risolvere una volta fallito il tentativo di formulare un testo di Costituzione Europea: questa mi pare un’annotazione non da poco perché continuano a porsi irrisolte questioni di legittimità al riguardo dei provvedimenti che arrivano da Bruxelles.
Nella fase di emergenza sanitaria (ancora in corso) stiamo cercando tutti quanti di sperimentare il cambiamento profondo che si sta verificando sia sul piano della possibilità di scambiarsi opinioni e conoscenze, sia al riguardo della necessità di modificare le regole adatte per pervenire a nuovi livelli di decisionalità.
Per restare al “caso italiano” il fallimento clamoroso (ma prevedibile) dell’esperienza tentata dal Movimento 5 stelle al riguardo della democrazia diretta esercitata attraverso il web ci pone ulteriori questioni di natura complessa, non facili da affrontare.
Dunque:le nuove conoscenze nel campo dell’intelligenza artificiale fanno risaltare la questione di chi controlla i dati e di chi controlla gli algoritmi e, insieme, della necessità di ritrovare un nesso tra il digitale e la dimensione umana del processo di conoscenza.
In queste condizioni l’idea della semplificazione dell’intermediazione culturale e politica realizzata attraverso il “salto” della rappresentanza organizzata si è rivelata molto pericolosa per l’esercizio della democrazia, almeno così come questa era stata concepita a partire dalla prima rivoluzione industriale in avanti: quella forma di democrazia costituzionale che sicuramente è andata in crisi ma al riguardo della quale non sono state trovate fin qui forme di cambiamento praticabili e efficaci.
In ogni caso appare evidente che per affrontare questo livello delle questioni non è sufficiente sviluppare un discorso limitato al rapporto tra forma di governo/ rappresentanza/ formula di scelta della rappresentanza stessa.
Egualmente però diventa decisivo affrontare il tema della rappresentanza, ponendosi una domanda: attorno a quale contraddizione si può collocare il confronto a questo livello, come si regola oggi la relazione tra struttura e sovrastruttura e la relativa ricaduta sulla presenza istituzionale e la forma di governo (quest’ultima appare, infatti, decisamente incamminata sul terreno dell’autocrazia tecnocratica)?.
Tutto questo in tempi di vero e proprio disfacimento dell’azione politica.
Il salto nella capacità di delineare una prospettiva si gioca, almeno a mio giudizio, nel passaggio da un generico riferimento alla necessità di soggettività ad una proposta di modello di organizzazione della rappresentanza nelle condizioni economiche, culturali, sociali (di mutamento antropologico, come è stato fatto notare) date e futuribili, almeno nel medio periodo (constata anche la velocità assunta dal procedere dei cicli storici così come è imposta dal vorticare dell’innovazione).
Vanno in discussione i diversi livelli di organizzazione e aggregazione nel rapporto tra società, corpi intermedi, sedi di decisionalità politica: quel circuito che era stato garantito per un lungo periodo dal sistema dei partiti.
Si tratta di reperire un modello di espressione del consenso sviluppato in sedi adeguate (forse non sarà più sufficiente la sola sede parlamentare e lo stesso corollario delle istituzioni locali) per arrivare ad affrontare in maniera sufficientemente equilibrata la normativa necessaria per regolare (e contenere) l’uso (e lo sviluppo) dell’intelligenza artificiale rispetto al modificarsi della molteplicità delle attività umane che dovranno relazionarsi in quella direzione.
L’impressione su ciò che si sta verificando è quella di un’arretratezza “strutturale” della nostra discussione, qui alla periferia dell’Impero.
Non basta discutere su di una governabilità appesa tra formula elettorale proporzionale o maggioritaria .
Così restiamo destinati, alla fine, ad esprimere una rappresentanza mediocremente corporativa fondata su interessi immediati e non mediati da un’idea (necessaria da ricostruire) di una prospettiva futura.