Da ormai più di cinque mesi, alcuni vaccini contro il coronavirus sono stati autorizzati dalle agenzie sanitarie di tutto il mondo; ma la vaccinazione non sta ancora progredendo.
Alla fine di marzo, solo 126 milioni di persone erano state completamente vaccinate e 320 milioni avevano ricevuto almeno una dose, il che rappresenta rispettivamente l’1,5% e il 4% della popolazione mondiale. C’è carenza di vaccini, ma non di profitti per “Big Pharma”, i grandi gruppi industriali farmaceutici. Questi gruppi sono riusciti ad accumulare profitti prima ancora di iniziare la produzione.
L’industria farmaceutica è un settore estremamente concentrato. Una decina di grandi gruppi industriali americani ed europei dominano il mercato mondiale. I margini sono tra i più alti di qualsiasi altro settore economico, più o meno allo stesso livello del settore bancario. E il sottosettore dei vaccini è ancora più concentrato. Quattro gruppi si dividono la maggior parte del mercato: gli americani Pfizer e Johnson & Johnson, il britannico GSK e il francese Sanofi. Questi gruppi hanno legami stretti e privilegiati con gli Stati con i quali negoziano il prezzo dei loro medicinali a caro prezzo perché, attraverso i sistemi sanitari statali, dominano i mercati. E sono gli Stati ad anticipare il denaro.
Quando il coronavirus si è diffuso in tutti i continenti, questi grandi gruppi hanno visto aprirsi davanti a loro un mercato gigantesco: quello di un nuovo vaccino per miliardi di esseri umani, forse da rinnovare ogni anno come nel caso dell’influenza. Tutto ciò ha alimentato le rivalità e gli appetiti e ha rimescolato in parte le carte.
La corsa alla conquista di quote di mercato e l’intervento degli Stati
I quattro giganti del settore sono entrati in competizione. Alcuni si sono lanciati da soli, come Johnson & Johnson; altri hanno unito le forze, come Sanofi e GSK, altri ancora hanno le mani sulla ricerca di start-up specializzate in vaccini, come Pfizer con la società tedesca BioNTech. Poi altri pesi massimi dell’industria farmaceutica, anche quelli non specializzati in vaccini, sono stati coinvolti, attratti da questo nuovo mercato. È stato, ad esempio, il caso della società anglo-svedese AstraZeneca, che ha messo le mani sul vaccino sviluppato dall’Università di Oxford. Alcune start-up, come Moderna, hanno anche cercato di conquistare un proprio spazio ed essere ammessi alla corte dei grandi.
Ma tutti loro hanno avuto il sostegno finanziario dei governi fin dall’inizio. Per i grandi gruppi che abbiamo menzionato si tratta di un dato incontrovertibile. Ma anche un’azienda come Moderna ha legami privilegiati con il governo americano. Moncef Slaoui, il capo della struttura Warp Speed, istituita da Trump il 15 maggio 2020 e incaricata di distribuire 10 miliardi di dollari per sovvenzionare la ricerca sui vaccini, è stato prima un dirigente GSK e poi un dirigente Moderna.
Il governo americano, grazie al suo potere finanziario, ha condotto e conduce le danze; ha servito su un piatto d’argento ai gruppi che ha deciso di favorire l’accesso al mercato dei vaccini per la propria popolazione. Già nel febbraio 2020 erano infatti già conclusi i primi accordi con i grandi gruppi industriali del settore. Ed entro giugno, centinaia di milioni di dosi erano state pre-acquistate da Johnson & Johnson, Pfizer, Moderna, AstraZeneca e Sanofi, tutte aziende con una propria sede negli Stati Uniti.
Nel maggio 2020, l’amministratore delegato di Sanofi, Paul Hudson, ha affermato che gli Stati Uniti avrebbero “ottenuto i vaccini per primi” perché avevano pagato per primi: una maniera per far pressione sull’Europa, spingendola a mettere mano al portafogli e ordinare centinaia di milioni di dosi.
C’è voluto molto tempo affinché i governi europei potessero competere con gli Stati Uniti, poiché non c’era un accordo su un meccanismo che permettesse ai paesi più potenti di sostenere il proprio campione industriale nazionale e allo stesso tempo parlare come rappresentanti di tutto il mercato europeo. Sono riusciti a farlo con qualche mese di ritardo. E tutti i grandi gruppi europei sono stati serviti: l’anglo-svedese AstraZeneca, la belga Janssen, filiale di Johnson & Johnson, il raggruppamento tedesco-svizzero Curevax, associato a Bayer e Novartis. Il contratto con Sanofi per diverse centinaia di milioni di dosi non è stato annullato, nonostante le difficoltà tecniche del laboratorio francese. È stato solo rimandato fino alla consegna del vaccino promesso per il prossimo autunno.
In totale, 4,6 miliardi di dosi sono state acquistate dai governi più ricchi del mondo, anche se la loro popolazione totale ammonta a meno di un miliardo di persone. Questo significa che in media sono state acquistate più di quattro dosi pro capite, mentre oggi meno del 10% della popolazione è vaccinata. Queste cifre mostrano in quale misura l’industria farmaceutica sia stata sovvenzionata e in quale proporzione essa non sia riuscita a fornire le dosi per le quali si era impegnata.
Un protezionismo appena nascosto…
Una volta raggiunta questa iniziale condivisione della torta, ogni gruppo è andato per la sua strada nello sviluppo e nella produzione di vaccini. E i governi hanno fatto di tutto per favorire ognuno la propria industria nazionale.
Oggi, mentre in Europa gli Stati chiedono decine di milioni di dosi al gruppo AstraZeneca, negli Stati Uniti questo gruppo non è ancora riuscito a far omologare il proprio vaccino. Nel dicembre 2020, mentre in Inghilterra il governo ha iniziato a vaccinare milioni di persone con questo vaccino, l’agenzia sanitaria americana ha rifiutato il suo utilizzo esigendo una nuova sperimentazione clinica su un campione della propria popolazione. Il gruppo ha dovuto adeguarsi e il 22 marzo ha pubblicato nuovi risultati. Ma l’agenzia americana ha comunque trovato un modo per rifiutare di accettarli. Nel frattempo, Pfizer, Moderna e ora Johnson & Johnson stanno vendendo i loro vaccini sul mercato statunitense.
Il peggio è che AstraZeneca ha già prodotto 30 milioni di dosi di vaccino nei propri impianti produttivi statunitensi. Questi vaccini sono attualmente inutilizzabili sul suolo americano. Ma il governo americano ha pure vietato la loro esportazione in Europa, il che va ancora a vantaggio dei concorrenti americani di AstraZeneca, che possono vendere più dosi sul mercato europeo.
I vaccini russi e cinesi, d’altra parte, non hanno avuto accesso né al mercato statunitense né a quelli degli stati europei più ricchi. I pretesti propagandistici e sanitari per non permetterli non sono altro che misure protezionistiche. In occasione del braccio di ferro tra l’Unione Europea e il gruppo AstraZeneca, la leader tedesca Angela Merkel ha minacciato di ordinare dosi del vaccino russo Sputnik V. Questo dimostra che considera tale vaccino efficace, e che solo motivi commerciali hanno portato al boicottaggio. La Merkel passerà dalle parole ai fatti? Le conseguenze politiche della crisi sanitaria in Germania e la sua popolarità in declino potrebbero spingerla a farlo. Ma poi, probabilmente, solo per ordinarne quantitativi simbolici, visto che l’approvazione del vaccino Curevac del gruppo tedesco prodotto dai giganti Bayer e Novartis è previsto per il secondo trimestre di quest’anno.
In Francia, Sanofi ha annunciato che userà uno dei suoi siti per imbottigliare il vaccino di Johnson & Johnson per 20 milioni di dosi al mese a partire dal prossimo settembre. E il governo francese ha accolto la collaborazione, presentandola quasi come un gesto di puro altruismo. Ma la realtà è che Sanofi ha i mezzi per produrre molte più dosi e si sta risparmiando in attesa del proprio vaccino, che dovrebbe essere pronto, seppur con grande ritardo, il prossimo novembre. Tutto ciò è stato ammesso pubblicamente dal presidente di Sanofi Francia lo scorso 17 marzo davanti a una commissione del Senato, dichiarando che il suo gruppo aveva “capacità industriali molto forti” con “diciotto impianti in Francia, in nove regioni” e che questi impianti potevano produrre “un miliardo di dosi all’anno“. Il suo gruppo ha scelto un vaccino adenovirus, e si atterrà ad esso: “Sappiamo che ci vorrà più tempo, ma abbiamo una garanzia superiore che questa tecnologia può funzionare”. E il governo francese farà tutto il possibile per permettere a Sanofi di affermarsi sul mercato nazionale ed europeo.
Big Pharma non ha realmente investito né nella produzione né nella ricerca
Se alcuni impianti di produzione sono sottoutilizzati, altri si surriscaldano, come quelli di Pfizer o AstraZeneca, le cui fabbriche europee funzionano 24 ore al giorno. Ma le stesse aziende che attualmente hanno un vaccino da vendere non vedono il motivo di investire per aumentare la produzione. Invece, la carenza di vaccini permette loro di vendere le dosi ad un prezzo più elevato. È la vecchia politica malthusiana portata avanti dalle imprese in tutti i settori dell’economia quando hanno un monopolio e possono dividersi il mercato: limitare la produzione per creare o esacerbare la carenza e poter così vendere a un prezzo più alto. Moderna ha rivelato nella sua dichiarazione finanziaria che era riuscita a vendere il suo vaccino a un prezzo così alto che il costo di produzione era stato solo del 4%. E non è stato l’investimento nella ricerca a costare. La ragione per cui, secondo gli scienziati, i vaccini “a RNAmessaggero” di Moderna e Pfizer/BioNTech sono una tecnologia veramente rivoluzionaria è che sono basati su quasi 30 anni di ricerca condotta nei laboratori universitari pubblici americani ed europei. I gruppi privati sono venuti a razziare ciò che era stato seminato grazie a massicci investimenti pubblici.
Per quanto riguarda i miliardi di euro provenienti dalla vendita di vaccini non prodotti, sono utilizzati da questi gruppi per speculare, in particolare nel settore delle biotecnologie. In borsa, il valore delle azioni di Moderna è aumentato di quasi sei volte in un anno, quello di BioNTech di più di tre volte e quello di Novavax, un’altra start-up del settore che sta per lanciare un vaccino con GSK, più di 15 volte. Ci sono decine di start-up le cui azioni in borsa sono oggetto di speculazione. In questo casinò finanziario, i guadagni possono essere ancora più veloci e più grandi che nella vendita di vaccini.
I sistemi sanitari sono sopraffatti e i morti si accumulano. Ma non è il virus a essere più mortale, ma questa organizzazione sociale dove prevale la guerra economica tra le imprese e tra gli Stati che le sostengono, e un parassitismo finanziario che arricchisce una minuscola minoranza a spese dell’immensa maggioranza della popolazione. Questo non può che suscitare disgusto.
Intervistata all’inizio dell’epidemia, un anno fa, durante un programma sulla corsa al vaccino, l’economista Sylvie Matelly ha dichiarato che una messa in comune delle ricerche di tutti i laboratori del mondo e di tutte le capacità di produzione sarebbe formidabile ma rimane un “dolce sogno“. Purtroppo, si tratta di un pronostico realistico e scontato. Perché è evidente che fin quando dominerà la proprietà privata dei mezzi di produzione, l’umanità dovrà affrontare un vero e proprio incubo.