DettagliScritto da Antonio Rei
Giuseppe Conte finge di avere la situazione sotto controllo, ma la gestazione del nuovo Movimento 5 Stelle si sta rivelando molto più difficile del previsto. In realtà, la fase di ricostruzione non è nemmeno cominciata: ci sono ancora le macerie del passato da levare di mezzo. E sono parecchie. Prima di diventare leader di una nuova forza politica progressista, l’ex Premier deve risolvere una serie di guai che si articolano su due piani: uno economico, l’altro politico.
Iniziamo dai soldi, che, come sempre, rappresentano la questione più spinosa. Davide Casaleggio chiede agli eletti circa 450mila euro di quote non versate a Rousseau. Che questi soldi gli spettino davvero è tutto da dimostrare, perché tra la Fondazione e il Movimento non c’è mai stato alcun contratto. I pagamenti di senatori e deputati a Rousseau sono previsti dallo statuto pentastellato, ma dal punto di vista della legge si inquadrano come “elargizioni liberali”. In teoria, quindi, non c’è alcun obbligo di versamento.
Il problema è che la Fondazione custodisce un tesoro inestimabile per il Movimento, ovvero i dati degli iscritti. Anche su questo fronte la situazione è più che mai anomala, visto che – sempre per legge, e sempre in teoria – i nomi degli iscritti a un partito appartengono agli organi del partito stesso. Nel caso del Movimento 5 Stelle, la lista dei nominativi è in mano a Casaleggio Jr, che ha intenzione di cederla ai vertici pentastellati solo quando le sue pretese economiche saranno soddisfatte.
Il figlio di Gian Roberto, però, sa benissimo che la sua posizione non è affatto granitica sotto il profilo legale, perciò alza la polvere nell’arena tirando in mezzo questioni politiche che nulla hanno a che vedere con i soldi. E dice che consegnerà la lista degli iscritti solo quando il Movimento avrà una guida che lui riconosce come tale.
Arriviamo così alla seconda matassa che Conte deve sbrogliare. Poco prima che l’ex Premier si proclamasse leader in pectore dei pentastellati, gli iscritti avevano votato un cambiamento di statuto per sopprimere la figura del capo politico e creare un organo di governo collegiale. Una modifica di cui si parlava da anni per evitare scissioni, ma che è arrivata troppo tardi, quando ormai le spaccature nel Movimento si erano consumate.
Il risultato è stato paradossale. Il capo politico uscente, Vito Crimi, per un po’ ha provato a fare il reggente pro tempore, ma è stato costretto a rinunciare perché la sua autorità non è stata riconosciuta da nessuno. Né dagli espulsi/fuoriusciti, che pretendono l’elezione dell’organo collegiale, né dai superstiti nel recinto grillino, che ora vogliono archiviare l’assurdità di una guida a più voci e imboccare la nuova strada indicata da Conte. A dirimere la questione potrebbe essere la Corte d’Appello di Cagliari, che questa settimana – per risolvere una bega locale – dovrebbe stabilire se Crimi è ancora in carica oppure se il Movimento a questo punto è obbligato a eleggere i cinque membri del nuovo direttorio.
Come se ne esce? Nella notte tra giovedì e venerdì scorso, incontrando i presidenti e i capigruppo in commissione del Movimento 5 Stelle, Conte ha assicurato che si va verso un “divorzio consensuale” con Rousseau. Il compromesso consisterebbe nel pagamento di una parte dei soldi reclamati da Casaleggio in cambio della lista degli iscritti. La piattaforma, inoltre, dovrebbe accettare di ospitare un’ultima consultazione (al momento, l’utilizzo di altre infrastrutture è proibito dallo statuto) per varare le nuove regole e permettere al Movimento di avviare la rifondazione.
Non è detto che il piano funzioni, perché nel frattempo Conte deve guardarsi anche dai parlamentari che stanno ancora con lui. Molti di loro – a ragione – sospettano che l’ex Premier voglia creare un partito del tutto nuovo, con liste di sua compilazione. Il che significherebbe per molti degli attuali deputati e senatori la certezza di non essere ricandidati, visto che nel frattempo hanno avuto anche l’astuzia di tagliarsi da soli le poltrone. E poi c’è sempre la regola dei due mandati, che tutti odiano ma nessuno ha il coraggio di toccare. Per tutte queste ragioni, nuovi divorzi potrebbero arrivare a breve. E quasi di sicuro non saranno consensuali.
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