Iván Duque Márquez, quarantaquattrenne presidente della Colombia, ha provato fino all’ultimo a forzare la mano per far approvare la sua riforma tributaria, ma alla fine il delfino dell’eminenza grigia Álvaro Uribe Vélez – capo di Stato dal 2002 al 2010 – ha dovuto cedere di fronte alle proteste che si sono svolte per giorni nelle strade delle principali città del Paese. Ciò rappresenta una storica sconfitta per la destra colombiana, che nelle sue varie forme ha dominato la politica nazionale per decenni.
Nonostante la chiara opposizione del popolo, ancora giovedì scorso il presidente Duque sembrava intenzionato a procedere, tant’è che il capo di Stato aveva ratificato la riforma proposta dall’esecutivo. Lo stesso presidente aveva affermato che ritirare il progetto avrebbe rappresentato una grande incertezza nel settore finanziario della Colombia: “Parlare di un ritiro quando c’è la possibilità di apportare una modifica totale, se si vuole, al Congresso, genererebbe una grande incertezza finanziaria ed economica con effetti negativi“, aveva detto, dimostrando come i suoi unici interessi siano quelli di fare i comodi della grande borghesia finanziaria.
In realtà, la destra colombiana stava cercando di approvare una riforma che avrebbe rappresentato un nuovo duro colpo per la classe lavoratrice, prevedendo l’aumento dell’IVA fino al 19% sui servizi pubblici come l’energia, le fognature e il gas domestico. La riforma prevedeva inoltre ulteriori tassazioni come quella sui servizi funebri. Secondo molti, poi, la riforma avrebbe anche aperto una strada all’aumento dell’IVA su beni di prima necessità come quelli alimentari, al punto che l’opposizione ha parlato di una “tassa sul cibo”. Il fine della riforma sarebbe stato quello di garantire un introito di 24 miliardi di pesos (6,4 miliardi di dollari) alle casse dello Stato.
Le tempistiche, per Duque, sono state del tutto errate. Le proteste avevano già avuto inizio mercoledì, ma l’approvazione del progetto di legge da parte del presidente nella giornata di venerdì, proprio alla vigilia del 1° maggio, si è rivelato un vero e proprio autogoal: l’opposizione di sinistra e le organizzazioni dei lavoratori hanno infatti approfittato di questa ricorrenza per intensificare la lotta contro la riforma fiscale. Il Comitato nazionale per la disoccupazione ha dichiarato che l’unico modo per fermare le manifestazioni sarebbe stato il ritiro completo della riforma fiscale sia da parte dell’esecutivo che del legislativo. La stessa organizzazione ha esortato il governo a concentrarsi su altre tematiche più urgenti, come l’aumento dei crimini contro i leader sociali, i femminicidi e le vittime del Covid-19.
Il 1° maggio è stato dunque trasformato in una grande manifestazione di protesta nazionale in tutte le principali città del Paese, nonostante molti governatori provinciali vicini al presidente Duque avessero deciso di inasprire le leggi sul coprifuoco proprio per prevenire questi avvenimenti ed impedire all’opposizione di organizzarsi. Anche le forze dell’ordine hanno duramente represso i manifestanti, mostrando il vero volto del governo di destra della Colombia.
“Esprimiamo la nostra preoccupazione per la situazione di violenza che sta colpendo la Colombia e per gli eccessi ingiustificabili nell’uso della forza che minano le garanzie e le libertà inerenti alla democrazia e allo Stato di diritto. La protesta sociale è un diritto di tutti i cittadini“, hanno affermato i rappresentanti del Gruppo di Puebla, nel quale convergono diverse organizzazioni e leader progressisti dell’America Latina. “Respingiamo l’appello sconsiderato e irresponsabile dei leader di destra ai membri della Forza Pubblica di usare indiscriminatamente le loro armi contro la popolazione civile che sta facendo uso del suo legittimo diritto di rivendicare i propri diritti nelle strade“, si legge nel comunicato del Gruppo.
Nonostante le imponenti manifestazioni del 1° maggio, ancora nella giornata successiva il presidente Duque sembrava intenzionato a proseguire sulla sua strada, incurante delle proteste della popolazione. Sabato, il capo di Stato ha ordinato un’ulteriore militarizzazione delle principali città per controllare e reprimere le manifestazioni contro la riforma fiscale. Il pugno duro utilizzato da Duque ha portato solamente ad un ulteriore inasprimento degli scontri tra militari e manifestanti: gli incidenti più gravi si sono verificati soprattutto a Cali, dove alle proteste contro la riforma fiscale si sono unite quelle per la morte di Marcelo Ágredo, sedicenne ucciso dalla polizia il mercoledì precedente. In totale, tra mercoledì e domenica la città di Cali ha registrato per dieci morti nel corso delle rimostranze contro Duque.
Solamente nel pomeriggio di domenica, al quinto giorno di proteste in tutto il Paese, il capo di Stato ha finalmente annunciato il ritiro del progetto di legge per la riforma fiscale. “Chiedo al Congresso della Repubblica di ritirare il progetto presentato dal Ministero delle Finanze e di elaborare con urgenza un nuovo progetto frutto del consenso, evitando così l’incertezza finanziaria“, ha detto Duque in una dichiarazione rilasciata dalla Casa de Nariño, residenza ufficiale del presidente colombiano.
Nel suo discorso, il presidente non ha fatto nessun riferimento ai cinque giorni di proteste in varie città della Colombia o agli atti repressivi contro i manifestanti nel corso mobilitazioni, che hanno causato la morte di ventuno di persone, di cui, come detto, dieci nella sola Cali. Tuttavia, appare evidente come il passo indietro di Duque rappresenti una vittoria delle masse lavoratrici e delle classi sociali più povere contro la repressione e le politiche antipopolari del governo di destra.
Il bilancio dei cinque giorni di protesta resta comunque gravissimo. Oltre ai morti, si sono registrati almeno 208 feriti, diciotto dei quali con lesioni agli occhi. Allo stesso modo, sono stati segnalati 503 detenuti arbitrariamente tra il 28 aprile e il 1° maggio e quarantadue abusi e attacchi a difensori dei diritti umani e giornalisti indipendenti. Inoltre, le organizzazioni per la difesa dei diritti umani in Colombia hanno segnalato anche atti di violenza sessuale e di genere da parte delle forze dell’ordine.
A farsi portavoce delle proteste popolari è stato il senatore Gustavo Petro, leader dell’opposizione di sinistra, che ha puntato il dito contro il presidente Duque, ritenendolo responsabile delle vittime della polizia e della repressione militare contro i manifestanti. “Duque, sei responsabile di questo omicidio. Credi che gli investitori e le agenzie di rating del rischio rimangano calmi? Ti sbagli. Non è militarizzando le città e scatenando la morte che farai ripartire le imprese. Ascolta il grido di questa madre“, ha scritto Petro sui social network, condividendo il video di una madre il cui figlio è rimasto ucciso nel corso degli scontri con la polizia.
Il ritiro della riforma da parte di Duque non ha comunque placato l’ira popolare: le organizzazioni che hanno dato vita alle proteste hanno infatti chiesto al governo di non approvare nessun tipo di riforma fiscale, mentre il presidente, come si evince dalle sue dichiarazioni, sembra comunque intenzionato a presentare un nuovo progetto di legge su questo tema.
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Giulio Chinappi – World Politics Blog