Le proteste iniziate negli ultimi giorni del mese di aprile in Colombia non accennano a fermarsi, anche dopo che il presidente Iván Duque Márquez ha annunciato il ritiro del progetto di riforma fiscale che aveva suscitato le ire dei cittadini. Duque pensava probabilmente che con questa mossa le acque si sarebbero calmate, ma aveva già annunciato di voler presentare un testo modificato per intervenire ugualmente in ambito fiscale. Le organizzazioni dell’opposizione, al contrario, chiedevano di ritirare qualsiasi tipo di progetto di riforma in materia fiscale. Neppure le dimissioni del ministro delle Finanze, Alberto Carrasquilla, sono bastate per placare le ire dei colombiani.
L’epicentro delle proteste è stata soprattutto la città di Cali, la terza del Paese per numero di abitanti, ma la più importante dal punto di vista economico, industriale e finanziario. Il capoluogo del dipartimento di Valle del Cauca è stato in effetti teatro di duri scontri tra le forze dell’ordine ed i manifestanti. Nelle ultime ore, alcuni cittadini hanno addirittura denunciato attraverso i social network che la polizia avrebbe aperto il fuoco contro i cortei di protesta, causando il ferimento di due persone.
Sebbene il comandante della polizia metropolitana di Cali, il generale Juan Carlos Rodríguez, abbia tentanto di smentire questa notizia, i rappresentanti politici dell’opposizione hanno immediatamente puntato il dito contro il presidente di destra, che nei giorni precedenti aveva anche mobilitato l’esercito per sedare le proteste. Il senatore Wilson Arias, del partito progressista Polo Democrático Alternativo (PDA), ha denunciato che lo Stato starebbe per acquistare armamenti per il valore di oltre 14 miliardi di pesos (3,7 milioni di dollari). Arias ha fatto notare come l’ordine di acquisto sia partito nel marzo del 2021, proprio mentre il governo di Duque dichiarava la necessità di effettuare la riforma fiscale per rimpinguare le casse dello Stato.
Secondo le organizzazioni che sostengono la protesta, dall’inizio dello sciopero nazionale ci sono stati 934 arresti arbitrari, 1.728 casi di violenza della polizia e 234 vittime di violenza fisica. Inoltre, il movimento delle vittime dei crimini di Stato conta 379 persone scomparse dall’inizio delle manifestazioni, il 28 aprile. I dati parlano anche di 37 persone rimaste uccise, 26 con gravi lesioni agli occhi 98 casi di sparatorie con arma da fuoco da parte di agenti di polizia e 11 vittime di violenza sessuale.
Il senatore Iván Cepeda, leader del PDA, ha fatto sapere giovedì che invierà alla Corte penale internazionale un rapporto sulla responsabilità del presidente della Colombia, Iván Duque, sulle violenze registrate in occasione delle proteste che hanno avuto luogo nel Paese. In collaborazione con varie organizzazioni della società civile, Cepeda ha dichiarato che “invieremo una comunicazione alla Corte penale internazionale per segnalare l’eventuale responsabilità del presidente Iván Duque, dell’ex presidente Álvaro Uribe, del ministro della Difesa Diego Molano, e dei generali Eduardo Enrique Zapateiro e Jorge Luis Vargas per crimini contro l’umanità commessi in occasione dello sciopero nazionale“.
Il riferimento all’ex presidente Álvaro Uribe non è affatto casuale: in carica dal 2002 al 2010, Uribe è considerato come il mentore dell’attuale capo di Stato, e secondo molti è ancora lui il vero uomo forte della politica colombiana. Cepeda ha anche ricordato che “sotto i governi di Uribe sono stati perpetrati massicci crimini contro l’umanità contro i giovani”. Inoltre, con le sue parole, l’ex presidente avrebbe istigato le forze dell’ordine all’uso della violenza contro i manifestanti: “Al 4 maggio si sono verificati almeno 17 omicidi e 42 persone sono rimaste ferite, per lo più giovani, in seguito alla chiamata di Uribe all’uso delle armi da parte delle forze di polizia. Hanno anche sparato contro i difensori dei diritti umani e gli osservatori delle Nazioni Unite”, ha scritto Cepeda sui propri social network.
Le violenze degli scontri in Colombia hanno raggiunto un livello tale da allarmare anche gli altri Paesi della regione. Il Gruppo di Puebla, che riunisce importanti esponenti progressisti della regione latinoamericana, ha pubblicato questo giovedì una nota relativa all’incontro tenuto dall’ex presidente della Colombia, Ernesto Samper Pizano, e dai senatori della repubblica Iván Cepeda e Antonio Sanguino, del Partido Alianza Verde, che hanno fatto il punto sulla crisi dei diritti umani nel Paese.
Il presidente argentino Alberto Fernández ha a sua volta espresso la sua preoccupazione per la repressione in Colombia, che ha definito violenza istituzionale: “Con preoccupazione, osservo la repressione scatenata contro le proteste sociali avvenute in Colombia. Prego che il popolo colombiano possa riprendere la pace sociale”, ha scritto il capo di Stato attraverso i social network, esortando il governo di Duque a porre fine alle violenze.
Anche l’ex presidente boliviano Evo Morales è intervenuto sull’argomento, analizzando la situazione come un’opportunità per generare cambiamenti strutturali nella nazione. Morales ha poi invitato le organizzazioni internazionali a intervenire nella situazione al fine di fermare la violenza.
António Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, ha invitato le autorità colombiane a usare la moderazione. “Il segretario generale sta seguendo la situazione in Colombia con grande preoccupazione, comprese le violenze che abbiamo visto, le violazioni dei diritti umani segnalate nel contesto di queste proteste“, ha detto il portavoce delle Nazioni Unite, Stéphane Dujarric. Secondo il funzionario francese, il segretario generale dell’organizzazione ha esortato tutti gli attori ad astenersi dal commettere atti di violenza e cercare una soluzione pacifica alle sfide che il Paese deve affrontare.
Altre note ufficiali sugli avvenimenti che stanno avendo luogo in Colombia sono state pubblicate dalle istituzioni di Francia, Cile, Costa Rica, Uruguay, Cuba, Spagna, Australia, Germania e Regno Unito.
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