Certo, Biden oggi appare come il salvatore di una umanità vessata dalla spietata logica capitalistica della concorrenza sui mercati, tanto che, per guardare a sinistra, molti che un tempo guardavano ad Est, oggi voltano il capo verso ovest. La mossa dell’amministrazione statunitense è tanto intelligente quanto importante, questo è fuori di dubbio: è la buona gestione politica su una avidità economica che trova un terreno fertile di cinica espansione nei momenti di tragedia universale, di una emergenza che prende le dimensioni così globali e planetarie da non escludere niente e nessuno dalle conseguenze che provoca tanto nell’immediato quanto nel più lungo periodo.

Joe Biden e il suo governo non muovono un attacco politico – istituzionale alla proprietà intellettuale (e materiale) delle grandi case farmaceutiche in possesso dei brevetti sui vaccini anti-Covid19. Nessuna espropriazione degli espropriatori e nemmeno nessuna abolizione permanente dei brevetti: solamente temporanea, anche se è già qualcosa. Soprattutto se proviene dal paese simbolo, emblema e prima immanenza del liberismo sfrenato, dell’altissima concentrazione finanziaria e della massima difesa degli interessi del capitale, anche (e soprattutto) con guerre “umanitarie“.

Dal sovranismo QAnonista di Trump al timido progressismo (meramente anti-conservatore e niente affatto tacciabile, nel bene e nel male, di “socialismo“) della nuova amministrazione democratica: un passo che si allunga sempre più in un’America che pareva ormai preda delle pulsioni egoisticamente autarchiche di una primazia esclusivista che tuonava ferocemente: «America first!», dopo aver fallito nell’aver promesso di rifarla grande.

A meno che non si intendesse di restaurare un revanchismo sciovinista, tutte le peggiori pulsioni kukluxkiane (mai veramente sopite) o ancora la fondazione di un asse strategico con i peggiori sovranisti mondiali dediti alla discriminazione economica, razziale, sociale e intellettuale. In quel caso gli abietti obiettivi di Trump sono stati raggiunti in certe fasi della sua presidenza, mentre in altre sono stati clamorosamente fermati da ondate di proteste che hanno dimostrato il volto di due Americhe ben distinte e contrapposte.

Biden, dopo i primi cento giorni di presenza alla Casa Bianca, mostra un certo coraggio ma – si badi bene – contestuale al mercato stesso: la nave cambia rotta ma naviga nello stesso mare capitalistico e iperliberista. I segnali incoraggianti ci sono e appaiono tali perché dagli USA ci si attende sempre, forse anche un po’ pregiudizialmente (perché storicamente è così), una correzione conservatrice in chiave economica, un riportare l’ago della bussola sulla direzione dettata dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale.

Invece, potere della pandemia, Biden si rende conto (forse, pure, intuisce, chissà…) che per salvare la grande potenza americana, per non farla crollare nella depressione economica, non ci può salvare da soli e che gli Stati Uniti devono farsi promotori di una generosità ad ampio spettro, cosicché le dinamiche di Wall Street da un lato e quelle del WTO dall’altro possano tornare ad essere virtuose, a relazionarsi con gli altri paesi e con le loro organizzazioni sovranazionali in modo tale da garantire al liberismo mondiale un recupero in quanto a stabilità finanziaria, a gestione delle grandi produzioni di merci.

Insomma, per fare consentire all’America di gareggiare a pieno titolo con la Cina nella competizione per il trofeo di “Prima potenza mondiale del secolo” occorre adoperare un po’ intelligenza, di scaltrezza e osare rompere qualche schema predefinito, aprire qualche porta inviolabile: come quella dei brevetti sui vaccini e, in generale, sui medicinali.

Non si arriverà a tanto, ossia a dichiarare patrimonio dell’umanità ogni prodotto della scienza medica, perché questo esigerebbe la pubblicizzazione (come minimo) delle grandi aziende farmaceutiche mondiali e nazionali; ma che si metta in discussione un principio granitico sulla proprietà privata intellettuale, sul rapporto tra prevalenza delle ragioni del mercato rispetto a quelle del benessere sociale e collettivo, quindi anche singolo.

La presunta filantropia e il presunto nuovo umanesimo degli USA, che affrettati commentatori sono pronti ad aggiungere all’aggiornamento dell’agiografia del presidente Biden e del nuovo corso americano, altro non sono se non un calcolo prima di tutto economico, poi anche politico. Questo inevitabile lato della vicenda, non toglie nulla alla convinzione che Biden può avere (e certamente ha) in merito alla giustezza riguardante la necessità di sospendere temporaneamente i brevetti sui vaccini per consentire una vera vaccinazione su scala mondiale, equilibrata e armonica in tutti i continenti.

Ma siccome non siamo oltre il capitalismo, deve poter essere altrettanto evidente che l’amministrazione della Repubblica stellata non fa niente per niente. Implementare le produzioni di vaccini in India e Sudafrica vuol prima di tutto dire fare una politica di condizionamento dei rapporti interstatali in due zone vaste del pianeta dove proprio la Cina sta espandendo i propri interessi economici e commerciali.

In sostanza, questo è un appello a non crearsi false speranze, a non ritenere che d’un tratto gli USA e i democratici siano divenuti dei socialisti alla Bernie Sanders: non vi è dubbio che una certa influenza sulla presidenza l’abbia esercitata anche la parte più di sinistra del partito dell’Asinello, indipendenti compresi. Ma commetteremmo un grossolano errore di valutazione se, come sinistra e come comunisti, individuassimo nell’azione politica del governo americano la costruzione di un fronte contro il capitalismo liberista.

La moderazione è riformismo e viceversa, ma è anche oculatezza e opportuna circospezione, per ristabilire una “pace sociale” che, col protrarsi dei tempi e con l’alternarsi delle fortune dei mercati, finisce per non modificare radicalmente le condizioni degli strati più poveri della popolazione. La moderazione è compromesso, il sovranismo è compromissione senza freni alcuni, anzi è incentivo politico per una esagerata protezione dei profitti a tutto scapito dei salari, delle pensioni e di ogni altra forma di garanzia sociale.

Dunque, bene Biden, ma le lotte contro la proprietà privata delle grandi scoperte scientifiche continua e non è separabile dall’altra lotta che le è uguale e che la comprende: quella per l’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione, per il superamento del capitalismo. E’ volare alto, sì. Ma stando bassi si rischia sempre di andarsi a sfracellare da qualche parte… Del resto, in America le occasioni non mancano nemmeno a grandi altezze, visti i grattacieli di New York e di Washington. Attenzione, prudenza e pure risolutezza e lotta.

Non accontentiamoci mai. Non speriamo che Biden sia il “padre” di una rivoluzione americana sociale. Rischieremmo di deificarlo laicamente, distraendoci dagli obiettivi di una sinistra di alternativa che anche negli USA coglie le buone opportunità offerte da cambiamenti politici immediati ma conserva una visione prospettiva più ampia e profonda. Psicologicamente abbiamo bisogno di nuove figure leaderistiche, di guide, di aggrapparci a qualcosa, a qualcuno. Ma è deleterio perché ci consegna alla mera illusione e tradisce la realtà delle nostre singole vite e della collettività. Scriveva Freud: «In ultima analisi il dio non è altro che un padre a livello più alto».

Anche un presidente può diventare un dio, soprattutto se, dopo i disastri neofascisti e sovranisti di Trump, anche la più ragionevole delle riforme pare essere l’incipit di una rivoluzione…

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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