La furia distruttrice del governo sionista israeliano si sta abbattendo in queste ore sulla Palestina, causando morte e distruzione. Il conteggio di ferimenti e decessi continua ad aumentare mentre scriviamo, e non siamo qui per fare la cronaca dell’ultima ora sul triste bilancio. Né tanto meno ci soffermeremo sul casus belli che ha dato il via agli scontri, che come sempre risulta essere poco più di uno specchietto per le allodole da dare in pasto all’opinione pubblica.
Appare molto più interessante, invece, discettare su come – casualmente? – il riacutizzarsi del conflitto israelo-palestinese in questo momento giovi proprio al primo ministro sionista Benjamin Netanyahu. Come abbiamo avuto modo di sottolineare diverse volte nei nostri articoli, infatti, Israele si trova in una crisi politica senza precedenti da circa due anni, e rischia di dover andare per la quinta volta consecutiva alle elezioni senza essere in grado di trovare una maggioranza di governo stabile.
Cosa c’entra questo con le operazioni belliche antipalestinesi? Ebbene, di recente il presidente Reuven Rivlin ha assegnato l’incarico di formare il nuovo governo al leader dell’opposizione, Yair Lapid, che sembrava in procinto di dare vita ad una maggioranza con l’esclusione di Netanyahu e del suo partito, il Likud (“Consolidamento”). Ciò avrebbe rappresentato un doppio duro colpo per Bibi, escluso dal governo del Paese dopo dodici anni di potere incontrastato e probabilmente costretto a sottoporsi finalmente ai procedimenti giudiziari a suo carico.
I bombardamenti dei territori palestinesi sono arrivati proprio nel momento più propizio per il premier isreaeliano, visto che Lapid stava cercando di coinvolgere la Lista Araba Unita (in arabo al-Qā’ima al-‘Arabiyya al-Muwaḥḥada; in ebraico HaReshima HaAravit HaMe’uhedet), meglio nota come Ra’am, nella formazione del nuovo governo. Con i suoi quattro seggi, il partito arabo avrebbe permesso a Lapid di ottenere la maggioranza dei voti della Knesset, il parlamento unicamerale israeliano, ma ora Mansour Abbas, leader della Lista Araba Unita, sembra decisamente meno propenso a partecipare alla formazione del governo di un Paese che sta operando un vero e proprio massacro dei palestinesi.
Oltre a rendere più difficile la formazione di un nuovo governo per mano di Lapid, Netanyahu sta anche raccogliendo le simpatie della destra sionista più estrema. Mostrando il pugno duro contro i palestinesi, Bibi sta di fatto facendo campagna elettorale in vista di una possibile quinta tornata consecutiva, nella quale spera di ottenere i consensi delle frange estremiste.
Non dimentichiamo, poi, che il prossimo 2 giugno la Knesset sarà chiamata anche ad eleggere il nuovo presidente del Paese, visto che il mandato settennale di Reuven Rivlin è prossimo alla scadenza. Con Rivlin impossibilitato a ricandidarsi per via dei dettami costituzionali, Netanyahu spera di imporre un nuovo capo di Stato proveniente dalle fila del suo partito. Secondo molti, il candidato scelto da Netanyahu sarebbe Yehudah Glick, parlamentare del Likud tra il 2016 ed il 2019.
L’attuale situazione bellica ha avuto una forte influenza anche sulla politica palestinese, infatti ha portato al rinvio delle elezioni previste per il 22 maggio, come annunciato dal presidente dello Stato di Palestina, Maḥmūd ʿAbbās. Come accade per Israele, anche fra i palestinesi i momenti di maggiore scontro portano ad una radicalizzazione delle posizioni politiche, dunque c’è da pensare che ʿAbbās, oltre a voler effettivamente garantire la partecipazione dei cittadini di Gerusalemme Est come dichiarato, tema una nuova vittoria elettorale di Ḥamās (Harakat al-Muqāwamah al-ʾIslāmiyyah, ovvero Movimento di Resistenza Islamica) ai danni del suo partito, al-Fatḥ (“la Conquista”, generalmente riportato come Fatah dalla stampa occidentale).
Sulla questione sono intervenute anche le Nazioni Unite, che non hanno potuto far altro che condannare il sionismo israeliano, chiedendo al governo di Tel Aviv di sospendere gli sgomberi dei residenti palestinesi nel quartiere di Sheikh Jarrah, che in base al diritto internazionale appartiene al territorio palestinese in quanto incluso in quella che viene definita Gerusalemme Est. Secondo il parere dell’ONU, Israele sta perpetrando un crimine di guerra e una violazione del diritto umanitario. Per il portavoce dell’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Rupert Colville, “Gerusalemme est fa parte dei territori palestinesi occupati, in cui si applica il diritto umanitario“, e dunque “la potenza occupante deve rispettare e non confiscare la proprietà privata“. Colville ha ancora aggiunto che “Israele non può imporre le sue leggi nei territori occupati, compresa Gerusalemme Est, per espellere i palestinesi dalle loro case“, poiché ciò è espressamente proibito dal diritto umanitario.
Da parte sua, l’Autorità Nazionale Palestinese ha chiesto alla Corte penale internazionale di riconoscere lo sgombero delle famiglie come un crimine di guerra. Il presidente Maḥmūd ʿAbbās ha poi chiesto all’ambasciatore palestinese presso le Nazioni Unite, Riyad Mansour, di richiedere una riunione del Consiglio di sicurezza dell’organizzazione internazionale per discutere la situazione a Gerusalemme.
Anche la Lega Araba ha condannato in un comunicato ufficiale le azioni delle forze di sicurezza israeliane e, nelle parole del suo Segretario generale, l’egiziano Ahmed Aboul Gheit, ha ritenuto che “questo attacco provoca i sentimenti dei musulmani in tutto il mondo” e “può causare un’esplosione della situazione nei territori occupati“.
Condanne delle azioni israeliane sono arrivate parimenti da molti governi del mondo. Il portavoce del ministero degli Affari Esteri della Repubblica Islamica dell’Iran, Said Jatibzade, ha affermato che “questo crimine di guerra ha dimostrato ancora una volta al mondo intero la natura criminale del regime sionista illegittimo e la necessità di un’azione internazionale urgente, per fermare la violazione del principi fondamentali del diritto internazionale umanitario“. Il ministero degli Esteri della Federazione Russa ha invece fatto sapere che “Mosca è profondamente preoccupata per l’evoluzione degli eventi. Condanniamo fermamente gli attacchi contro i civili. Esortiamo le parti ad astenersi da qualsiasi misura che possa aumentare l’escalation della violenza“. Infine, il ministro degli Esteri venezuelano Jorge Arreaza ha ricordato che gli attacchi costituiscono una grave violazione dei diritti umani del popolo palestinese, ribadendo il sostegno della Repubblica Bolivariana del Venezuela alla sovranità, indipendenza e autodeterminazione del popolo palestinese: “Il mondo deve chiedere la fine di questa nuova fase di violenza sionista contro il popolo palestinese“.
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Giulio Chinappi – World Politics Blog