Il 30 ottobre 2014 decine di migliaia di manifestanti invadevano le strade delle città del Burkina Faso, assaltando il parlamento e i palazzi del potere per rovesciare il governo del presidente Blaise Compaoré. Ad accendere la miccia, il progetto di revisione costituzionale che avrebbe accordato a Compaoré la possibilità di ripresentarsi per un altro mandato presidenziale, dopo 27 anni di ininterrotto potere. Dopo giorni di forti scontri e proteste, Compaoré si vedeva obbligato alle dimissioni per poi darsi alla fuga; veniva esfiltrato in extremis dal paese dalle forze speciali francesi, trovando rifugio in Costa d’Avorio, mentre le piazze festeggiavano la sua caduta inneggiando a Thomas Sankara[1].
Perché Sankara? Thomas Sankara fu presidente del Burkina Faso dal 1983 al 1987, militare rivoluzionario e socialista, assassinato durante il colpo di stato guidato proprio da Compaoré in accordo con le potenze imperialiste. Da allora, nonostante la tragica fine, è diventato un’autentica icona rivoluzionaria e un punto di riferimento per la gioventù africana e per i comunisti e antimperialisti del mondo intero. Figura sempre più popolare, vale la pena approfondirne la vicenda e, attraverso questa, la rivoluzione burkinabé, evento che condusse un popolo povero e colonizzato a rialzare la testa di fronte all’oppressione imperialista. Non solo per una sia pur legittima curiosità storica, bensì anche al fine di capire cosa tale rivoluzione ci dice ancor oggi.
Colonialismo e decolonizzazione
Il Burkina Faso è un piccolo paese dell’Africa occidentale (venti milioni di abitanti oggi, 8 milioni negli anni ’80). Fino al 1983 era chiamato Alto Volta, nome assegnatogli dai colonizzatori francesi. Se il paese conseguì la sua indipendenza formale nel 1960, i diversi regimi succedutisi dall’indipendenza fino alla rivoluzione dell’agosto 1983 non rimettevano in questione il sistema neocoloniale, caratterizzato dalla implicita sottomissione geopolitica alla Francia, potenza coloniale storica nella regione, ed economica ai diktat (prestiti) del FMI e della Banca Mondiale, istituzioni emanazione dell’imperialismo occidentale e del capitale finanziario di cui è garante. Di conseguenza, come molti altri popoli coloniali, la stragrande maggioranza della popolazione, parliamo del 90% almeno, viveva nella povertà e nell’analfabetismo; tutti fattori che rendevano l’Alto Volta uno dei paesi più poveri al mondo.
Agli inizi degli anni ’80 l’Alto Volta attraversava una gravissima crisi finanziaria e politica, con un susseguirsi di colpi di stato. I militari costituivano, infatti, un elemento fondamentale della dialettica politica del paese, e la lotta per l’emancipazione si svolgeva a partire appunto dall’esercito (composto da un’ala progressista legata alle organizzazioni rivoluzionarie e da un’ala più moderata), dai partiti indipendentisti e dai circoli marxisti clandestini. E proprio dalla saldatura di queste correnti sarebbero scaturite le forze principali della rivoluzione, saldatura possibile grazie alle capacità politiche e al carisma di Thomas Sankara, che della frangia più progressista e rivoluzionaria era l’artefice.
Nato nel 1949, accede a una scuola giovanile militare dove grazie a un professore di storia marxista, leader del Partito dell’Indipendenza Africana, forma i suoi primi convincimenti rivoluzionari che, insieme al confronto con la dura esperienza dei privilegi dei francesi, lo aiutano a prendere coscienza dell’ingiustizia coloniale. In seguito parte per il Madagascar, dove trascorse tre anni in una scuola internazionale per ufficiali. È qui che assiste a una rivoluzione anticolonialista, scoprendo il ruolo progressivo che l’esercito può svolgere in simili frangenti.
Al ritorno in patria, decide di dedicarsi alle rivendicazioni sindacali dei suoi commilitoni, per rompere con l’esercito di impostazione coloniale, fino a spingersi a creare una struttura clandestina di soldati rivoluzionari in seno all’esercito, denominata Rassemblement des officier communistes (ROC) – “Gruppo degli ufficiali comunisti” – che costituirà la spina dorsale della resistenza e della futura insurrezione. Thomas Sankara contribuisce personalmente anche alla formazione rivoluzionaria di alcuni di essi. Dopo essersi fatto un nome nella guerra contro il Mali, per alcune azioni eroiche condotte sotto la sua direzione, la sua figura inizia a diventare un punto di riferimento tra i militari e la popolazione. [2]
La rivoluzione
Il 7 novembre 1982, un ennesimo colpo di stato porta al potere il medico militare Jean Baptiste Ouedraogo e in seguito a lotte politiche interne all’esercito – la cui gerarchia vuole approfittare della popolarità di Sankara, il quale però non è d’accordo con la presa del potere che giudica intempestiva e su basi non chiare – il capitano Sankara, nonostante qualche riluttanza, viene nominato primo ministro nel gennaio 1983. Ne approfitta allora per viaggiare all’estero: innanzitutto nella Repubblica democratica popolare di Corea, per stabilire relazioni con altri importanti leader rivoluzionari del terzo mondo, fino a invitare Gheddafi: attirando, perciò, su di sé forti critiche dagli imperialisti, ma anche dall’ala conservatrice dell’esercito. Viene quindi fatto dimettere e messo agli arresti il 17 maggio 1983, giorno in cui non a caso atterra nella capitale Guy Penne, il consigliere per gli Affari africani del presidente francese Mitterand.
Sankara e i suoi commilitoni rifiutano di riconoscere il nuovo governo e Blaise Compaoré si ammutina riuscendo a raggiungere le truppe nella regione di Pô, di cui era comandante, su ordine di Sankara. Nel frattempo grandi manifestazioni della gioventù, su iniziativa del Partito dell’Indipendenza Africana (PAI) e dell’Unione delle lotte comuniste ricostruite (ULCR) si svolgono nella capitale per esigere la liberazione di Sankara, il quale, messo in libertà vigilata, organizza allora la presa del potere in cooperazione con la fazione progressista dell’esercito e i circoli e organizzazioni clandestine civili.
L’azione è fissata per il 4 agosto 1983, giorno nel quale la guarnigione del Pô guidata da Compaoré marcia su Ougadougou, capitale del paese, mentre i civili in armi guidano i militari nella città, forniscono informazioni e facilitano l’entrata delle truppe con azioni di sabotaggio etc. Sankara diventa così presidente dell’Alto Volta, ribattezzato l’anno seguente in Burkina Faso, una parola composta da diverse lingue nazionali (la lingua ufficiale è il francese) che significa “paese degli uomini integri”. Appena preso il potere Sankara invita alla costituzione dei Comitati di Difesa della Rivoluzione, organi nelle città, quartieri e villaggi del nuovo potere rivoluzionario. L’organo centrale di direzione della rivoluzione è il Consiglio Nazionale della Rivoluzione, di cui fanno parte, oltre ai militari, il Partito dell’Indipendenza Africana (PAI) e l’Unione delle lotte comuniste ricostruite (ULCR). È l’atto di nascita del nuovo potere rivoluzionario.
Una rivoluzione per chi e contro chi
Sankara ricorre principalmente alla categorie di “nemici del popolo” e di “imperialismo” per descrivere le forze contro le quali l’azione rivoluzionaria intende scagliarsi, coloro che bloccano lo sviluppo del paese e lo mantengono in stato di asservimento e dipendenza . Nel discorso “Chi sono i nemici del popolo” specifica che essi sono “all’interno e all’esterno”, che bisogna “combatterli e smascherarli”. L’analisi si sviluppa in maniera più approfondita attraverso l’attenta valutazione della composizione sociale del paese nel “Discorso di orientamento politico”, vero e proprio manifesto della rivoluzione, scritto quasi integralmente da Valère Somé, segretario dell’Unione delle lotte comuniste, supervisionato e pronunciato da Sankara e diffuso via radio nell’ottobre dello stesso anno.
Qui si riprende la nozione del “nemico del popolo”, identificandolo in una borghesia nazionale ripartita in tre categorie: la borghesia di stato, cioè il ceto politico-burocratico, la borghesia commerciale e la media borghesia, queste ultime intimamente legate all’imperialismo dal quale traggono forza e ricchezza pur dipendendone, allo stesso modo delle forze retrograde legate al feudalesimo delle campagne, anch’esse avverse al progresso sociale. Queste frazioni della borghesia sono solidali nello sfruttamento del “popolo”:
La nostra rivoluzione sarà per loro la cosa più autoritaria che esista; sarà un atto per il quale il popolo imporrà loro la propria volontà con ogni mezzo di cui dispone e se necessario con le armi
Questo “popolo” è a sua volta definito come l’insieme delle classi sfruttate: una giovane e poco numerosa classe operaia; la piccola borghesia identificata in quel vasto strato instabile e oscillante composto da piccoli commercianti, funzionari, studenti, impiegati del settore privato, artigiani, che nelle situazione data tende a grande maggioranza a schierarsi dalla parte delle masse popolari; i contadini, forza principale della rivoluzione visto il loro gran numero e la struttura economica del paese, essenzialmente agraria; il lumpen proletariato, cioè i declassati e senza occupazione potenziale strumento al soldo della controrivoluzione, ma che la rivoluzione può e deve convertire in ferventi difensori degli interessi popolari.
Sulla base di questa analisi di classe si fonderanno l’operato e i compiti prioritari della rivoluzione, che per Sankara devono essere la liberazione dal giogo imperialista per avviare lo sviluppo socio-economico, indipendente e autonomo, del paese al fine di soddisfare i suoi bisogni primari – in particolare progetti per l’alfabetizzazione di massa, per gli alloggi di qualità, programmi sanitari, un’impressionante campagna di vaccinazioni che giunge a coprire tutti i bambini del paese [3], e la questione della sovranità alimentare. Sotto questi aspetti la rivoluzione consegue successi notevoli: tutti gli indici negli ambiti citati migliorano in maniera esponenziale nel corso dei quattro anni della sua presidenza.
In questo processo rivoluzionario tutti i gruppi sociali devono essere portati a un nuovo livello di mobilitazione e consapevolezza. “Cambiare le mentalità” ereditate dal colonialismo e da un sistema capitalista decadente, spazzare via l’arretratezza in cui la società burkinabé languiva da troppo tempo: la liberazione si vuole totale e profonda, per Sankara deve essere una “trasformazione qualitativa”, un’etica nuova, contro l’alienazione culturale imposta dall’imperialismo.
In questo contesto rientra la costante attenzione portata da Sankara alla questione della liberazione femminile, vero e proprio pilastro della sua azione riformatrice e al centro di innumerevoli discorsi in cui lotta di classe, situazione rivoluzionaria e specificità della condizione delle donne si incrociano:
Dobbiamo sicuramente al materialismo dialettico il fatto di aver gettato sui problemi della condizione femminile una luce più potente, che ci permette di cogliere il problema dello sfruttamento della donna all’interno di un sistema generalizzato di sfruttamento. […] Un uomo, per quanto oppresso sia, trova un essere da opprimere: la sua donna. È purtroppo un’orribile realtà. Quando parliamo dell’ignobile sistema dell’apartheid, è nei riguardi dei neri sfruttati e oppressi che si rivolge il nostro pensiero e la nostra emozione. Ma purtroppo dimentichiamo la donna nera che è succube del suo uomo […] E pensiamo anche alla donna bianca dell’Africa del Sud, aristocratica, materialmente realizzata senza dubbio, ma purtroppo ridotta a macchina di piacere di questi uomini bianchi dissoluti […]
L’emancipazione come la libertà non si concede, si conquista. Spetta alle donne stesse avanzare le proprie rivendicazioni e di mobilitarsi perché abbiano successo [da Thomas Sankara “La liberazione della donna, un’esigenza per il futuro”]
Per Sankara, la rivoluzione democratico-popolare ha il grande pregio di aver precisato gli obiettivi e aperto la strada per lo svolgimento di queste grandi lotte di liberazione e di emancipazione. Gli strumenti di questa trasformazione radicale dell’economia e della società sono i Comitati di Difesa della Rivoluzione: organi di autoeducazione e controllo popolare, strumenti di una democratizzazione del potere attraverso la partecipazione di massa alle decisioni politiche.
La rivoluzione d’agosto presenta un duplice carattere: essa è una rivoluzione democratica e popolare. Ha come compito primordiale la liquidazione del dominio e dello sfruttamento imperialista, sgomberare le campagne da ogni ostacolo sociale, economico e culturale che le mantengono in uno stato di arretratezza. Da qui deriva il suo carattere democratico.
Dal fatto che le masse popolari del Volta prendano parte integralmente a questa rivoluzione, e si mobilitino in conseguenza secondo parole d’ordine democratiche e rivoluzionarie che traducono nei fatti i loro interessi, opposti a quelli delle classi reazionarie alleate all’imperialismo, deriva il suo carattere popolare. Questo carattere popolare della rivoluzione d’agosto risiede anche nel fatto che al posto della vecchia macchina statale si edifica una nuova macchina in grado di garantire l’esercizio democratico del potere dal popolo e per il popolo. [da Thomas Sankara “Discorso di orientamento politico”]
La rivoluzione è risolutamente anti imperialista. Sankara sarà un promotore fervente e appassionato del movimento dei non allineati e attivissimo sull’arena internazionale per promuovere le istanze anticolonaliste dei popoli del “terzo mondo”, i quali rivendicano riconoscimento sulla sfera internazionale, dignità e parità democratica tra le nazioni. È chiara l’ammirazione per Cuba e Fidel Castro, che insieme alla Repubblica democratica popolare di Corea di Kim il Sung, è il paese che più apporterà aiuti al Burkina Faso rivoluzionario.
Liberarsi dall’oppressione imperialista per aprire la strada a uno sviluppo nuovo richiede il ripudio delle armi del neocolonialismo, in particolare del debito, di cui le istituzioni “internazionali” FMI e Banca Mondiale sono promotori, in una logica di assistenzialismo e condizionamento degli “investimenti”: questo il senso profondo della sua celebre proposta di un “fronte unito contro il debito”, contenuta nel suo ultimo discorso all’ONU tre mesi prima di venire assassinato. Una questione che risuona ancor oggi più forte che mai persino nel mondo “ricco e sviluppato”, visti i danni dell’austerità e del debito usato come una clava contro i lavoratori e la masse popolari dei paesi occidentali sottoposti ai brutali programmi di aggiustamento, da un capitale finanziario che non ha timore di portare al collasso persino le società di cui è emanazione per allargare la sfera dei profitti.
Morte di Sankara e conclusione del processo rivoluzionario
Di certo tutto questo era troppo per le forze – interne ed esterne – della conservazione e della reazione. Nel 1987, nonostante le impressionanti realizzazioni della rivoluzione, la situazione politica si fa infatti sempre più tesa. La lotta tra le differenti organizzazioni si è acuita, come riflesso della lotta sociale in corso per ridefinire l’alleanza di classe che dovrà essere alla base dello sviluppo e allargamento della rivoluzione. Sankara vorrebbe rifondare un’alleanza tra contadini (stragrande maggioranza nel paese, beneficiari dei programmi sociali e economici e di diverse iniziative politiche portate avanti per integrarli al processo rivoluzionario), classe operaia e piccola borghesia intellettuale. Ma i rapporti sono tesi, tra CDR e sindacati ad esempio (alcuni sindacalisti erano stati imprigionati per attività controrivoluzionaria), tra fautori dell’unità dei rivoluzionari propugnata da Sankara e i contrari. Inoltre iniziano a emergere i dissensi personali tra Sankara e Compaoré, anche dovuti a idee diverse sulla gestione di alcuni settori ministeriali.
Le contraddizioni della rivoluzione sono insomma ormai alla luce del sole. La questione della creazione di un partito unico dei rivoluzionari, fortemente voluto da Sankara, in grado di raccogliere in una ampia organizzazione tutte le anime che sostenevano la rivoluzione, è rigettata dai partigiani di Compaoré, che si nascondono spesso dietro una retorica ultra-rivoluzionaria e purista. Valère Somé e Sankara sono nel mirino e i loro oppositori ormai in maggioranza nei CDR. Non avendo più le forze per epurare gli elementi ostili, Sankara e il suo gabinetto verranno epurati. Il 15 ottobre 1987 viene assassinato insieme a sette collaboratori durante una riunione governativa. Un colpo di stato guidato da Compaoré, su incitazione dei potentati USA e francesi da sempre ostili a un presidente socialista che intendeva nazionalizzare le risorse a favore dello sviluppo delle classi popolari, ponendosi come capofila dei popoli antimperialisti.
Col pretesto di voler proseguire la rivoluzione emendando “gli errori” di Sankara, Compaoré e la sua cricca hanno messo fine alla rivoluzione, abbracciato il liberalismo economico, firmato la sottomissione ai piani di aggiustamento strutturale di FMI e Banca Mondiale e all’Occidente di cui il Burkina Faso diventerà uno dei migliori alleati. I controrivoluzionari, in sostanza, avallarono tutto ciò contro cui Sankara e i suoi alleati si erano eroicamente opposti, riconducendo, così, il popolo burkinabé nella miseria dalla quale la rivoluzione aveva tentato di tirarli fuori. Questo stato di cose si potrae immutato fino a quando l’insurrezione del 2014 è venuta a deporre i controrivoluzionari e, notizia proprio di questi giorni , finalmente Compaoré è chiamato a rispondere dei suoi crimini dal tribunale militare di Ouagadougou. Purtroppo però, gli imperialisti che lo manovrano non presenzieranno davanti a nessun tribunale, di certo non in quelli di una “giustizia internazionale” sempre zelante quando si tratta di perseguire figure invise alla cupola imperialista a guida USA.[4]
[1] https://www.cairn.info/revue-ballast-2014-1-page-40.htm
[2] https://www.lemonde.fr/afrique/article/2020/01/05/thomas-sankara-l-anti-imperialiste_6024856_3212.html; https://www.lesinrocks.com/actu/bruno-jaffre-thomas-sankara-redonne-sa-dignite-au-peuple-burkinabe-136909-15-10-2017/
[3] https://www.thomassankara.net/souvenirs-de-vaccination-commando-de-abdul-salam-kabore/ ; https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/3699829/
[4] https://twitter.com/BBCAfrica/status/1381948570585153538
Tutte le citazioni dei discorsi sono tratte da: Thomas Sankara, la liberté contre le destin – discours rassemblés et présentés par Bruno Jaffré, Editions Syllepse 2017.