Al mercato. Cartolina umoristica disegnata da Enrico De Seta assieme ad altre ad uso delle truppe italiane dell’ Africa Orientale.
Francesco Cecchini
Cosa è stato combinato in Etiopia durante l’ Impero fascista, proclamato da Benito Mussolini il 9 maggio 1936, smentisce il mito di Italiani brava gente. Basti pensare a Debre Libanos. Tra il 20 e il 29 maggio 1937 ebbe luogo, in Etiopia, il più grave eccidio di cristiani mai avvenuto nel continente africano: nel villaggio monastico di Debre Libanos, il più celebre e popolare santuario del cristianesimo etiopico, furono uccisi circa 2000 tra monaci e pellegrini, ritenuti conniventi con lattentato subito, il 19 febbraio, dal viceré Rodolfo Graziani.
Il colonialismo e le sue malefatte in Libia, Etiopia, Eritrea e Somalia è stato raccontato da storici come Del Boca, ma non è entrato a pieno nel dibattito pubblico nazionale e, quindi, non abbiamo fatto del tutto i conti con il nostro passato coloniale, razzista e militarista. Un paio di esempi tra i tanti. Il 23 ottobre 2006 un piccolo gruppo di deputati ha presentato alla camera una proposta di legge, non approvata, per istituire un Giorno della memoria in ricordo delle vittime africane durante loccupazione coloniale italiana, in riferimento alle centinaia di migliaia di vittime della dominazione. Nel luglio del 2019, recentemente quindi, il Sottosegretario di Stato al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale del Manlio Di Stefano del M5s , ha scritto che … non abbiamo scheletri nellarmadio, non abbiamo una tradizione coloniale, non abbiamo sganciato bombe su nessuno e non abbiamo messo il cappio al collo di nessuna economia. Siamo lItalia e siamo italiani, un popolo abituato a farsi rispettare per la qualità delle nostre merci e delle nostre azioni. Forse ha negato che lItalia sia stato un Paese coloniale perché non ha subìto un processo di Norimberga nonostante sia stato accusato dallONU di aver commesso crimini di guerra su popolazioni civili.
L’ anno scorso è pubblicata da Adelphi è uscita una nuova edizione di Tempo di uccidere di Ennio Flaiano, corredata da un taccuino tenuto dallo scrittore stesso Flaiano stesso, una specie di raccoglitore di appunti per il romanzo futuro. Il romanzo era stato pubblicato da Longanesi nel 1947 e vinse il Premio Strega. Fu fatto anche un film diretto da Giuliano Montaldo.
Leggerlo o rileggerlo può essere l’ occasione per ripensare al nostro passato colonialista.
Copertina di Tempo di uccidere di Ennio Flaiano, edito da Adelphi.
Tempo di uccidere è ambientato nell’ Etiopia dell’ Impero fascista, un’ Africa definita “lo sgabuzzino delle porcherie”, dove gli italiani “vanno a sgranchirsi la coscienza”. Il protagonista è un tenente, senza nome, il cui camion con il quale andava al campo base per farsi curare un mal di denti esce di strada, ribaltandosi. Il tenente decide di proseguire a piede e, camin facendo, si imbatte in un’ etiope che si sta lavando. La donna è nuda con un turbante bianco, segno che ha la lebbra, e al tenente viene voglia di scoparla. Alle africane non si fa l’ amore, ma si scopano. Consumata la voglia sessuale passa la notte con lei. Sparando a un animale ferisce accidentalmente la donna. Per pietà e per egoismo la uccide e la seppelisce come si uciderebbe e sepellirebbe un animale. Si ritrova un taglio alla mano e viene a sapere che le etiopi con in testa un turbante bianco sono lebbrose. Colto dal dubbio, sii reca quindi da un medico per avere informazioni sulla lebbra e leggendo un libro di medicina si convince di essere stato contagiato
Temendo che il medico lo denunci gli spara con una pistola, ma lo sbaglia e fugge, nascondendo la propria idendità al porto di Massaua per imbarcarsi clandestinamente per l’ Italia. Non ha il denaro sufficiente e conosce un maggiore arricchitosi con commerci illegali e lo segue durante uno spostamento su un camion guidato dal maggiore verso l’altipiano. Durante il tragitto lo deruba e sceso a terra, prima di prendere la sua strada, svita il dado che regge una ruota del veicolo, in modo da liberarsi di lui senza possibilità di essere accusato. Il piano però sembra non riuscire e il camion continua la sua corsa, gettando il soldato nella disperazione: non solo la denuncia del medico per tentato omicidio, ora anche quella del maggiore per furto. Decide così di vagare per la boscaglia, trovando rifugio in un piccolo villaggio dove un vecchio àscari, Johannes, ormai solo e stanco rimane per custodire i morti. Lì – dopo un inizio difficile e scontroso – i due iniziano a sopportarsi fino a che il vecchio non curerà le piaghe del soldato, e questo, ormai stanco, deciderà di tornare al comando per costituirsi. Arrivato lì, racconta la sua storia scoprendo che nessuno l’ aveva denunciato, e che essendo la sua licenza scaduta solo da poco, non è da considerarsi disertore. Formalmente non pagherà per le sue azioni, i conti dovrà farli solo con sé stesso, e con gli altri soldati prende mestamente la via del ritorno in Italia, tormentandosi per quelle denunce che si sente di meritare. Sopravvive quindi alla lebbra, ma il dubbio che il tenente possa averla davvero contratta, perché essa “per manifestarsi, richiede a volte dieci o vent’anni”. È dunque un dubbio che il protagonista si porta dentro, o, per dirla con le parole dello stesso Flaiano: “forse non si tratta più di lebbra, si tratta di un male più sottile e invincibile ancora, quello che ci procuriamo quando l’esperienza ci porta cioè a scoprire quello che noi siamo veramente. Io credo che questo sia non soltanto drammatico, ma addirittura tragico”.
Tempo per uccidere è un romanzo coloniale che racconta la colonia Etiopia, di cui ricostruisce lambiente. le contraddizioni e i drammi dell’ occupazione fascista. Andrebbe letto e commentato nelle scuole.
Il tenente e la donna etiope.