La Repubblica del Somaliland è uno Stato dell’Africa orientale che ha proclamato la propria indipendenza il 18 maggio 1991, ma che ancora oggi non è riconosciuto da gran parte della comunità internazionale, che considera quel territorio, abitato da poco più di tre milioni e mezzo di abitanti, come facente parte della Somalia.

Ex protettorato britannico fino al 1960, il Somaliland divenne indipendente congiuntamente con il protettorato italiano della Somalia. Formalmente, nacque uno Stato del Somaliland il 26 giugno del 1960, ma pochi giorni dopo, il 1° luglio, l’ex colonia britannica e l’ex protettorato italiano diedero vita alla Repubblica di Somalia. Il Somaliland, tuttavia, non si allineò mai completamente al governo centrale di Mogadiscio, così negli anni ‘80 venne fondato il Somali National Movement (SNM), un movimento per l’indipendenza del Somaliland.

Dopo aspre battaglie, l’entità autonoma del Somaliland, come detto, dichiarò unilateralmente la propria indipendenza nel maggio del 1991 con il nome di Repubblica del Somaliland. Nessuno Stato della comunità internazionale, tuttavia, riconobbe la nuova entità politica, ed ancora oggi il Somaliland viene considerato come una regione autonoma all’interno della Repubblica Federale di Somalia. La realtà, però, è che il Somaliland ha un proprio governo autonomo, oltretutto ben funzionante rispetto ad altri Paesi della regione, tanto da essere riuscito ad arginare il gruppo estremista islamico Al-Shabaab, che invece continua a mietere vittime in Somalia. Al contrario, la stessa Somalia è oggi considerata come esempio di uno Stato fallito, il cui governo non controlla vaste aree del proprio territorio.

Temendo l’azione dei numerosi gruppi terroristici della regione, ma anche un possibile conflitto con il governo di Mogadiscio, il Somaliland, la cui capitale è Hargeisa, ha impegnato il 70% del proprio budget nazionale nel settore della sicurezza, sacrificando dunque altri settori che sarebbero fondamentali per lo sviluppo del Paese. Il riconoscimento da parte della comunità internazionale, nella speranza del governo locale, potrebbe permettere una diversa allocazione delle risorse nazionali, ma, nonostante ciò, gli standard di vita del Somaliland restano ben più elevati rispetto a quelli registrati nelle aree sotto il controllo di Mogadiscio. E questo nonostante la Somalia abbia accesso, come stato indipendente, agli aiuti internazionali che invece vengono negati ad Hargeisa.

Dal 2003, in Somaliland sono state organizzate tre elezioni presidenziali con cadenza settennale, che hanno visto l’elezione di tre capi di Stato diversi. Attraverso il processo elettorale, infatti, il Somaliland spera di dimostrare i propri sforzi in favore della democrazia, e dunque di guadagnarsi i favori di altri attori della comunità internazionale. Attualmente, tuttavia, nessuno Stato riconosce ufficialmente il Somaliland come indipendente, e solamente sei Paesi dispongono di una sede diplomatica ad Hargeisa: Etiopia, Gibuti, Kenya, Turchia, Emirati Arabi Uniti e Danimarca. Gli Emirati hanno inoltre firmato un importante contratto per sostenere lo sviluppo del porto di Barbera, costruito dai sovietici quando la Somalia di Mohammed Siad Barre era orientata al socialismo, il progetto dovrebbe includere anche un collegamento del porto con l’Etiopia. Altri Paesi intrattengono invece relazioni informali, compresi diversi Paesi europei e gli Stati Uniti. In particolare, il Somaliland ha tentato di stringere legami con l’ex potenza coloniale britannica, richiedendo l’ingresso nel Commonwealth.

Il 31 maggio, per la prima volta dal 2005, il Somaliland ha organizzato le elezioni legislative, congiuntamente a quelle amministrative, che invece si erano svolte per l’ultima volta nel 2012. Alle urne sono stati chiamati tutti i cittadini che abbiano compiuto il quindicesimo anno di età. L’esito delle elezioni ha sorriso al Partito Nazionale del Somaliland, noto come Waddani, una forza che si definisce islamista democratica, che ha ottenuto 31 seggi, uno in più del Partito della Pace, dell’Unità e dello Sviluppo (Kulmiye), una forza centrista che fa capo al presidente Muse Bihi Abdi. La terza forza in campo era il Partito della Giustizia e dello Sviluppo (UCID), formazione di sinistra che ha eletto venti seggi. Waddani ed UCID hanno successivamente annunciato la formazione di una coalizione di governo, escludendo dunque il partito del presidente Abdi.

Tutti i principali esponenti politici hanno espresso la speranza di ottenere maggior considerazione dalla comunità internazionale in seguito allo svolgimento delle elezioni. Il fatto che la nuova maggioranza sia stata formata dall’opposizione, certamente va a sostegno della richiesta del governo del Somaliland, che reclama il proprio riconoscimento in quanto unico Stato democratico della regione. Secondo Mark Bradbury, direttore del Rift Valley Institute, “il Somaliland potrebbe benissimo essere l’unico posto nel Corno d’Africa ad avere una qualche forma di elezione democratica quest’anno”. Al contrario di quanto accade in Somaliland, infatti, il presidente somalo Mohamed Abdullahi Farmajo non ha mantenuto la propria promessa di organizzare le elezioni nel 2020, ed ancora oggi la data di svolgimento delle stesse è sconosciuta.

Certo, anche il Somaliland ha le sue criticità, come il fatto che l’unica donna precedentemente presente in parlamento non sia stata rieletta, o il fatto che le minoranze etniche non abbiano una rappresentanza in parlamento. Il partito UCID, inoltre, ha denunciato l’eccessivo potere dei clan, e si batte per smantellare il sistema tribale tradizionale, come dichiarato dal leader Faisal Warabe: “Il nostro sistema tribale non è compatibile con la democrazia. Dobbiamo smantellarlo. Altrimenti il ​​Somaliland finirà come lo Yemen, con clan in competizione che faranno a pezzi se stessi e il loro Paese“. Per questo motivo, il partito di sinistra ha proposto l’abolizione del Consiglio degli Anziani (Guurti), un organo ereditario composto dai membri anziani dei clan più importanti del Somaliland: “Le stesse persone sono lì dal 1993, e quando un anziano del clan muore viene sostituito da suo figlio. Questo non è democratico“.

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Giulio Chinappi – World Politics Blog

Di Giulio Chinappi - World Politics Blog

Giulio Chinappi è nato a Gaeta il 22 luglio 1989. Dopo aver conseguito la maturità classica, si è laureato presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, nell’indirizzo di Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale, e successivamente in Scienze della Popolazione e dello Sviluppo presso l’Université Libre de Bruxelles. Ha poi conseguito il diploma di insegnante TEFL presso la University of Toronto. Ha svolto numerose attività con diverse ONG in Europa e nel Mondo, occupandosi soprattutto di minori. Ha pubblicato numerosi articoli su diverse testate del web. Nel 2018 ha pubblicato il suo primo libro, “Educazione e socializzzione dei bambini in Vietnam”, Paese nel quale risiede tuttora. Nel suo blog World Politics Blog si occupa di notizie, informazioni e approfondimenti di politica internazionale e geopolitica.

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