Inizia la stagione turistica e l’immancabile piagnisteo di fondo degli imprenditori italiani si tramuta quest’anno in vera e propria logorrea a reti unificate per la presunta mancanza di lavoratori ben disposti a “sacrificarsi” per far ripartire il paese, giovani che non vogliono lavorare, fannulloni e assistiti che boicottano la grande ripresa nazionale dopo il lockdown. Sul banco degli imputati un nuovo fattore: il Reddito di cittadinanza, sussidio da tempo preso di mira tra le altre cose insieme al blocco dei licenziamenti e a tutto quanto assomigli a una minima tutela dei lavoratori, dal padronato italiano.
Il settore turistico, col suo corollario di sfruttamento dei lavoratori stagionali, è, per via della struttura del capitalismo italiano, un settore sensibile e le riaperture concesse dal governo hanno fatto riesplodere gli appetiti. Il turismo detiene una certa centralità nel tessuto economico del paese (che sia un bene o un male non è argomento di questo articolo, ma comunque è indicativo del grado di sviluppo del nostro capitalismo nazionale).
I dati del settore
Il turismo più l’indotto, di cui fanno parte ristorazione e trasporti (i quali non funzionano di solo turismo ovviamente) vale circa il 13% del PIL italiano[1]:
Secondo le elaborazioni Istat, il valore aggiunto generato dalle attività turistiche nel nostro Paese vale oltre 90 miliardi di euro l’anno, circa il 6 per cento del Pil. Se si considerano tutte le altre attività dell’indotto, questa percentuale più che raddoppia, passando al 13 per cento del Pil. Ma qui rientra il contributo di attività economiche che producono beni e servizi non imputabili esclusivamente al turismo. Si pensi, per esempio, alla ristorazione e ai trasporti.[2]
Questo settore è incluso in quella branca dell’economia (che avevamo individuato in un precedente articolo sulla struttura sociale italiana) la quale impiega “il salariato dei servizi privati: commercio all’ingrosso e al dettaglio, riparazioni di autoveicoli e motocicli, trasporto e magazzinaggio, servizi di alloggio e di ristorazione.” Una branca che riunisce all’incirca il 25% – circa quattro milioni e mezzo di salariati – del totale del lavoro dipendente e due milioni di proprietari delle suddette attività[3]. Già questo dato ci dice molto della parcellizzazione e della diffusione di queste micro/piccole/medie attività di settore con spesso pochi dipendenti in cui i rapporti di lavoro sono tra i più duri.
Infatti, e in particolare al livello salariale, è qui che si verificano gli abusi più plateali e si manifestano le condizioni di lavoro più degradanti, per via della scarsa applicazione dei CCNL e del non rispetto dei contratti – che pure prevedono minimini salariali scandalosamente bassi – per la mancanza di un salario minimo orario legale, per l’uso e l’abuso di lavoro nero, di turni e ritmi massacranti, di part time e lavoro intermittente diffuso che impedisce l’unità sindacale dei lavoratori, se non direttamente l’attività sindacale stessa. Come risultato:
ci sono cioè milioni di persone pagate dai 3 agli 8 € l’ora : operatori dei call center, stagionali del turismo, braccianti, camerieri, fattorini, assistenti in cucina, lavoratori della cultura, assistenza sociale e sanità, in particolare tra i giovani che si affacciano al mondo del lavoro[4]
Riflessi sulla vita politica nazionale
Succede ora che per la stagione gli imprenditori del settore necessitano di molta manodopera supplementare. Almeno trecentomila lavoratori in più per assicurare il corretto funzionamento dei servizi, e da questi estrarre il loro profitto[5]. Come conseguenza di tale pressione un esercito di precari, giovani, lavoratori cade annualmente in questa rete di sfruttamento. Tuttavia, accade anche che grazie al RdC – il quale, ricordiamolo, è pur sempre una misura minima e per la maggior parte dei casi consiste in un assegno in media di 500 euro e vede coinvolte 2,9 milioni di persone [6] – non si sono trovati alla porta la solita abbondanza di precari indotti a farsi sfruttare: il famigerato provvedimento consente infatti di trattare stipendi e condizioni migliori senza essere ricattati.
Il padronato del settore vive dunque questa situazione con estremo disappunto, tanto da sbandierare in tutte le sedi, che i media borghesi mettono generosamente a disposizione, il proprio “disagio”. Ma non tanto perché gli imprenditori temono realmente di non poter assicurare i servizi (quello solo grandi scioperi e boicottaggi organizzati, purtroppo non all’ordine del giorno, potrebbero provocarlo), quanto per una questione di duplice natura: materiale, perché temono di non riuscire a soddisfare pienamente gli appetiti di profitto che la crisi pandemica ha acuito; e ideologica, perchè per principio sono contrari a che esistano argini, per quanto deboli e contraddittori, alle imposizioni padronali. Si tratta della stessa questione che opera a monte della canea agita in parallelo dai capitalisti industriali del manifatturiero contro il blocco dei licenziamenti. Secondo l’economista Brancaccio infatti:
è in corso una battaglia ideologica in nome della solita vecchia tesi: qualsiasi vincolo legislativo va rimosso per favorire il processo di distruzione creatrice del libero mercato. Questa teoria è stata sostenuta anche da Draghi, al vertice di Porto, quando ha dichiarato che la legislazione del lavoro protegge i garantiti e pregiudica l’efficienza e la crescita.[7]
Quindi la questione è squisitamente politica. Perché infatti la borghesia sbraita tanto in un momento storico in cui sa che le forza in grado di contrastarla sono ridotte ai minimi termini e anzi c’è un governo “amico”? Perché questo lamento costante da parte di chi, nonostante il periodo di crisi pandemica, ha avuto garantiti mega profitti, vedi i grandi capitalisti? O di chi in ogni caso ha avuto dalla propria parte governi che non si sono dimenticati dei suoi interessi, inclusi naturalmente gli imprenditori della ristorazione ?
Perché i capitalisti sanno che, oggettivamente, questo potrebbe essere un periodo di profonda crisi del paradigma della solita vecchia cara agenda del laissez-faire, un periodo che potrebbe, quantomeno sulla carta, accentuare le conflittualità e le rivendicazioni in campo sindacale e politico. Sono consci, tuttavia, anche della debolezza delle forze a loro realmente antagoniste e della totale connivenza, invece, di quelle forze opportuniste (dai sindacati confederali, ai politicanti borghesi di “sinistra”) che anche in quest’occasione si sono dimostrate docili e asservite. Giacché il bisogno di maggiori tutele, protezioni sociali, riforme fiscali progressive e investimenti pubblici che il Covid avrebbe dovuto rendere manifesto anche ai più timidi fra i progressisti non sembra, ad oggi – al netto di discussioni di facciata su misure come la tassazione delle multinazionali o il posizionamento dell’UE su temi sociali quali il salario minimo – realmente all’ordine del giorno del dibattito pubblico, essi si sentono autorizzati, al contrario, a spargere ulteriormente sale sulle macerie che il modello neoliberista ha prodotto, e che la crisi Covid ha esacerbato.
È evidente, dunque, che in momenti di crisi la tendenza è quella di spremere ancora di più i lavoratori, e i media e gli “intellettuali” borghesi (con sparutissime eccezioni), non sanno fare altro che mettersi a rimorchio. Essi operano da grancassa al modello ideologico dominante portandolo avanti in maniera unilaterale nel cosiddetto “dibattito pubblico”, che di dibattito effettivamente ha poco, e forse sarebbe meglio chiamare “liturgia propagandistica pubblica a reti unificate”. La borghesia italiana, grande, media e piccola, ha decisamente chiari i propri interessi di classe e li persegue nel modo più sfacciato, a differenza del proletariato, diviso e sotto costante fuoco nemico, che invece brancola nel buio e che necessiterebbe di riunirsi, nelle sue soggettività più combattive, in un unico fronte di lotta.
[2] https://pagellapolitica.it/blog/show/1020/no-il-turismo-non-genera-il-13-per-cento-del-pil-italiano
[4] https://www.ottobre.info/2020/10/15/salario-minimo-lavoro-e-dignita/
[5] https://www.ilsole24ore.com/art/emergenza-lavoratori-campi-tutti-numeri-e-soluzioni-tavolo-ADPAvkO
[6] https://www.teleborsa.it/News/2021/01/19/inps-rdc-sostiene-2-9-milioni-di-persone-reddito-emergenza-a-282-famiglie-95.html#.YMC8cfkzY2w
[7] https://ilmanifesto.it/emiliano-brancaccio-il-blocco-dei-licenziamenti-ha-bloccato-ben-poco/